Una delle posizioni più condivise e diffuse quando si affronta il tema della bellezza e l’azione di godimento estetico si esplica nel considerare il bello come massima espressione della soggettività e si concretizza nell’assunto popolare “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. Analizzando, tuttavia, queste parole sotto la lente d’ingrandimento della riflessione della filosofia dell’arte ci si chiede: è realmente possibile pensare al piacere estetico come ad un concetto? Se il bello è soggettivo, perché la percezione di alcuni prodotti artistici suscita, in gran parte degli uomini, un senso di forte appagamento? Che cosa si intende per valore “universale” di un oggetto estetico?
di Annalisa Boccucci
C. Monet, Impressione, levar del sole (1872)
Nel tentativo condiviso e prevalentemente diffuso di legare la percezione della bellezza di un artefatto umano o naturale al soggetto che compie l’azione percettiva, emerge, ripetutamente e ciclicamente, una volontà profondamente radicata nei tempi e negli orizzonti culturali che inquadra il gusto estetico come un qualcosa di intrinsecamente soggettivo, variabile attraverso le epoche e le forme e mutevole in relazione al bagaglio di esperienze e alle caratteristiche del soggetto che viene in contatto con l’opera che sta ammirando o con il frammento musicale che sta ascoltando.
Tutto ciò sembrerebbe plausibile se non esistessero degli oggetti artistici che, di fatto, si dimostrano in grado di raccogliere delle sensazioni di piacevole appagamento in molti soggetti umani tra loro diversi per esperienze, età e posizione sociale: cosa permette ad un dipinto come la Nascita di Venere di Botticelli di costituirsi come modello di bellezza e di perfezione delle proporzioni del corpo che gran parte di noi è in grado di cogliere? Perché, ascoltando la Toccata e fuga di Bach, si riesce a percepire un coinvolgimento emotivo così profondo da rimanere immersi in ogni singolo passaggio melodico? Pittura e musica assommano e mostrano due stili completamente differenti di rappresentare il bello estetico; entrambe sono, però, accomunate dalla capacità di colpire le corde più profonde dello spirito umano che altro non è, per dirla con le parole di Hegel, che la modalità con la quale ogni uomo di ogni età e condizione, concettualizza, conosce e apre la sua finestra sul mondo.
L’arte si presenta come momento imprescindibile e centrale dell’esperienza umana del reale e, in quanto veicolo di trasmissione della bellezza, si dimostra in grado di porre il problema della concettualizzazione del bello: nella grande tradizione della filosofia tedesca, la riflessione sulla produzione artistica come un qualcosa che è al di là del puro piacere soggettivo ci viene proposta dal padre dell’idealismo. Hegel vede, nell’opera d’arte, la realizzazione completa di ciò che egli chiama Entwicklung (sviluppo): movimento dello spirito che, da fuori di sé, ritorna in sé e consente di compiere l’azione del pensiero, la realizzazione della conoscenza; quel tentativo, compiuto dalla componente soggettiva dell’uomo, di afferrare il concetto.
Le parole che Paolo Giuspoli ci consegna all’interno di un saggio intitolato L’assoluta libertà dello spirito. L’arte come forma di autocoscienza dell’umano, consentono di comprendere al meglio la grande eredità che la posizione hegeliana sull’arte consegna alla riflessione contemporanea:
« (…) L’opera d’arte non consiste più nella raffigurazione di un oggetto, ma piuttosto nell’apertura di uno spazio riflessivo. L’opera d’arte vera, nota Hegel, si va trasformando in un invito alla considerazione pensante, funzionale alla conoscenza dell’arte più che al suo godimento. L’arte si va dunque trasformando in una pratica che ha sempre meno a che fare con il saper descrivere oppure saper trasporre in un formato diverso ciò che altrimenti ci si presenta agli occhi empiricamente, e invece va assumendo una funzione di sollecitazione del pensiero (…). » (P. Giuspoli, L’assoluta libertà dello spirito. L’arte come forma di autocoscienza dell’umano, in Hegel, Carocci 2010).
In questa interpretazione del ruolo che l’arte ricopre nel mondo è contenuta una grande lezione che, soprattutto nei frenetici tempi contemporanei in cui la velocità e la presunzione di conoscere esclusivamente ciò che oggettivamente si tenta di codificare come “utile” regnano sovrani, dovremmo essere sempre in grado di tenere a mente: cogliere la bellezza di un artefatto non è un esercizio di pura percezione che provoca un piacere fine a se stesso, è un atto di libertà del pensiero e, il pensiero, è una facoltà che definisce l’uomo in quanto tale ed è quindi propria di ogni soggetto che, attraverso l’azione dei sensi, inizia quel movimento dello spirito che lo porterà a concettualizzare la sua esperienza del reale.
La centralità dell’atto di percezione del valore universale di un prodotto artistico, che attraversa le epoche e si pone come archetipo, come modello di bellezza e di perfezione in grado di appagare prima i sensi e di ridestare poi la mente, si svela nel pensiero del soggetto che, grazie ad esso, si esprime nella sua più piena e compiuta libertà e rivela quella spinta di cui il contemporaneo non può fare a meno; quella plastische Kraft (forza plastica), per dirla con le parole di Nietzsche, che l’uomo deve porre al centro del suo atto di conoscenza della realtà, superando le catene della storia nella sua linearità e ritrovando quell’ approccio ciclico e vitale che aveva caratterizzato l’esperienza degli antichi.
P. Cezanne, Il vecchio giardiniere (1906)
In un’ottica di analisi minuziosa e approfondita del contatto con le diverse forme espressive dei contenuti artistici risulta fondamentale prendere in considerazione l’analisi comparativa che un grande filosofo come Maurice Merlau-Ponty propone nel suo ultimo saggio intitolato L’occhio e lo spirito e pubblicato da Andrè Chastel sul primo numero di Art de France nel 1960.
La riflessione di Merlau-Ponty parte dall’esigenza di definire lo stato di salute dell’arte pittorica e la differenza, visibile nell’approccio estetico, con il canone espressivo musicale, già individuato da autori come Hegel, Nietzsche e Schopenhauer come una delle vie privilegiate di espressione di quell’attività prettamente umana che si configura nel movimento dello spirito.
Il pensatore francese descrive in questo modo il ruolo che l’arte e, nello specifico, la musica e la pittura ricoprono nella realtà contemporanea del Novecento:
« (…) L’arte, e la pittura in particolare, attingono a questo strato di senso bruto che l’attivismo preferisce ignorare e son le sole a farlo in tutta innocenza. Allo scrittore, al filosofo, domandiamo un consiglio o un parere, non ammettiamo che tengano gli altri in sospeso, esigiamo che prendano posizione, non possono declinare le responsabilità dell’uomo che parla. La musica, al contrario, è troppo al di qua del mondo e del designabile per poter raffigurare altro che intelaiature dell’Essere, il suo flusso e il suo riflusso, la sua crescita, le sue esplosioni, i suoi vortici. Il pittore è l’unico ad aver diritto di guardare tutte le cose senza alcun obbligo di valutarle. Si direbbe che davanti a lui le parole d’ordine “conoscenza” e “azione” perdano il loro potere (…). » (M. Merlau-Ponty, L’occhio e lo spirito, 1960).
Il fine ultimo del contatto con l’opera d’arte, quella pittorica in particolare, è mettere l’uomo di fronte alla brutalità del reale: il quadro, la raffigurazione che, nel Novecento, viene messa in discussione sfaldandosi e mostrandosi nelle forme caratteristiche della sfigurazione, è uno specchio, all’interno del quale l’anima del pittore, che è autentica, priva di filtri e, a differenza di quella del musicista, al di sopra delle «intelaiature dell’Essere» , mostra a tutti i soggetti che la percepiscono il loro riflesso, portandoli ad un atto di pensiero sulla realtà che è puro e spontaneo esercizio dello spirito.
In questo senso, l’attività di approccio e di contatto con l’arte diventa un’esigenza che tutti gli uomini, proprio perché dotati di capacità percettiva e riflessiva, devono pretendere e portare avanti: l’opera d’arte è un veicolo e porta i sensi del soggetto a percepire la bellezza che, non bloccandosi al primo livello della conoscenza, quello che Hegel definirebbe astratto, superficiale, è in grado di attivare il movimento dello spirito, l’attività della ragione che conduce alla conoscenza vera, al concreto, al bello come concetto e si trasforma in qualcosa di tangibile, di afferrabile che tutti, in un’ottica di lenta riflessione e impegno, sono in grado di riconoscere ed afferrare.
15 settembre 2022