La guerra in Spagna può essere considerata come uno spartiacque nel dinamico pensiero di Simone Weil. Le riflessioni della filosofa possono essere utili, oggi più che mai, per la comprensione di un fenomeno purtroppo sempre attuale.
F. Goya, "3 maggio 1808" (1814)
Fin da giovanissima, la filosofa francese Simone Weil (1909 – 1943) si preoccupò della difficile questione della guerra. Durante la Prima guerra mondiale, con l’entusiasmo di una bambina, era pervasa da un alto senso di patriottismo. Nel 1919 aveva dieci anni e, con la firma del Trattato di Versailles, cambiò nettamente opinione, sostenendo: «La volontà di umiliare il nemico vinto, che invase tutti in quel momento in maniera così repellente, mi guarì una volta per tutte da questo patriottismo ingenuo» (S. Weil, Lettera a Georges Bernanos, 1938). A poco più di diciotto anni entra nel gruppo di pacifisti Volonté de paix. Nel 1928 accoglie con entusiasmo la firma del Patto Briand-Kellogg, sottoscritto dalla quasi totalità delle nazioni. Il patto avrebbe dovuto abolire la guerra come strumento di soluzione di controversie internazionali. Weil si impegnò per la sensibilizzazione a questo evento: credeva che ogni sforzo in vista della pace dovesse essere perseguito, anche se successivamente criticherà aspramente l’ipocrisia celata in questo patto. Nel suo articolo Riflessioni sulla guerra, Simone Weil fa una lunga disamina su come la questione della guerra fosse stata affrontata nei secoli dai diversi movimenti operai o proletari, partendo dalla guerra rivoluzionaria francese del 1792, passando per la guerra franco-prussiana, raggiungendo così le considerazioni sull’approccio migliore per contrastare l’ascesa di Hitler. Weil constata come il denominatore comune di tutte queste considerazioni dei diversi movimenti operai nei confronti della guerra sia solamente uno: «il rifiuto di condannare categoricamente la guerra in quanto tale» (S. Weil, Riflessioni sulla guerra, 1933).
Simone Weil ha sempre sentito dentro di sé la forte spinta a conoscere a pieno le tematiche su cui si concentravano i propri studi. Così, con lo scoppio della Guerra civile spagnola e come già avvenne per la sua esperienza in fabbrica negli anni 1934-1935, decise di vivere la guerra in prima persona, al fronte.
La guerra in Spagna può essere considerata come uno spartiacque nel dinamico pensiero di Weil. Prima di partire per la Spagna, Weil critica aspramente il Presidente del governo del Fronte popolare francese Léon Blum, il quale si rifiuta di partecipare alla guerra civile spagnola, nonostante le grandi proteste interne al Fronte stesso. Weil, condividendo la volontà di non intervento, critica però il doppiopesismo di Blum, il quale non intende intervenire in Spagna, ma non esclude una guerra qualora fossero attaccati territori economicamente strategici per la Francia. Weil riassume il suo pensiero, affermando: «Se noi abbiamo accettato di sacrificare i minatori delle Asturie, i contadini affamati di Aragona e di Castiglia, gli operai libertari di Barcellona piuttosto che scatenare una guerra mondiale, nient’altro al mondo deve portarci a scatenare la guerra. Niente, né l’Alsazia-Lorena, né le colonie, né i trattati. Non si dirà che qualcosa al mondo ci sia più caro della vita del popolo spagnolo» (S. Weil, Non intervento generalizzato, 1936).
Simone Weil scrive del suo approccio alla guerra civile spagnola nella famosa Lettera a Georges Bernanos, scritta probabilmente nella primavera del 1938. Georges Bernanos (1888-1948) è stato uno scrittore transalpino vicino al cattolicesimo e alla destra francese. Egli, allo scoppio della guerra civile spagnola, si trovava presso le isole Baleari. In un primo momento appoggia le forze franchiste, ma successivamente se ne pente e pubblica I grandi cimiteri sotto la luna, pamphlet che vede la centralità delle vicende spagnole e dove l’autore denuncia i massacri messi in atto dai falangisti e, più in generale, da tutti coloro che si servono della religione per compiere violenze sociali. L’esperienza in Spagna di Simone Weil è raccontata, oltre che nella lettera a Bernanos, anche nella raccolta biografica svolta dall’amica Simone Pétrement.
È proprio dopo la lettura di questa opera che la Weil decide di scrivere a Bernanos, sia per spirito di ammirazione, sia per la volontà di raccontargli la propria esperienza durante la guerra civile spagnola. L’autrice motiva la sua partenza per la Spagna scrivendo:
« Non amo la guerra; ma ciò che mi ha sempre fatto più orrore nella guerra è la situazione di quelli che si trovano nelle retrovie. Quando ho capito che, malgrado i miei sforzi, non potevo fare a meno di partecipare moralmente a questa guerra, […] mi sono detta che Parigi per me era le retrovie, e ho preso il treno per Barcellona con l’intenzione di arruolarmi » (S. Weil, Lettera a Georges Bernanos, 1938).
Simone Weil, sentendo il bisogno di partire, l’8 agosto passa la frontiera, ufficialmente come corrispondente di guerra, ma in realtà con l’intenzione di unirsi alle forze repubblicane. La Weil si unisce alla colonna internazionale capitanata dall’anarchico Buenaventura Durruti, stanziata sulla riva sinistra del fiume Ebro. Qui, grazie all’ex ufficiale coloniale Carpentier, ha modo di imparare a maneggiare un fucile. I capi repubblicani cercano di dare a Weil compiti semplici, poiché viene ritenuta poco abile, soprattutto a causa della sua miopia (durante le esercitazioni i compagni evitavano di passare nella traiettoria del suo fucile) e della sua salute cagionevole. Lei però non si accontenta e, grazie alle sue continue proteste, le viene concesso di fare parte di alcune spedizioni a cui sono affidate missioni pericolose. Nonostante questo, la filosofa non sparerà mai un proiettile e non verrà mai impiegata direttamente nelle azioni di maggior rischio. Il suo periodo di militanza in Spagna durerà però molto poco: il 19 agosto il gruppo accende un fuoco all’interno di una buca nel terreno per evitare di essere visti dai nemici, e all’interno della buca, sopra al braciere, a livello del suolo, viene posta una grande padella per friggere. Weil, non accorgendosi della padella, immerge il piede nell’olio bollente, ustionandosi gravemente. Viene portata in un luogo sicuro e, successivamente, all’ospedale di Barcellona. I genitori la raggiungono e, con non poche difficoltà, il 25 settembre convincono la figlia a rientrare a Parigi.
Weil, ritornata in Francia per curarsi, mantiene l’intenzione di tornare in Spagna una volta guarita, ma, successivamente, cambia idea, constatando come la guerra spagnola non era – come da lei immaginato – una guerra tra oppressi e oppressori o tra buoni e cattivi, quanto un conflitto internazionale tra la Russia, la Germania e l’Italia combattuto in un territorio terzo, al fine di testare la capacità militare avversaria e di provare le nuove strategie e tecnologie militari.
La dicotomia buoni-cattivi crolla rapidamente. I soprusi non erano commessi in modo univoco dai falangisti, ma anche gli stessi repubblicani eseguivano spedizioni punitive, uccidendo civili sospettati di avere rapporti con i falangisti, inermi prigionieri di guerra, uomini stremati, sacerdoti indifesi.
P. Picasso, "Guernica" (1937)
Ciò che fa maggiormente inorridire Weil è l’atteggiamento dei repubblicani di fronte all’assassinio, i quali non hanno mai dimostrato, nemmeno privatamente, di provare repulsione, ribrezzo o biasimo per gli omicidi commessi. Con impressionante lucidità, l’autrice constata come l’omicidio più becero e vile venga ammesso in queste particolari situazioni, scrivendo: «quando le autorità temporali e spirituali hanno messo una categoria di esseri umani fuori da quelli la cui vita ha un prezzo, non c’è niente di più naturale per l’uomo che uccidere» (S. Weil, Lettera a Georges Bernanos, 1938). Nel momento in cui le forze repubblicane si sono slegate dai bisogni e dalle necessità della maggior parte dei cittadini spagnoli più poveri e si sono abbandonate a vendette e omicidi, ogni presunto obbiettivo di libertà e di democrazia è venuto meno. «Un abisso separava gli uomini armati dalla popolazione disarmata, un abisso del tutto analogo a quello che separava i poveri dai ricchi» (S. Weil, Lettera a Georges Bernanos, 1938); e ancora «Un clima simile cancella subito il fine stesso della lotta. Poiché non si può formulare il fine se non riconducendolo al bene pubblico, al bene degli uomini – e gli uomini non hanno alcun valore» (S. Weil, Lettera a Georges Bernanos, 1938).
Nelle ultime righe di questa lettera, l’autrice, con immensa onestà intellettuale, scrive, rivolgendosi direttamente a Bernanos: «Lei è monarchico, discepolo di Drumont – che me ne importa? Mi è più vicino, senza paragone, dei miei compagni delle milizie d’Aragona – quei compagni che, tuttavia, amavo» (S. Weil, Lettera a Georges Bernanos, 1938).
3 maggio 2022
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