Quante volte ci siamo posti delle domande sul senso della nostra vita, dei nostri sacrifici e sul contributo che possiamo dare alla società? Fichte, il filosofo dell’Io e del non-Io, prova a rispondere così.
La missione più alta che, secondo Fichte, l’uomo possa compiere è quella di migliorare via via la società, affinché si arrivi a rendere superfluo, per la convivenza pacifica degli uomini, lo Stato e le sue leggi. Ovviamente, questo è un processo molto lungo ed è quindi attuabile solo se le generazioni future prenderanno parte a ciò, altrimenti questa missione è destinata a fallire.
« Lo Stato, al pari di tutte le istituzioni umane, che non sono se non semplici mezzi, tende allo scopo del proprio annientamento: è lo scopo di ogni governo, quello di render superfluo il governo. Oggi non è, certo, ancora quel momento, e io non so quante miriadi di anni o miriadi di miriadi di anni dovranno trascorrere prima di allora […], ma è sicuro che, su quella via di progresso che è tracciata a priori all'umanità, è segnato un tale momento, in cui tutte la costrizioni esercitate dallo Stato saranno superflue. » (J.G. Fichte, La missione del dotto)
Per preparare al meglio le nuove generazioni su questo, è necessario capire come poter concretizzare il pensiero del filosofo all’interno del processo educativo. Fichte risponde a questo quesito fornendo una soluzione realizzabile e ancora molto attuale. Nessuno infatti è inutile allo sviluppo della società, a patto che ognuno trovi il proprio posto e scelga il proprio “stato” nel mondo, ed è proprio su questo che io vorrei soffermarmi.
Il filosofo, all’interno de La missione del dotto, spiega dettagliatamente come ognuno di noi possa rendersi utile: innanzitutto l’individuo, ci dice, è costituito da una parte razionale, tendente alla perfezione, che è l’Io puro, e da un’altra parte empirica, Io empirico appunto, soggetta a istinti, passioni e soprattutto influenze esterne. L’uomo è destinato a convivere con queste sue due sfumature e soprattutto deve fare in modo che la prima prevalga sulla seconda e su tutti quelli che Fichte chiama agenti esterni. Solo in questo modo l’uomo può rimanere coerente con il proprio io e, come direbbe Socrate, provare a conoscere se stesso; ma ciò è tutt’altro che scontato e semplice a farsi, ed è qui che il filosofo introduce la “cultura” intesa come “educazione”, che è vista come quella capacità acquisibile che riesce a far convivere l’Io puro e l’Io empirico, ma soprattutto a domare i propri istinti, a scoprire e ad assecondare le proprie attitudini e a rendersi utile al prossimo.
« S'intende, l'Io puro non può mai trovarsi in contraddizione con se stesso poiché non vi è in esso alcuna diversità, essendo esso sempre uno e identico; ma l'Io empirico, determinato e determinabile dalle cose esterne, può contraddirsi; e, ogni volta che esso si contraddice, dà con ciò una prova sicura di essere allora determinato non da se stesso, non secondo la forma dell'Io puro, ma dalle cose esterne. E ciò non deve essere: poiché l'uomo è fine a se stesso; egli deve determinarsi da sé e non lasciarsi mai determinare da qualcosa di esterno. » (J.G. Fichte, La missione del dotto)
Leggendo fra le righe ciò che il filosofo tedesco scrive, si arriva a pensare molto velocemente a un problema che, oggi più che mai, danneggia la nostra società: condizionare le scelte formative dei più giovani solo in vista di un ricavo utile.
Le scelte di un ragazzo riguardo il proprio futuro non devono essere minimamente condizionate da persone e da agenti esterni, più di quanto già lo siano per natura – si pensi al luogo dove si nasce, alla situazione economica della famiglia e così via. Se infatti, come molto spesso accade, un genitore o una persona vicina influenza significativamente la scelta, per esempio di una facoltà universitaria, non tenendo conto delle vere attitudini e possibilità del ragazzo, si arriva ad avere come risultato un individuo non coerente con se stesso, che non sfrutta quelle che sono le sue qualità, non ascolta il proprio io e non può servire la società.
« E perciò ogni uomo dev'essere completamente libero nella scelta del proprio stato.
La scelta di uno stato è scelta che si compie per mezzo della libertà; quindi nessun uomo dovrebbe poter essere costretto ad abbracciare uno stato od essere escluso da quello a cui aspira. » (J.G. Fichte, La missione del dotto)
Questa visione contrasta fortemente la visione “utilitaristica” oggi molto presente, per la quale si tende a non assecondare le proprie qualità e i propri talenti pur di trovare subito un lavoro utile allo sviluppo materiale ed economico della persona. Abbiamo così ragazzi che vengono distolti dallo studio di materie e discipline umanistiche o artistiche in favore di materie che oggi hanno una maggiore richiesta di lavoro: e così quello che poteva essere un musicista eccellente e appagato si ritrova magari ad essere un avvocato infelice e, molto spesso, anche mediocre nell’esercizio della professione. In questo modo, per usare le parole di Marcuse, ci ritroveremo presto ad avere solo una cultura e degli individui “unidimensionali”, dove ciò che conta è unicamente adeguarsi a un sistema che non mette in risalto le qualità e le passioni degli individui, ma che anzi favorisce lo sviluppo di masse che via via perdono l’uso del pensiero critico.
Naturalmente, per scegliere consapevolmente il proprio “stato”, bisogna che ci sia una conoscenza dei propri bisogni e delle proprie attitudini, che Fichte chiama conoscenza filosofica, una conoscenza di tipo “storico-filosofico” per comprendere al meglio come soddisfare questi, ed infine una conoscenza “storica” per capire in che momento della storia del progresso della società ci si trovi e come il nostro contributo possa essere utile. Questo non significa, specifica il filosofo, che tutti debbano essere storici o filosofi, ma che tutti dovrebbero tenere a mente questa tipologia di conoscenze. Inoltre, il filosofo ci invita a stare molto attenti a tutti coloro i quali ostacolano la vera affermazione degli individui e impediscono la diffusione del sapere.
Quanto detto non significa che tutti gli uomini e tutte le donne siano destinati a imprese eroiche, al contrario anche “solo” contribuire alla formazione dei propri cari e alla loro affermazione del mondo è un grande contributo allo sviluppo della comunità. Questo concetto è bene espresso, secondo il mio parere, dalla metafora senecana della volta: tutte le pietre di una volta sono necessarie affinché quest'ultima non crolli, così come la società ha bisogno di ognuno di noi per poter progredire.
« La nostra società è molto simile a una volta di pietre: cadrebbe se esse non si sostenessero a vicenda, ed è proprio questo che la sorregge. » (Seneca, Lettere morali a Lucilio)
Se allora ognuno troverà il suo giusto posto nella società, si garantirà un ricambio generazionale efficace e il progresso della società potrà continuare, fino al momento in cui non servirà più agli uomini uno Stato e delle leggi, poiché saranno in grado di vivere pacificamente nella società.
Il tutto deve essere supervisionato dal “dotto” che non è l’intellettuale che sta nella sua “torre d’avorio”, ma è colui che ha come missione quella di assicurarsi il progresso della società e l’infinito cammino umano verso la perfezione.
« Essa (la missione del dotto) consiste nel sorvegliare dall'alto il progresso effettivo del genere umano in generale e nel promuoverlo costantemente. » (J.G.Fichte, La missione del dotto)
Si può anche vedere nel pensiero fichtiano un modo per raggiungere la felicità e la serenità, se si comprende che nella vita non conta solo diventare qualcuno e fare soldi a palate; la vita nasconde molte altre sfumature, sta a noi scoprirle e trasformare il mondo da bianco e nero a un mondo a colori.
10 novembre 2022
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