di Tommaso Di Caprio
Nella prima parte di questo contributo si è visto come nel mondo antico la riflessione morale ha sempre evitato di ricorrere a tesi normative che nella loro giustificata astrattezza promettessero di discernere in modo netto l’esperienza pratica vissuta dai soggetti agenti. In questa seconda parte si cercherà, invece, di valutare il peso esercitato dall’influenza del pensiero cristiano nella trasformazione dell’etica virtù, a prima vista destinata a restare al di fuori dell’intera discussione morale a causa di una incompatibilità all’apparenza strutturale e perciò incolmabile. Ma il profondo radicamento della filosofia pratica nell’esperienza di vita degli uomini ha come compito principale quello di evitare in ogni modo le insidiose e aride strettoie dell’intellettualismo etico.
di Leonardo Apollonio
Siamo ormai cambiati da come eravamo qualche decennio fa, e con noi è cambiato il nostro modo di concepire il bello e di mostrarlo. Ma quando osserviamo il bello attraverso le opere d’arte apprendiamo qualcosa sulla vita, sulla nostra esistenza e, se il bello cambia, cambia anche il nostro apprendimento. Ma allora cos’è che stiamo apprendendo ora? E siamo sicuri che questo cambiamento sia avvenuto in meglio e non in peggio?
PARTE I - IL VALORE DELLA VIRTÙ NELL'ESPERIENZA ETICA MODERNA ALLA LUCE DELLA TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO TRA RIFFLESSIVITÀ ED EFFETTIVITÀ MORALE
di Tommaso Di Caprio
Nella nostra contemporaneità, non è difficile rendersi conto di quanto la riflessione sull’esperienza etica, anche quella a noi più prossima, sia sempre più spesso contrassegnata da un forte tasso di astrattezza, frutto a sua volta di un’incapacità a porre adeguatamente a tema la concreta esperienza pratica dei soggetti agenti. E tuttavia, sarebbe un errore grossolano ignorare come siffatta astrattezza altro non sia che una declinazione di quel carattere estrinseco che spesso contraddistingue la riflessione morale nel suo essere attività in vista di una realizzazione.
Nell’articolo intitolato La sintassi applicata alla semantizzazione dell’essere di Severino, Luigi Pavone ha presentato una critica alla struttura originaria sostenuta dal filosofo Emanuele Severino, secondo la quale essa sarebbe affetta da indeterminatezza semantica. Nel presente scritto si intende dimostrare che l’argomento proposto da Pavone non sia corretto, in quanto basato su di una premessa parziale che conduce a una conclusione inesatta, ovvero che la considerazione di un significato parziale di “essere” sia responsabile della attribuzione di indeterminatezza semantica alla struttura originaria e che invece, tenendo presente il significato complessivo di “essere” proposto da Severino, tale attribuzione non segua affatto.
Per Aristotele, nella Metafisica, la sapienza è conoscenza delle cause, dei principi e dei fini. Oltre le ragioni storico-contingenti che ne hanno promosso la travolgente affermazione, indaghiamo il movente spirituale dietro e dentro gli eventi che hanno determinato, in un sorprendente caso di sincronicità, l’ascesa al potere dei Dittatori e l’instaurazione dei regimi totalitari che nel secolo scorso hanno sconvolto la fisionomia del mondo.
Ingenuamente crederemmo che il motto thatcheriano there is no alternative identifichi un solo particolare indirizzo politico, quello neoliberale. Esso si radica piuttosto in una concezione filosofica dell’essere umano che comporta l’egoismo, l’individualismo, la mercificazione consumistica – scoprendoli valori inevitabili, radicati nella natura umana. Si tratta però di una concezione falsa, alla luce della critica antropologica e archeologica – come intendono dimostrare Graeber e Wengrow nel loro monumentale saggio L’alba di tutto.