Contatto, odore, allattamento, riconoscimento tattile e rassicurazione fonetica della madre, sono infatti bisogni primari etologici, biologici e ontologici non surrogabili che fondano la capacità di attaccamento, affettività e autostima nel bimbo e quindi nell'adulto.
di Giulia Bertotto
Attualmente gran parte del mondo della psicologia in Italia sembra astenersi o perfino avallare la pratica dell'utero in affitto, dimostrando così di aver abdicato ai suoi compiti, ignorando e perfino tradendo le regole fisiologiche e psicologiche dell'attaccamento, nonostante le più recenti prove neuroscientifiche di quanto sia essenziale e profondo il legame tra madre e neonato. Nell'augurarci un pronto risveglio di questa disciplina e dei suoi professionisti ci domandiamo: come ha recepito la questione la filosofia? Non è una domanda a cui possiamo rispondere con esaustività ma cercheremo di offrire spunti validi alla riflessione.
Se dal punto di vista psicologico l'utero in affitto si presenta a tutti gli effetti come un abuso sulla persona, cioè innanzitutto sul neonato, anche la concezione filosofica che accompagna questa pratica implica una concezione aberrante dell'umano.
Quando la filosofia di una società umana diventa una filosofia che oggettifica l'umano, non riconosce più la persona come tale, cade la società stessa, la quale invece si fonda sul valore non contrattabile dell'Umano.
Spiega la filosofa Rivka Weinberg, che senza mezzi termini parla di una riesumata schiavitù
« trattare una persona come un oggetto di contratti commerciali contraddice una visione accettata da più di due secoli secondo la quale le persone vanno considerate esseri con fini e dignità a sé stanti, non piegabili agli scopi altrui. »
Per l'accademica, la questione resta tale anche laddove il nascituro venisse ceduto come dono.
Il filosofo morale Massimo Borghesi definisce l'utero in affitto «la discussione intellettuale più interessante nell'attuale momento storico». Lo scontro infatti, secondo Borghesi, evidenzia la lotta tra due rami del femminismo: uno che nel rivendicare i diritti individuali della donna che vuole essere madre conto terzi, li antepone a quelli di coloro che sono coinvolti nella realizzazione del diritto stesso; e uno che non rivendica la promozione dell'individuo a discapito del benessere dell'altro, ossia della donna che presta il suo corpo e del bambino che viene prodotto su ordinazione di coloro che lo commissionano. La prima corrente si avvicina paradossalmente e pericolosamente alla più bieca espressione del capitalismo biologico, la cui concezione del “diritto” si espande sul terreno del potere bio-tecnico ed economico. Progresso dunque, ma lo è? E a che prezzo?
La filosofa francese Sylviane Agacinski nel 2015 promosse un manifesto su Liberation, firmato da 160 personalità pubbliche, molte laiche e atee, in cui era scritto che non basta il desiderio a giustificare la “fabbricazione” di un essere umano per conto di terzi:
« Riconosciamo la forza del desiderio di paternità, ma come accade per la maggior parte dei desideri, devono essere posti dei limiti. (…) Noi pensiamo che la Gpa debba essere vietata perché costituisce una violazione dei diritti umani delle donne e dei bambini. »
Secondo questa intellettuale deve levarsi un immediato no universale contro «La pratica della maternità contrattuale: qualunque sia la sua tariffa, crea confusione tra le persone e i beni» ma da anni viene perseguitata per la sua opposizione alla Gpa: avrebbe dovuto tenere una conferenza intitolata L’essere umano nell’epoca della sua riproducibilità tecnica all’Università Bordeaux Montaigne, ma di “fronte alle minacce violente” di una serie di gruppi e collettivi radicali di sinistra la direzione dell’ateneo è stata costretta ad annullare l'incontro. Il 2 febbraio 2016 a Parigi, è comunque stata sottoscritta una Carta per proporre agli Stati europei l'abolizione universale della maternità surrogata.
Come ha rilevato l'ostetrica e attivista Rachele Sagramoso viviamo in una “società adultocentrica”, nella quale vengono osservate e rispettate solo quelle volontà che sono capaci di affermarsi legalmente o verbalmente. Ciò che chiamiamo modernità dunque non è che il primato dell'adulto sul minore e specialmente sul neonato, che si fonda la barbarie dell'UiA. Lo scriveva a proposito del parto e della violenza ostetrica (che può declinarsi sia a danno della madre sia del neonato e quindi di entrambi), il ginecologo e ostetrico francese Frédérick Leboyer capace con immensa sensibilità ed empatia di mettersi nei panni del neonato appena partorito, investito da sensazioni fortissime, istinto di contatto verso la mamma, unico universo conosciuto e rassicurante e impulsi di protezione.
Così descrive con forte pathos il piccolo appena emerso dal grembo materno
« C'è bisogno di commenti? Quella fronte tragica, gli occhi chiusi, le sopracciglia inarcate, arruffate... La bocca urlante, testa rovesciata che tenta di sfuggire... Le mani che si prendono, implorano vengono supplicano poi vanno verso la testa: gesto di calamità...
(...) La carne che è tutta spasmi, trasalimenti, scosse... Non parla il neonato? Tutto il suo essere grida, tutto il suo corpo urla: Non toccatemi! Non toccatemi! Nello stesso tempo implora, supplica: non abbandonatemi! Aiutatemi! Aiutatemi! »
La nostra società è dunque sempre più ossessionata dalla tutela formale e dall'uguaglianza linguistica, ma si rivela incapace di agire con saggezza e intuito nella tutela della fisiologia e della psicologia del neonato. Il disconoscimento del neonato come essere umano senziente è una delle più palesi e mostruose contraddizioni della nostra epoca, della nostra tanto rivendicata modernità.
Scrive con efficacia il filosofo Diego Fusaro:
« Meno di vent’anni fa sarebbe parso impossibile. Oggi appare invece impossibile che vi sia chi si opponga a tale pratica: subito è bersagliato dal coro virtuoso dei benpensanti come retrogrado, oltranzista, antimoderno e, naturalmente, “omofobo”, l’etichetta più in voga nel tempo della neolingua e della polizia dei costumi. Alludo alla nuova pratica dell’“utero in affitto”, che l’ipocrisia del pensiero unico e l’astuzia della neolingua hanno scelto di chiamare, con discrezione, “maternità surrogata”. A un primo sguardo, sembrerebbe una pratica emancipativa, da salutarsi con gioia. (…) Sembra, a tutti gli effetti, una pratica emancipativa: che permette di diventare mamma anche a chi, per vari motivi, non potrebbe diventarlo. Se non fosse che, nel tempo dell’ipocrisia universale, si omette – guarda caso – di specificare l’aspetto fondamentale e cioè che a regolare questo passaggio, per cui una donna cede il proprio utero a un’altra, è la fredda logica del do ut des liberoscambista. Utero in affitto, appunto. Mercificazione del corpo. Il capitale, che un tempo si arrestava ai cancelli delle fabbriche, oggi si è impadronito della nuda vita: utero compreso. L’economia si è impadronita della vita, facendosi bioeconomia: ha rimosso il confine tra ciò che è merce e ciò che non lo è né può esserlo. Il vecchio slogan femminista 'l’utero è mio, me lo gestisco io', frutto di una stagione di lotte e di benemerite rivendicazioni dell’emancipazione femminile, è oggi stato riadattato dal capitale in funzione della sua sola norma, la valorizzazione del valore: l’utero è tuo e 'puoi' affittarlo a chi vuoi. »
La categoria storica di “modernità”, viene spesso elevata a valore etico e civile di per sé, che opera inevitabilmente nel segno del progresso umano sulla terra. Questa prerogativa dichiara di essere scevra da una visione teleologica dell'esistenza, tuttavia lungi dall'essere razionale, si rivela quasi sempre un pregiudizio o uno stereotipo come molti altri.
Riflettiamo sul fatto che spesso l'utero in affitto viene presentato come moderno, in quella concezione che vede la modernità necessariamente legata al raggiungimento di un'etica superiore e di conquiste di civiltà. Tutta la procedura della pratica avviene nel totale anonimato, viene mantenuta una distanza tra genitori che commissionano la gravidanza e madre-fattrice. Non si vuole in questa sede fare sovrapposizioni indebite e forzare le parole di un filosofo che non ha mai incontrato il tema dell'UiA, tuttavia non possiamo ignorare alcuni elementi già analizzati dall'illustre filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman: distanza fisica, anonimato, sostituibilità e burocratizzazione, sono tra le caratteristiche che hanno permesso la spersonalizzazione collettiva dell'Umano, conducendo (certo nella sinergia viziosa con altri fattori ideologici, mitici e politici) agli orrori del nazismo:
« Nell'uccisione a distanza il legame tra una carneficina e un'azione del tutto innocente-come premere un grilletto, o girare un interruttore della corrente elettrica o battere un tasto sulla tastiera di un computer- è destinato a rimanere una nozione puramente teorica (questa tendenza viene poi enormemente favorita dalla discrepanza di scala tra l'esito e la sua causa immediata, un'incommensurabilità che impedisce facilmente la comprensione basata sul senso comune). E' pertanto possibile essere un pilota che sgancia bombe su Hiroshima o su Dresda, eccellere nei compiti svolti in una base di missili teleguidati o progettare modelli di armi nucleari sempre più devastanti, senza per questo perdere nulla della propria integrità morale e arrivare a una qualche crisi etica (l'invisibilità delle vittime fu, presumibilmente, un importante fattore anche nei tristemente noti esperimenti di Milgram). »
La filosofa e giornalista Enrica Perucchietti asserisce che la peggiore violenza che si nasconde dietro questa pratica riguarda la violenza dell'indottrinamento che ci porta a credere che un essere umano possa essere venduto o donato. Negli stati asiatici e nell'Est Europa la pratica si configura come vero e proprio sfruttamento schiavista, dove le donne sono costrette dalla famiglia o dai mariti a fare da fattrici, come unica fonte di reddito. Uno schiavismo coloniale di nuova forma, spiega la Perucchietti, per giro d'affari stimato in 400 milioni di dollari all'anno. Questo ha portato a vere e proprie cliniche-fabbriche, in cui le donne vengono quasi internate, prive di assicurazione sanitaria, costrette quasi sempre al parto cesareo, per la tutela del prodotto finale, il bambino, a danno della donna che è solo la fabbricante materiale del rischioso business.
Il diritto naturale e ontologico del neonato a essere accudito e alimentato dalla madre naturale non è in alcun modo equiparabile al presunto diritto di avere un figlio, a tal punto che per la specie umana parliamo non solo di endogestazione, che avviene nel ventre materno, ma anche di esogestazione che si completa al di fuori di esso. Contatto, odore, allattamento, riconoscimento tattile e rassicurazione fonetica della madre, sono infatti bisogni primari etologici, biologici e ontologici non surrogabili che fondano la capacità di attaccamento, affettività e autostima nel bimbo e quindi nell'adulto.
Come ci dimostra la letteratura sul tema della deprivazione materna, quando un bimbo viene abbandonato si verifica un dramma esiziale nella psiche del piccolo, a cui si cerca di porre rimedio con l'adozione. Proprio per questo nessun ente, stato, agenzia può progettare e intavolare questo abuso come accade con l'utero in affitto.
Purtroppo questo risulta invece non solo ammissibile, ma perfino auspicabile, perché la nostra cultura spesso calpesta le esigenze del neonato e della puerpera, in quanto è lontanissima dalla fisiologia umana; quella umana è una specie ad alto contatto, i nostri cuccioli sono dipendenti dalla mamma per molti anni. Dunque è fisiologico che il bambino sia a stretto contatto con la mamma per tutti i primi mesi e che venga allattato per diversi anni. Come accade nei primati. Così come il fatto di essere vicini la notte, e il portare il bimbo in braccio durante il giorno quando ci si sposta. La nostra specie si è plasmata per accudire un bambino inerme per molto tempo, in un ambiente ostile abitato da predatori. Stare insieme sempre e dormire insieme è questione di vita o di morte. Il fatto che ci siamo trasformati in animali da tana, con tanto di telecamere ed entrata automatica, non significa che biologicamente i nostri cuccioli abbiamo mutato le loro esigenze etologiche, psichiche e affettive. L'Organizzazione Mondiale della Sanità e il Ministero della Salute, ci mostrano gli effetti benefici su entrambi, al crescere della durata dell’allattamento, per la salute di mamma e bambino; è auspicabile che l’allattamento al seno si protragga il più a lungo possibile, fino ai 2 anni e oltre. Le evidenze si possono trovare nel documento del Ministero della Salute, Allattamento al seno oltre il primo anno di vita e benefici per lo sviluppo cognitivo, affettivo e relazionale del bambino. Ideale per mamma e bambino è l'“Allattamento a termine” che si realizza assecondando i tempi del bambino, lasciando che sia lui a distaccarsi quando si sentirà pronto, il che accade normalmente dopo i due anni. Vediamo dunque come una categoria storica come quella di modernità sia estranea alla relazione madre-neonato, la quale è un patrimonio affettivo-ontologico inalienabile proprio di un legame irripetibile a cui non si applicano criteri storico-cronologici.
L'utero in affitto è dunque fisiologicamente aberrante, emotivamente traumatico e filosoficamente inaccettabile. Anche laddove si configuri (o idealmente si prometta) come dono. Un bambino non è un dono perché la Persona non è un oggetto ma Soggetto di Vita e di diritto. Non c'è quindi nessuna parola edulcorante capace di insabbiare l'abominio del progettare un essere umano per cederlo come qualcosa di inerte.
Aggiungiamo che anche laddove una donna dichiari di prestarsi a questa pratica, questo non la legittima a farlo in vece del nascituro
« Il rapporto neonato-madre è un patrimonio irripetibile e inalienabile di sensazioni olfattive ed emotive, di rassicurazioni e gratificazioni. Una memoria implicita e non verbale che ci condiziona per tutta la vita, un tesoro di risorse che il futuro adulto saprà ritrovare, nella realizzazione professionale, in amicizia, nei legami sentimentali, davanti alla perdite e al lutto. »
Questo rende la maternità non surrogabile, senza se e senza ma.
Restiamo vigili perché si scrive maternità solidale, ma si legge sfruttamento primario. Stiamo attenti perché ciò che ci offrono non è un mondo di nuove esaltanti libertà e opportunità, ma una violenta opera di manipolazione della fisiologia, della psicologia profonda, nel tentativo di plasmare una nuova filosofia dell'umano oggettificabile.
20 settembre 2022
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