Tutti concordiamo sul fatto che studiare è importante. Una percentuale minore concorderà sul fatto che lo studio è un esercizio nobile e disinteressato. Eppure, tra le molte cose che il nostro tempo ha svilito rientra lo studio (tra mille riforme della scuola e dell’università) e la cultura, che si intrecciano indissolubilmente. Una analisi/denuncia per fermare una deriva non soltanto culturale, bensì umana.
Non è un mistero per chi abbia faticato sui libri e si sia a lungo confrontato con le “sudate carte” quale sia il ruolo della cultura. La domanda “A che serve studiare?” assume caratteri buffi, se non paradossali. Studiare per anni e approfondire tematiche varie e distinte più e più volte (teoricamente all’infinito) si coniuga col fine di diventare uomini e donne compiute (che poi significa anche diventare veri cittadini, veri lavoratori, veri genitori, e così via). Lo studio non è puramente finalizzato a qualcosa (non esaurisce, quindi, il suo senso in un’ottica utilitaristica), bensì è il mezzo con cui plasmarsi, diventare uomini, determinare la propria vita, il proprio essere-nel-mondo. Per tale motivo lo studio è inscindibile dalla fatica, dal sacrificio, dall’elevazione per migliorare sé stessi, per giungere ad un più alto grado di conoscenza del mondo e di sé. Un percorso che porta, soprattutto, a rilevare, circoscrivere e coltivare il valore: il valore dell’esistenza, delle proprie azioni, della propria individualità storica e spirituale.
I libri, i concetti, le idee con cui si comprende sé stessi e il mondo in cui si vive sono il risultato di una certa cultura (che a sua volta implica una visione del mondo e dell’uomo ben precisa). Non è un caso che tutti siamo chiamati a confrontarci con lo studio storico, che aiuta a comprendere come la cultura si evolva, ma non si estingua: il suo ruolo è fondamentale per l’uomo. Peraltro non è mai neutrale la conoscenza: come si conosce il mondo, secondo quali schemi logici interpretarlo, secondo quali premesse epistemologiche e gnoseologiche fondare le decisioni e la propria ricerca.
Non esiste, in poche parole, una mera vita pratica: secondo Giovanni Gentile, «la vera vita è riflessione su se stessa» (Che cosa è il fascismo?).
L’uomo è animale che si nutre di cultura, perché si interroga su sé stesso, sul mondo (lo spazio), sulla storia (il tempo). La cultura per l’uomo è uno spazio (mai ultimo) entro cui l’uomo si muove e si scopre nudo, mancante, finito. Il primato culturale, in ogni caso, spetta alla filosofia, il cui ruolo per Gentile è:
« [la] costituzione della personalità: quella che ordinariamente si dice educazione morale, ma che non può darci il vero carattere, il vero uomo, se non si suggella colla coscienza che l'uomo deve avere di se stesso, della sua dignità e del suo posto nel mondo, della sua natura e del suo conseguente destino »
(Citato da Giovanni Gentile, Note e Notizie, in "Giornale critico della filosofia italiana", 1920, p. 118)
Forgiarsi mediante la cultura e costituirsi entro il dialogo filosofico è anche ricevere la testimonianza dei grandi del passato: filosofi, letterati, artisti, teologi, politici e grandi nomi della Storia. Un confronto serrato che non esclude quello con i vivi, ma permette di cogliere le vette dell’umanità, sacrifici oggi impensabili, gesta inenarrabili che hanno fatto la storia.
Quanto rilevato brevemente poco sopra è la storia dell’Occidente, almeno fino a qualche decennio fa. Oggi assistiamo non tanto ad una corrente contraria, quanto più ad un rifiuto, che poi si sostanzia in una negazione. L’onda irruenta di un nichilismo passivo, sottile e pervasivo sta corrodendo la comprensione delle giovani generazioni riguardo i motivi e la necessità dello studio e della formazione culturale tout court. Questo, almeno, è lo spaccato che si può osservare leggendo il libro di Davide Miccione “Lumpen Italia. Il trionfo del sottoproletariato cognitivo”. I caratteri fondamentali di questo fenomeno sono ben descritti nel libro sopra citato, ma occorre rilevare, ora, se vi siano altre cause ben più profonde all’origine di questo preoccupante fenomeno di disgregazione culturale.
In primo luogo, se oggi è presente un nichilismo passivo nella nostra società questo è erede dei decenni scorsi (Nietzsche avvisò sulla sua durata, quando affermava che egli stesse scrivendo «la storia dei prossimi due secoli»), rafforzato da certi fenomeni epocali quali il ’68. Non è semplice raccordare la nascita di questo nichilismo e i suoi sviluppi fino al corso attuale, ma utili letture in tal senso sono i libri di Ernst Jünger e Il Nichilismo di Franco Volpi.
Ad ogni modo, il nichilismo (che tramuta poi in anarchia assiologica) si è sviluppato contemporaneamente ad un apparato ideologico e di indottrinamento di massa di dimensioni colossali: i mass media, la TV, la pubblicità occidentale (la cui influenza nelle società occidentali dal secondo dopoguerra in poi è indiscutibile). Per comprendere il nocumento di tali apparati, con riferimento alla pubblicità, Aldous Huxley sottolineava come essa sia:
« lo sforzo organizzato di estendere e intensificare la bramosia, cioè di estendere e intensificare le operazioni di quella forza che (come hanno sempre insegnato tutti i santi…) è la causa principale di sofferenza e male » (A. Huxley, Filosofia Perenne)
Alla progressiva perdita di riferimenti valoriali ed esistenziali, dunque, si è avuta di converso una forza proattiva volta all’ottundimento delle capacità razionali a favore del sentimentalismo e dell’impulsività (che è il compito della pubblicità). Ciò, insieme alla costruzione di un apparato di notizie parziali, false, mistificate (compito della TV), ha impedito nel tempo una mancata comprensione del mondo reale “nel pubblico”, ossia nelle masse.
In una situazione paradossale, nell’era di Intenet si rischia anche il sovraccarico informativo (migliaia di notizie, siti web, canali Telegram, e così via). Notava con acume Carmelo Bene che «l’abuso di informazioni dilata l’ignoranza con l’illusione di azzerarla».
Il sistema mediatico è stato abbracciato acriticamente per decenni, nella noncuranza dei forti legami con i processi di svilimento estensivo impliciti nel nichilismo e nel relativismo. Le criticità già in parte qui rilevate furono sottolineate alcuni decenni fa (nel 1953) da Ugo Spirito:
« Una nuova società va determinandosi, che continua a combattere per inerzia, ma che in realtà vive tra l’indifferenza e lo scetticismo, dubitando di ogni fede e di ogni verità. E’ una società caratterizzata da stanchezza e disorientamento, che ai presunti ideali di ieri non sa che opporre il vuoto dell’oggi. » (La vita come amore)
Quel tipo di società di cui parlava Spirito ormai quasi settant’anni fa, aveva già in sé i caratteri che denunciava Simone Weil ben prima (nel 1934):
« Viviamo in una macchina che è diventata una macchina per infrangere i cuori, per schiacciare gli spiriti, per fabbricare incoscienza, stupidità, corruzione. » (L'attesa della verità)
Quel modello di società, tuttavia, non solo prese piede nella seconda metà del Novecento in tutto l’Occidente, ma nel tempo si è irregimentato, rafforzandosi nella dottrina neoliberista, a difesa del complesso sistema globale capitalistico. Il sistema capitalistico, qui, non va inteso come semplice modo di produzione. Esso, piuttosto, è da una parte la replicazione e l’estensione del potere del capitale; dall’altra, è un sistema complessivo di cultura e di vita (M. Scheler, Il borghese e i poteri religiosi). All’aumentare del potere del capitale si amplia una voragine di distruzione di tutto ciò che è antitetico ad esso: a rimanere intatti sono la cultura e la vita che il sistema ritiene opportuni; questi non possono che fondarsi nel nichilismo e nel relativismo, poi massicciamente propagandati per mezzo degli apparati di comunicazione (si incentiva una certa cultura e un certo stile di vita, non importa se vuoti o contraddittori, basta che siano remunerativi per il capitale). Il capitale, alla fine, si è irregimentato sia come struttura che come sovrastruttura. Questo è uno dei fattori che ha contribuito all’attuale crisi della cultura occidentale, che poi significa la perdita dei meccanismi di trasmissione di un vero sapere.
In particolare, la nascita della cultura woke e l’inquisizione del politicamente corretto operano in senso convergente con l’impero mediatico, informativo e di appiattimento culturale del capitalismo globale. Cancellare il passato e moralizzare argomenti o problematiche pongono ostacoli al libero circolare delle idee e all’esercizio della ragione. Notava Christopher Lasch (nel 1979):
« La negazione del passato, in apparenza ottimista e progressista, rivela a un esame più approfondito la disperazione di una società incapace di affrontare il futuro. » (La cultura del narcisismo)
La logica del sistema capitalistico si è saputa “vendere” e insinuare nella vita comune, in tutti gli angoli di società civile, e come un tarlo ora consuma ed erode le istituzioni, le comunità, il diritto, l’uomo, fino a lasciare non il nulla, ma il regno del degrado di mercato e dell’homo homini lupus. Più che terra barbarica, una terra alle estreme conseguenze del relativismo (quale relativismo è migliore di quello di mercato?). Per Pitirim Sorokin, il relativismo «cede il posto allo scetticismo, al cinismo, al nichilismo, che degenerano in anarchia mentale, morale, culturale». E’ il sopravvento, soprattutto, per dirla à la Tocqueville, delle passioni debilitanti: utilitarismo, narcisismo, trionfo dello spirito di calcolo.
Il motivo per cui viene messa in luce questo intricato gioco di forze contrarie alla cultura per come intesa all’inizio di questo breve scritto serve ad evidenziare la creazione di una subcultura profondamente legata al sistema di vita capitalistico. E se tale sistema ha una sua subcultura (definirla cultura sarebbe eccessivo), con ciò ha la capacità non soltanto di dirigere la vita economica, bensì anche quella sociale, culturale, spirituale. In poche parole, questo sistema nel tempo ha sviluppato un potere tale da plasmare un nuovo tipo di uomo. Questa è la grave denuncia del filosofo colombiano Gómez Dávila:
« Non biasimiamo il capitalismo perché produce disuguaglianze, ma perché favorisce l’ascesa di tipi umani inferiori. » (Escolios)
Non è solo la cultura, quindi, ad essere in pericolo. La cultura che Gramsci definisce come «organizzazione, disciplina del proprio io interiore, presa di possesso della propria personalità, conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri» (“Socialismo e cultura”, pubblicato su Il Grido del popolo, 29 gennaio 1916), questa è la cultura che plasma una società civile a misura d’uomo.
Questa cultura è la base dell’esistenza della società democratica, che si ricollega ad una elevazione e al riconoscimento dell’uomo e dei suoi limiti, non rinnegando né tralasciando la natura umana. Notava con acume Gramsci:
« Critica vuol dire appunto quella coscienza dell’io che Novalis dava come fine alla cultura. Io che si oppone agli altri, che si differenzia e, essendosi creata una meta, giudica i fatti e gli avvenimenti oltre che in sé e per sé anche come valori di propulsione o di repulsione. Conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, vuol dire essere padroni di se stessi, distinguersi, uscire fuori dal caos, essere un elemento di ordine, ma del proprio ordine e della propria disciplina ad un ideale. » (Ibidem)
Se oggi, infine, sono stati coniati nuovi termini quali “neoproletario” (di Tommaso Labranca), “sottoproletariato cognitivo” o “iper-ignorante” (termini che compaiono in “Lumpen Italia” di Miccione) non è a causa della puntigliosità di certi intellettuali, quanto più perché oggi possiamo già vedere i risultati di questo lungo processo di distruzione “immateriale” della civiltà occidentale, che ha avuto diversi fattori, tra cui, appunto, il processo storico di rafforzamento e pervasività delle logiche capitaliste (tra diverse cause risulta essere tra le più rilevanti). Sottolineare questo aspetto diviene fondamentale per comprendere che il sistema in cui si vive e si è immersi quotidianamente non decide solamente le sorti economiche e sociali degli uomini, ma ne plasma la mente, i caratteri, le idee: il sistema capitalistico è sorretto da una precisa metafisica.
15 ottobre 2022
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