La filosofia dello scozzese David George Ritchie acquista una notevole importanza all’interno del movimento neo-idealista britannico a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Ritchie ha come punto di riferimento il maestro Thomas Hill Green e si ispira alle teorie dell’evoluzione, particolarmente in voga in quel periodo, e alla filosofia di Hegel, il faro che lo guiderà nel corso della sua ricerca. L’impresa filosofica di Ritchie si nutre di una contrapposizione ben precisa, ossia del confronto con Herbert Spencer, contemporaneo di Ritchie e teorico dell’estensione della teoria dell’evoluzione alla società umana, oltre che alla natura.
L’intento filosofico di Ritchie è quello di dimostrare che il laissez faire, che Spencer vorrebbe applicare all’economia e alla politica come prolungamento della selezione naturale, in realtà è una misura fortemente irrazionale e che non tiene conto della cifra che distingue l’uomo dall’animale, ossia la coscienza. L’impresa filosofica di Ritchie è tutt’altro che frammentaria: scorrendo tra le pagine scritte dal filosofo scozzesse possiamo trovare un’analisi filosofica a 360 gradi che va dalla metafisica alla logica, dalla gnoseologia all’epistemologia, dall’etica alla politica, passando per la filosofia della natura e la psicologia. Ritchie è un filosofo a tutto tondo, che cerca di fondare la sua analisi della teoria dell’evoluzione su una base di filosofia prima. Un filosofo appartenente allo spirito della filosofia continentale, più che a quella analitica. In questo articolo cercheremo di vedere la sua concezione di filosofia e il rapporto di quest’ultima con la scienza.
La filosofia è la visione sistematica della realtà, che cerca di unire le intuizioni parziali che provengono dall’esperienza e dagli studi propriamente scientifici. La scienza si occupa del particolare, mentre la filosofia ha il compito di provare a mettere assieme le visioni parziali del reale, cercando di non risultare contraddittoria. Proprio della filosofia è quindi la critica di ogni forma unilaterale di conoscenza, di ogni pezzo di verità che pretende di essere scollegato da tutto il resto. Le “scienze speciali” ‒ così Ritchie denomina quelle scienze che nel corso della storia della filosofia sono state chiamate anche “scienze particolari” o “scienze dure” ‒ si contraddistinguono dalla filosofia perché il loro punto di partenza è un’assunzione, un’astrazione, qualcosa che non può essere verificato, ma qualcosa di già dato. Al contrario la filosofia non ha un campo di riferimento, ma mette in questione il reale in quanto tale, comprese le facoltà del pensiero stesso: nulla è salvo dalla critica della filosofia. La filosofia non assume niente come dato alla sua partenza, ma allo stesso tempo tutto ciò che trova non è mai definitivo. La ricerca filosofica non può mai raggiungere la verità assoluta: le è permesso solo di avvicinarsi ad essa, ma non possederla. Quel filosofo che pensa di aver in tasca la verità tradisce il compito stesso della filosofia e agli occhi delle persone risulterà dogmatico e provocherà un certo scetticismo.
« Quando la filosofia cerca di costruire un sistema, senza prestare attenzione che la sua ultima formulazione sia solo un tentativo ipotetico, si presta a sembrare e a essere dogmatica, e provocare scetticismo sull’operato della filosofia in generale. » (D.G. Ritchie, Philosophical studies)
La filosofia non potrà mai godere della stima del pensiero comune, in quanto si occupa di analizzare il materiale che proviene dalla vita pratica e trasformarlo in qualcosa di intellettuale, che deve essere studiato. Lo stesso percorso lo compiono le scienze, anche se il frutto del loro lavoro si oggettiva a sua volta in qualcosa di pratico, mentre il portato degli studi filosofici rimane intellettuale. Proprio per questo la filosofia non è popolare, in quanto alle persone non interessa conoscere e migliorarsi, ma avere qualcosa di materiale sottomano che li possa facilitare o intrattenere.
« Quelle “persone pratiche” che presuntuosamente non si appagano del desiderio di conoscere, che forse Aristotele in modo avventato identifica con tutta l’umanità, benché probabilmente accolgano le comodità materiali del progresso scientifico, non hanno un interesse scientifico genuino e non filosofano. »
Il maggior fraintendimento di cui è vittima la filosofia è l’essere considerata una disciplina di cui si possono occupare tutti, in quanto tutti sono in grado di pensare a partire dalla loro esperienza. La filosofia è vero che parte dall’esperienza, dagli avvenimenti personali che impegnano il singolo pensatore, ma da essa deve prendere posizione, lasciando da parte ciò che è piacevole e dirigendosi verso l’indagine della realtà. In questa operazione il soggetto filosofante è fortemente in pericolo, in quanto molto spesso vede minate le proprie credenze e i propri interessi privati. La filosofia proprio perché non è qualcosa di privato, ma che riguarda l’uomo in quanto tale, non è possibile limitarla alla vita di una singola persona. La filosofia è per sua natura scambio e ricerca interpersonale, in quanto gode del confronto che proviene dai singoli pensieri che entrano in contatto. Questa ricerca intrecciata, che tutti i filosofi compiono, è la storia della filosofia, ossia il movimento del pensiero che si auto esplicita. Proprio per questa sua natura evolutiva, è da miopi fare filosofia senza studiare la sua storia e senza tenere conto del lavoro degli antenati. Fare filosofia senza studiare gli autori del passato è impossibile, allo stesso modo per cui è impossibile conoscere il significato delle parole senza studiare la loro storia. Il linguaggio con cui pensiamo e parliamo, a maggior ragione in ambito filosofico, è impregnato del significato che gli uomini del passato gli hanno dato. Ecco quindi che non possiamo realmente parlare di giustizia se non abbiamo studiato Platone o di virtù se non abbiamo studiato Aristotele. Da questo ragionamento possiamo scorgere come il vero radicale è anche conservatore: per poter ambiare a migliorare qualcosa è necessario prima abitare quelli che c’hanno preceduto.
« Ci è ben lecito diffidare di ogni sistema filosofico che inizia proclamandosi come interamente nuovo. Il radicalismo, per essere utile, deve basarsi sul conservatorismo e su un ragionevole rispetto per la saggezza del passato. »
Il cambiare idea su qualcosa, sia in ambito scientifico che filosofico, non è semplicemente aggiungere un tassello a quello che già sapevamo. Non ci sono fatti che possono essere aggiunti, in quanto ogni nuova conoscenza che si presenta a noi è tale solo in quanto ha un rapporto regolato con la realtà e quindi si fa portatrice a sua volta di una teoria di comprensione del reale. Ogni volta che scopriamo qualcosa di nuovo il nostro sistema viene cambiato, in quanto ogni singola conoscenza rende il nostro sistema più completo e quindi diverso. Possiamo parlare di carattere dialettico della scienza e della filosofia: non ci sono fatti che si sommano, ma conoscenze intrecciate che si modificano vicendevolmente, entrando in contatto e sottoponendosi al contraddittorio. La retorica dei fatti è ciò che di più anti-scientifico si possa concepire, poiché nulla è indipendente dalla concezione con cui viene esaminato, ma tutto si dà esclusivamente all’interno del pensiero del soggetto.
« L’ideale di un intero di conoscenza completamente armonioso ci precede sempre; per quanto inconscio, ci conduce a distruggere e rifiutare sistemi incompleti e incoerenti, o, negli stadi più avanzati del processo, ad adattare questi sistemi dove risultino frammentari e da complementare. »
Proprio della scienza è il suo carattere specialistico, la tendenza ad analizzare, sezionare, non può fare a meno di questo movimento, in quanto la realtà richiede di essere scomposta per essere capita. Se da una parte questa propensione è qualcosa di connaturato alla scienza, dall’altra rappresenta un grosso rischio. Ogni parte è tale solo se è inserita in un tutto e quindi non possiamo conoscere il particolare se non conosciamo il generale. Dato che è impossibile conoscere l’intera realtà sarà impossibile avere una conoscenza completa del particolare, ma questo non deve sottrarre lo scienziato dal tentare di comprendere sempre meglio il reale. Per leggere il particolare è quindi necessario aver presente quello che dell’universale si ritiene valido fino a quel momento: per essere dei buoni scienziati è necessario essere filosofi. Emblematici in questo senso sono i casi Galileo ed Einstein, ma anche il premio Nobel per la fisica Giorgio Parise si è dimostrato preparato, oltre che nella sua materia, nel concepire il rapporto tra scienze e società umana.
« Tutte le più grandi menti scientifiche hanno in realtà un impulso filosofico. Non sono soddisfatte della mera specializzazione, ma insistono nel vedere le cose nella totalità delle loro relazioni. »
Ciò che la filosofia si prefigge con il suo operato è migliorare sempre più il sistema in cui si inseriscono le singole porzioni di realtà. Per fare questo la filosofia parte da ciò che è noto e lo mette in discussione, criticando i termini che sono assunti come dati nel linguaggio comune. La filosofia si serve del pratico: lo critica e lo analizza, per poter poi arrivare ad una formulazione teorica della realtà. Qualsiasi idea non si presenta nel pensiero dal nulla, ma è il frutto di un’evoluzione storica che ha il suo laboratorio nella realtà: essa si migliora cammin facendo nelle coscienze dei singoli e si confronta con le opinioni imperanti. In questo senso la filosofia non può giungere mai ad un vero e proprio risultato, in quanto l'uomo, essendo sempre gettato nella realtà, instaura continuamente nuove relazioni con essa. Quest'ultima non è semplicemente un mero ideale a cui giungere, ma la condizione di possibilità dello sviluppo del pensiero stesso, che si offre all'uomo attraverso il processo storico. Questo carattere evolutivo della filosofia non le permette di giungere mai alla sua fine: rimane quindi una scienza costitutivamente imperfetta, che necessita sempre di nuovi tentativi e di nuove approssimazioni.
7 marzo 2022
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