« Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso,
ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura.
D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie,
ma la risposta che dà a una tua domanda. » (I. Calvino, Le cittá invisibili)
Abitiamo città avverse: putride e sterili, funzionali e caotiche, antiche e violate, accese e stanche.
È per naturale ripicca allora che esse ci sputano fuori, come quando la lingua assapora l’amaro fiele.
Le abbiamo sterilizzate dai cani e dai gatti randagi, dai topi e dalle blatte, dalle formiche e dai piccioni. Ma tutte queste creature adesso ne abitano gli inferi e ne erodono in silenzio le fondamenta.
Le pensiamo ecosostenibili, alla moda, ma solo per renderle disponibili ad altre colate di cemento, volumi, imposizioni, mercimoni, gravami, cloache, fogne, sfregi.
Il funzionalismo-razionalismo architettonico di maniera con l’ultimo superstite vegetale esposto sull’anonimia delle facciate bianche!
Città strisciate, solcate, segnate e ridisegnate di continuo da pesanti ed ingombranti carrozzoni, quintali spesso addetti al trasporto di un’unica personcina, e dai loro preziosi stalli blu.
Città asfissiate dalla nebbia, sotto la nebbia di London Bridge.
Città fuori governo o amministrate come proprie, vissute con indifferenza, senza più né passato e né futuro, in pugno alle frenesie del presente e dei loro possidenti.
Aiuole disadorne, parchi senza primavere, che ricordano i manicomiali giardini aboliti da Basaglia. Paesaggi storici sventrati o restaurati e tenuti vuoti ad increparsi.
Ufficiali ed uffici preposti a svenderle alle aste per una manciata.
Ecco perché esse non ci vogliono più, non ci accolgono, non ci proteggono, nemmeno ci abbracciano più tra le loro mura, torrioni, guardianie; ecco, perché esse sono divenute senza ventre, avverse.
E quando rifugiamo al mare, in campagna o in montagna, tra uno dei borghi più belli, non facciamo altro che ricostruire in un altrove, forse ancora beato, la stessa città avversa.
3 novembre 2022