Un mondo consumista

 

La competizione incitata dal sistema capitalista crea molti sprechi, abusi e violenze; che cosa possiamo fare?

 

di Giulia Bertoncello

 

Spesso si parla di come trovare soluzioni per contenere le problematiche del cambiamento climatico e molti sostengono che uno dei punti di partenza dovrebbe essere il mondo della moda. La verità è che non è il mondo della moda in sé il problema, ma lo è il costante consumismo promosso dai micro-trend: il persistente bisogno di “seguire la moda” e consumare oggetti in modo veloce per poi comprarne di nuovi.

 

Questa tendenza, continuamente promossa, ci circonda sin da quando siamo piccoli: le numerosissime pubblicità nell’intervallo dei cartoni animati, l’invidia per un giocattolo nuovo esibito da un altro bambino, i prezzi stracciati dei negozi di fast fashion che offrono soluzioni “alla moda” veloci ed economiche; anche quando si cresce, gli enormi haul sui social amplificano il rumore di sottofondo che incita al continuo consumismo. Ma questo sistema produce – è sempre più noto – capi di scarsa qualità, sfruttamento, inquinamento

 

Come spegnere questa voce e eliminare i sistemi che hanno condizionato le menti di ciascuno di noi per tutta la durata della nostra vita? La risposta non risulta per niente facile da trovare.

Quindi la soluzione migliore, se si vuole il cambiamento, è provare a cercarlo attivamente a partire da sé: diminuendo le spese annue di vestiti quando non se ne ha bisogno di nuovi, scegliendo i luoghi più sostenibili dove comprarli, riciclando quelli che si hanno già, scambiandoli con gli amici, comprandoli all’usato, sostenendo negozi che producono in modo etico e in quantità ridotte, soffocando l’istinto di comprare capi che non ci piacciono veramente, per comprare invece quelli che vogliamo davvero. È una lista infinita che può aiutare a seguire un percorso “etico”, il quale però a volte – per come viene pubblicizzato – rischia di ricadere nel consumismo: è uno degli strumenti che utilizza il capitalismo per alimentare se stesso.

 

Questo fenomeno, che perdura da tempo, ha resistito a denunce e critiche nel tempo. Chi non ha conosciuto per esempio la produzione artistica di Andy Warhol volta ad analizzare il tema del consumismo. In particolare in “Campbell’s Canned Soup”, Warhol prende un oggetto banale, prodotto in massa, e lo pone al centro dell’opera. Egli vuole porre uno specchio di fronte alla società cosicché questa possa vedere il proprio tratto prettamente consumistico per incitarla a un momento di riflessione su questo tema sempre più cruciale.
L’era del consumismo inizia con merci a prezzi bassi e la pop art diventa una risposta culturale. La zuppa Campbell rappresenta l’oggetto del consumismo e della cultura capitalista su cui Warhol vuole indirizzare l’attenzione della società.
Nel processo di questo quadro e di molti altri, l’artista raffigura per ben 32 volte il barattolo, rappresentando per puro caso 32 sapori di zuppa, attraverso un processo laborioso e costante. Grazie a quest’ultimo egli rispecchia la linea di produzione delle zuppe Campbell e produce questi lavori in grande scala, riflettendo così la produzione di massa necessaria per supportare una società consumista. Ogni step necessario per l'elaborazione di questo prodotto corrisponde al processo meccanizzato presente nella linea di produzione.

 

 

È importante affermare che there is no ethical consumption under capitalism (non può esserci un consumo etico sotto il capitalismo). È fondamentale prendere in considerazione questo monito ed essere consapevoli che, a causa del nostro sistema economico nel quale viviamo, non ci è dato di vivere in una società in cui possiamo consumare dei prodotti in modo etico. Nel sistema capitalistico siamo in costante presenza del danno recato a qualcuno: esso colpisce i lavoratori, i consumatori e l'ambiente. È inevitabile che ci siano vittime a causa della natura ciclica di questo sistema avido: un'avidità che incentiva a vendere prodotti più economici e veloci, cieca all'inquinamento e allo sfruttamento. 

La colpa del danno ambientale e degli abusi sui lavoratori non deve essere addossata al consumatore, poiché quest’ultimo non è direttamente responsabile di questi maltrattamenti; non ha la colpa di vivere in una società sfruttatrice. La responsabilità è senz'altro delle aziende direttamente coinvolte, ma ciò non deve essere una scusa per coloro che si possono permettere uno stile di vita più sostenibile e decidono di non agire.

Questo privilegio implica anche la responsabilità di proteggere le persone che non hanno le stesse opportunità.

Non può esserci un consumo etico sotto il capitalismo non dev'essere l'alibi che possono utilizzare le comunità privilegiate per non far parte del cambiamento. La maggiore responsabilità non deve gravare dalle spalle delle comunità povere, bensì su quelle delle grandi corporazioni, le vere colpevoli. Chi ha più potere è più responsabile: chi può agire, deve farlo proporzionalmente

Promuovere e lottare per il cambiamento può assumere diverse forme ed è necessario che nessuna sia trascurata: boicottare attività e aziende non etiche tutte le volte che è possibile farlo, pubblicare e informare sui social media delle terribili pratiche che sostengono per esempio le aziende di fast fashion e richiedere legislazioni che prevengano gli abusi sui lavoratori e sull’ambiente.  

 

24 gennaio 2022

 









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