L’analisi dell’ultimo film firmato da Adam McKay può aiutarci ad aprire gli occhi sull'incombente questione climatica.
di Arianna Vicario
Don’t Look Up, film uscito nei cinema italiani l’8 dicembre 2021 e inserito il giorno della vigilia di Natale sulla piattaforma streaming Netflix, è la commedia satirica del regista Adam McKay che è diventata oggetto di numerosi dibattiti sui social network. La trama del film dal cast stellare che è costato 75 milioni di dollari è molto semplice: una cometa sta per distruggere l'intero pianeta e due scienziati, Kate Diabiasky e Randall Mindy, cercano in tutti i modi di avvertire l’umanità. La chiave di lettura metaforica è tanto spaventosa quanto realistica: si tratta di un possibile preludio a ciò che potrebbe avvenire se rimaniamo ancora inermi di fronte agli effetti del cambiamento climatico ed è la stessa locandina del film -che recita basato su fatti realmente possibili- a ricordarcelo.
Il cuore pulsante del film è la frustrazione degli scienziati nel comunicare con il pubblico, nonostante la base solida dei dati scientifici a loro favore. Il principio fondamentale del popolo, infatti, sembra essere il se non vedo non credo alla San Pietro, accompagnato da un tanto disinteressato quanto sonoro se non mi tocca non esiste: risulta lampante, quindi, utilizzare questo film come una sorta di panno per pulire i nostri occhiali, così sporchi da non farci vedere quanto preoccupante sia la questione climatica, tangibile e corporea ma ancora attualmente percepita come uno spettro immateriale.
Brie Evantee e Jack Bremmer, interpretati da Cate Blanchett e Tyker Perry, sono due giornalisti di una delle più importanti reti nazionali e i due fanno di tutto per ovattare una realtà che risulta disastrosa e che lo sarà ancora di più nel futuro: l’errore che commettono cercando di sminuire le problematiche illustrate dagli scienziati -nonostante la moltitudine di dati a supporto delle loro convinzioni- è quello di diffondere nel loro pubblico poca attenzione al fenomeno, che diventa di conseguenza qualcosa di poco importante. Nonostante le possibili conseguenze negli stati d’animo individuali, porre sotto la giusta attenzione fenomeni che possono essere percepiti come “troppo spaventosi” da assimilare significa spogliarli di quell'illusione che risulta nell'immediato confortante ma che ci fa arrivare impreparati al futuro.
In virtù di questo, risultiamo essere una società bloccata in un presente onnipresente: non riusciamo a vedere oltre la punta del nostro naso, il futuro ci spaventa così tanto che non riusciamo ad ammettere le nostre preoccupazioni a voce alta e l'unica decisione che concepiamo come migliore è quella di evitare di parlarne ed evitare di agire finché il problema non diventerà reale non capendo, però, che quando questo avverrà potremmo non avere una soluzione ed essere spacciati.
Uno degli aspetti più problematici della società contemporanea è quello di rinunciare a progettare il futuro restando immersi in un presente di cui non si ha consapevolezza.
Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco, ha definito la dimensione temporale della modernità come una dimensione dell’adesso, dove non ci sono progetti o aspirazioni da consumare nel futuro, ma solo piccoli momenti da divorare voracemente nell’hic et nunc. Dalla lettura dell’analisi di Bauman appare chiaro come vivendo in questa dimensione temporale, di cui molte volte si è anche inconsapevoli, proviamo a proteggerci dalle angosce di un presente che più che vissuto sembra essere accettato con rassegnazione.
Don’t look up incarna perfettamente la cultura del presente onnipresente -che si è appropriata della nostra società da ormai troppi anni- e ci mostra senza troppi fronzoli l’unico futuro possibile se continuiamo a crogiolarci in questa dimensione senza accogliere i rimproveri e gli avvertimenti di studiosi e scienziati. Questi, tra l'altro, già dagli anni Settanta cercavano di sottoporre all’attenzione dell’opinione pubblica i possibili preoccupanti scenari del cambiamento climatico che oggi stando diventando realtà.
Piero Angela, già nel 1971 con il suo programma "Dove va il mondo?" divulgò quanto fosse pericoloso non interessarsi al cambiamento climatico e alle sue inevitabili conseguenze, in una recente intervista per l’Huffington Post ha affermato: «Da anni gli esperti denunciavano questo pericolo, significa che non è cambiato molto. Le parole già hanno le gambe corte, bisogna farle crescere, diventare adulte, trasformarle in azioni».
Seppur recentemente l’adesione a movimenti di protesta per una giustizia climatica sta aumentando e i discorsi dell'attivista svedese Greta Thunberg stanno diventando sempre più dei punti di riferimenti specialmente per la popolazione giovanile, le azioni di cui parla Angela risultano ancora inibite dalla fervente volontà di vivere nel presente senza preoccuparci del futuro.
La sfera del presente onnipresente si rafforza ogni giorno di più e allo scarso interesse di progettazione di un futuro di ampio respiro, si unisce anche lo scarso interesse di ricostruzione e di indagine di un passato contenente in sé già molte risposte: viviamo in una dimensione che non ci permette di guardare su, imponendosi con un fragoroso e intenso don't look up!
I leader e le istituzioni risultano essere ancora troppo ciechi nonostante le opinioni preoccupate degli scienziati. Dagli ultimi dati presentati da wwf.it l’anidride carbonica risulta essere aumentata del 147%, il decennio 2010-2019 risulta essere stato il più caldo da quando esistono registrazione attendibili e regolari della temperatura e 12,85% risulta essere il tasso del calo del ghiaccio artico per decennio. La situazione è sempre più allarmante e il tempo è sempre più in diminuzione. Quindi, come dobbiamo comportarci?
Se guardiamo un po’ al passato, possiamo trovare utile l’analisi di Sant’Agostino. Il filosofo e teologo romano, infatti, aveva compreso benissimo la cosiddetta esperienza del tempo e l’aveva ritenuta possibile solamente se la coscienza si fosse estesa nelle tre estasi: passato, presente e futuro. Ricordare il passato, concentrarsi sul presente e attendere il futuro: queste la summa del suo pensiero sulla temporalità, che prevede che un’esclusione del passato e del futuro intacchino irrimediabilmente l’orizzonte del presente stesso. Vivere nel presente senza tener conto del passato e del futuro, quindi, incide sul presente stesso, che perde anche il suo valore illusionistico-confortante.
Se ci concentriamo in particolar modo sulla dimensione del futuro, partendo sempre dal pensiero di Sant’Agostino, capiamo che il futuro è una dimensione costitutiva dell’esistenza e quindi, senza porre le giuste attenzioni su di esso, la nostra vita individuale e collettiva appare confusa e dispersa. Ciò che è necessario fare, di conseguenza, è educare a tutte e tre le estesi che compongono la temporalità cercando di scardinare l’egemonia del presente. Nell’ultimo film di McKay l’umanità non è riuscita a portare a termine -o forse addirittura a comprendere- questo obiettivo e le conseguenze sono state inevitabilmente fatali.
In conclusione si può affermare che il film non ha la pretesa di imporsi come salvatore dell’umanità, ma la sua finalità è quella di aprire gli occhi sulle attuali decisioni dei politici -che troppe volte risultano essere più attenti ai loro interessi individuali piuttosto che agli interessi della collettività- e smuovere la coscienza della popolazione, che finché non vedrà mari pieni di plastica, cieli della proprie città annebbiati dallo smog, piogge acide e chi più ne ha più ne metta, non farà altro che attendere e accettarsi come la Presidente Orlean, interpretata egregiamente da Meryl Streep, invece che progettare espedienti per cercare di convertire un futuro che appare tragicamente ineluttabile.
13 maggio 2022