Sul danno e l'utilità della fotografia per la vita

 

Qual è il ruolo della fotografia all’interno della nostra società? Ha ancora un significato sociale e culturale, riesce ancora a esprimere il ruolo che gli esseri umani mantengono col mondo? Nel racconto L’avventura di un fotografo, contenuto all’interno del libro di Italo Calvino Gli amori difficili, emergono riflessioni antropologiche sulla relazione che l’essere umano ha con gli oggetti e col mondo.

 

di Luca de Vincentiis

 

 

All’interno dei racconti di Italo Calvino, nel libro che porta il titolo Gli amori difficili, c’è un breve racconto che s’intitola L’avventura di un fotografo. Antonino Paraggi è il protagonista di questa storiella: un uomo scapolo che lavora in un’impresa, ma la cui vera passione era quella di commentare con gli amici gli avvenimenti piccoli e grandi sdipanando il filo delle ragioni generali dai garbugli particolari; egli era insomma, per atteggiamento mentale, un filosofo. La storiella si svolge in primavera, un periodo che vede centinaia di migliaia di cittadini uscire la domenica in compagnia della propria macchina fotografica, oltre che di amici e parenti, per fotografare. Gli anni raccontati da Calvino sono quelli dell’attesa e della stanza oscura, dello sviluppo delle fotografie e della possibilità di poter realmente mostrare ciò che la memoria, invece, potrebbe non ricordare bene. A questo proposito, l’atteggiamento filosofico del protagonista s’incontra con l’arte della fotografia. Antonino Paraggi non comprende i motivi che portano i suoi simili ad avvicinarsi a questa attività e, a chi già da un po’ di tempo si esercita, a continuare a fotografare i momenti della propria vita.

 

« Antonio Paraggi capiva che né l’uno né l’altro motivo di compiacimento era decisivo: il segreto stava altrove. » (I. Calvino, Gli amori difficili, Le avventure di un fotografo)

 

Il protagonista del racconto di Italo Calvino si rende conto di un altro fatto, ovvero che i suoi amici, ormai sposati e genitori, amano fotografare i propri figli ininterrottamente perché coscienti del rapido sviluppo dell’infante. Antonino Pareggi diventa sempre più consapevole di questo fatto, tanto’è che comincerà a ritrovarsi, all’interno della sua cerchia di amici che l’hanno accompagnato dalla giovinezza all’età adulta, sempre più isolato, seppur non escluso. Infatti, partecipa alle continue gite in mare o in montagna e non si tira indietro quando c’è da scattare una foto di gruppo che richiedeva all’epoca, in assenza dei timer di cui oggi sono provvisti macchine fotografiche e, soprattutto, i telefoni cellulari più comodamente chiamati smartphone, qualcuno che stesse propriamente lì col dito pronto sul grilletto. 

 

La lettura di questa storiella, cercando ora di esporne le riflessioni scaturite dalla lettura senza spegnere la curiosità, è più che raccomandata. La prima domanda che sorge è questa: che cosa penserebbe Italo Calvino, attraverso gli occhi di Antonino Paraggi, della fotografia di oggi? Più nel dettaglio: che cosa ne penserebbe delle migliaia di selfie, delle migliaia di fotografie che inquadrano colazioni pranzi e cene al ristorante, ai cenoni di famiglia o a casa della nonna? Che cosa penserebbe dell’immediata realizzazione di una foto, della sua possibilità d’essere condivisa all’istante, d’essere apprezzata o di non esserlo secondo i numeri di “Mi piace”? Una storia che ha le vesti di paradosso del sorite, in cui la sabbia lascia il posto al mi piace e il nuovo paradosso è: in quale esatto momento il numero di “Mi piace” corrisponde all’esatta approvazione? (Mi rendo conto non sia perfetto, ma si accenni un sorriso). In definitiva: che cosa penserebbe dell’uso smodato che oggi si fa della fotografia? E forse la risposta è contenuta all’interno del racconto stesso, è possibile trovarla tra le righe:

 

I. Calvino (1923-1985)
I. Calvino (1923-1985)

« Perché una volta che avete cominciato, non c’è nessuna ragione che vi fermiate. Il passo tra realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo. » (I. Calvino, Gli amori difficili, Le avventure di un fotografo)

 

E ancora:

 

 « Ah che bello, bisognerebbe proprio fotografarlo!» e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima porta alla stupidità, la seconda alla pazzia. » (I. Calvino, Gli amori difficili, Le avventure       di un fotografo)

 

La prima porta alla stupidità, ovvero il vivere in modo quanto più fotografabile possibile; la seconda alla pazzia, ovvero considerare fotografabile ogni momento della propria vita. Non sono, questi descritti da Antonino Pareggi, due atteggiamenti che si sono realizzati nella nostra società? Che, preso per pazzo stupido e rompiscatole dai suoi amici, consigliava d’essere coerenti e quindi di scattare almeno una foto al minuto, da quando si aprono gli occhi a poco prima di chiuderli per andare a dormire. 

Se il fine della fotografia è rendere eterno un istante – dare, perché no, la possibilità alla memoria di fare luce su quei dettagli di un determinato evento che altrimenti andrebbero perduti nei processi della memoria stessa –, c’è nell’azione stessa di fotografare un limite il quale, se oltrepassato, perde di significato, smarrisce il senso del fine? Che cos’è la fotografia? Che cosa dovrebbe essere la fotografia? 

La fotografia che Italo Calvino ci racconta, attraverso gli occhi del suo protagonista, era quella dove le pose avevano un significato sociale, un costume, un gusto, una cultura. Ogni foto dava un senso del ruolo o dell’istituzione che con sé portava serietà e importanza, autorità o falsità. La foto rappresentava il rapporto che gli esseri umani tenevano col mondo tutto. Non che oggi la foto abbia perduto questo ruolo, è solo che la sua completa accessibilità ha espanso (se non annullato) il senso e il fine della fotografia. 

La fotografia è una ricerca: nell’atto prima dello scatto e quello subito dopo, a foto fatta, c’è un mondo che non è già più come lo avevamo deciso di fotografare e un mondo che sarà destinato a essere in eterno. Nell’idea della foto, e questo Antonino Pareggi cerca di perseguirlo con Bice, la donna con la quale si troverà ad approfondire il doppio rapporto fotografo-modella e fotografia-amore, l’intento è di voler cercare quella fotografia unica che sia in grado di contenere le molte fotografie di Bice possibili e molte Bice impossibili a fotografare.

Persegue questo intento anche il nostro modo di vivere quotidianamente la fotografia? Oppure siamo diventati stupidi e pazzi? E rompiscatole, direbbero gli amici di Antonino Pareggi. 

 

10 settembre 2022

 







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