Oppenheimer è un film capace di far rivivere il dilemma della bomba atomica, a quasi ottant’anni dalla sua invenzione: quali sono stati i suoi effetti sulla società umana? È stata un’invenzione necessaria per scongiurare il procedere di conflitti globali o un punto di non ritorno verso la catastrofe?
«La teoria arriva fino a un certo punto»: questa una frase che viene ripetuta a più riprese in Oppenheimer, ultima fatica e capolavoro di Christopher Nolan. Teoria che non può essere divisa dalla pratica, con cui vengono testate le ipotesi e i risultati ottenuti sulla carta, che anelano alla certezza ma non sempre possono ottenerla, specie in campi come la fisica. Ecco, allora, che l’atto pratico diventa la prova del nove: la modalità con cui capire se qualcosa non torna nei calcoli o se i risultati teorici si rivelano corretti.
A volte, la pratica è anche il mezzo con cui ci si rende davvero conto di cosa significa una nuova teoria. Come certe scoperte possano portare tanto a strumenti che aprono le porte al progresso, quanto a creazioni drammatiche, che rischiano di portare l’umanità verso il baratro. La scoperta della bomba atomica è una di quelle invenzioni dove si è passati da calcoli fatti su carta ed esperimenti in laboratorio a un’arma di distruzione di massa dalla potenza inaudita. Un’invenzione su cui l’opinione pubblica non è unanime: ha portato un contributo all’umanità o l'ha condannata a vivere nella paura del suo autoannientamento?
Il film di Nolan ha la capacità di riaprire con forza immane tale dubbio: era meglio non fosse mai stata creata tale arma? Era possibile evitare di giungere alla messa in atto di un tale ordigno distruttore?
Sulla sua creazione, all’inizio, il film sembra fugare i dubbi: l’atomica andava creata negli Stati Uniti, erano gli stessi scienziati a dirlo. La lettera scritta da Leó Szilárd e firmata da Albert Einstein, inviata al presidente degli Stati Uniti Roosevelt nell’agosto 1939, ammoniva sul pericolo che la Germania nazista riuscisse ad arrivare per prima alla creazione delle bombe atomiche:
« Uno solo di tali ordigni, trasportato via mare e fatto esplodere in un porto, potrebbe distruggere l'intero porto e parte del territorio circostante. »
E sulla necessità che gli Stati Uniti cominciassero un loro programma che riunisse i migliori fisici con cui poter testare le possibilità pratiche di uno sviluppo dell’ordigno atomico. La storia del progetto Manhattan la si conosce e il film Oppenheimer la fa rivivere in grande stile: alla fine gli Stati Uniti sono riusciti ad arrivare per primi alla bomba atomica. Ma ci sono arrivati quando ormai i nazisti erano stati sconfitti e i giapponesi erano in una situazione militare estremamente critica. A questo punto, iniziarono a sorgere i dubbi: era necessario davvero usarle su due città giapponesi? Erano il mezzo inevitabile per porre fine alla guerra e a continue sofferenze, o un modo con cui gli Stati Uniti potevano mostrare il loroincredibile potere militare, anche a fronte di quell’alleato che, alla fine della guerra, sarebbe diventato il loro principale nemico: l’Unione Sovietica?
Di sicuro, si sa che le bombe esplose su Hiroshima e Nagasaki di vittime ne hanno fatte a centinaia di migliaia, fra deceduti all’istante e morti nei giorni, settimane e mesi successivi, a causa dei danni subiti dalle radiazioni. E di sicuro, si sa che dopo quella bomba, le ricerche per creare atomiche ancora più potenti sono proseguite, fino a giungere, in Unione Sovietica, alla Bomba Zar: il più potente ordigno nucleare sperimentato, il cui prototipo fatto esplodere aveva una potenza di 50 megatoni, 1570 volte più potente delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki combinate assieme. Una bomba il cui “fungo” raggiunse i 64 kilometri di altezza, il cui raggio di distruzione totale sul suolo fu di 55 kilometri totali, a dispetto dei pochi kilometri su cui si estendeva il raggio di distruzione delle prime bombe atomiche. Si è arrivati così a un arsenale nucleare dalla forza distruttrice tale, a livello sia di potenza dei singoli ordigni che di numerosità – con più paesi che detengono tali armi, con Stati Uniti e Russia che primeggiano con migliaia di esse –, che l’autoannientamento dell’umanità non è più una chimera.
Una parte del film, a parere mio, molto significativa è il momento nel quale il gruppo di fisici che lavora con Oppenheimer paventa la possibilità che un ordigno atomico, secondo i calcoli, possa scatenare una reazione a catena che bruci tutta l’atmosfera, causando la fine della civiltà umana. Nel finale del film, si scopre cosa si erano detti Oppenheimer ed Einstein durante un loro incontro che si scorgeva all’inizio del film:
« [Oppenheimer] Albert, quando venni da te con quei calcoli, pensavamo che avremmo potuto scatenare una reazione a catena che avrebbe distrutto il mondo intero.
[Einstein] Lo ricordo bene. E quindi?
[Oppenheimer] Penso che l’abbiamo scatenata. » [1]
Si mette in luce il dubbio che ha assillato tanto Oppenheimer quanto altri fisici dell’epoca: la bomba atomica non ha aperto a un’epoca di distruzione umana? Specie a fronte di un mondo che, subito dopo la prima atomica, ha puntato alla creazione di armi nucleari ancora più potenti, come la bomba a idrogeno, rispetto al cui sviluppo Oppenheimer mostrò il suo dissenso.
L’unica giustificazione, da alcuni adottata, è sempre stata quella per cui la creazione dell'atomica era inevitabile. Era necessario evitare che venisse scoperta prima dai nazisti o da una forza che l'avrebbe usata per scopri distruttivi. E ora che l’atomica è detenuta da più paesi, è il tassello che garantisce l’impossibilità di conflitti su larga scala, per paura che una potenza reagisca con ordigni di distruzione di massa. Eppure, la storia ha smentito – e sta smentendo – tale prospettiva: i conflitti sono proseguiti in più paesi, sprovvisti di un arsenale nucleare, ma anche col coinvolgimento di superpotenze, come gli Stati Uniti e l’Urss prima e la Russia poi. Potenze a cui basta delineare delle linee rosse, dei limiti da non valicare, oltre i quali si userebbero armi nucleari; ma senza valicare la linea rossa, si va avanti tranquillamente con la guerra convenzionale, che causa centinaia e migliaia di morti senza problema, giorno dopo giorno. Ucraina docet.
La vera domanda, allora, che mi è sorta guardando Oppenheimer, è: siamo sicuri che il vero tassello per garantire la pace sia un ragionamento in negativo? Non vengo attaccato dal mio nemico perché ho un’arma nucleare?
Se il principio di partenza sarà l’esistenza di un nemico, verso il quale i problemi vanno risolti con la violenza, la direzione sarà quella di aumentare sempre più il proprio arsenale, convenzionale e non. Anziché spendere nel progresso dell’umanità, si continuerà a progredire in direzione del baratro.
Forse era vero che non si poteva evitare la creazione della bomba atomica: la scienza progredisce e apre le porte tanto a invenzioni miracolose quanto a ordigni tragici. La direzione che si intraprende non dipende dalla scienza in se stessa, ma dal pensiero che decide cosa è valido costruire. Se si costruiscono bombe anziché scuole o ospedali, il motivo non è una nuova scoperta, ma come viviamo il rapporto con l’altro. Oppenheimer aveva ragione a sentirsi colpevole per aver creato la bomba atomica? Forse sì. Ma dovrebbe, a maggiore ragione, sentirsi colpevole ogni essere umano – ma soprattutto chi detiene il potere economico, politico, militare – che non ha la volontà di ragionare come uscire da una logica amico-nemico con cui gestire i rapporti internazionali. In cui il nemico è colui che va annientato, colui la cui sofferenza garantisce il mio benessere.
Esiste, dunque, un modo diverso per gestire il conflitto? Un modo per cui la divergenza d’idee non venga risolta sulla base di chi ha più forza per far prevalere la propria opinione?
Ponendo un’ultima domanda: conta di più l’idea – il suo valore, la coerenza, la non contraddittorietà – o la forza di chi la propugna?
Nel primo caso, dovremmo iniziare a smantellare ogni arma, nucleare e non. Nel secondo caso, continuare a produrne fino ad autodistruggerci.
30 agosto 2023
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