« L'alienazione dell'operaio nel suo oggetto si esprime, secondo le leggi dell'economia politica, in modo che, quanto più l'operaio produce, tanto meno ha da consumare, e quanto più crea dei valori, tanto più egli è senza valore e senza dignità, e quanto più il suo prodotto ha forma, tanto più l'operaio è deforme, e quanto più è raffinato il suo oggetto, tanto più è imbarbarito l'operaio, e quanto più è potente il lavoro, tanto più impotente diventa l'operaio, e quanto più è spiritualmente ricco il lavoro, tanto più l'operaio è divenuto senza spirito e schiavo della natura. » (Karl Marx, "Manoscritti economico-filosofici")
L’alienazione è un tema fondamentale nella storia della filosofia occidentale. Il primo a strutturare un discorso filosofico su questo argomento è stato Georg W. F. Hegel, che nella Fenomenologia dello spirito descrive la condizione dello Spirito che si estrania da sé stesso nell’oggettività: lo Spirito esce da sé in quanto pensiero puro e si oggettiva nella natura. Inoltre, per Hegel esiste anche un processo di disalienazione, ossia il ritorno dell’idea a sé stessa. È poi Ludwig Feuerbach ne L’essenza del cristianesimo a riflettere sull’alienazione, stavolta in ambito religioso, definendo la condizione dell’uomo credente che si estrania dalla propria essenza, proiettandola ed attribuendola ad una divinità fittizia. Il tema dell’alienazione scompare poi dal dibattito filosofico per tutta la seconda metà dell’Ottocento.
Quando nel 1932, però, vengono finalmente pubblicati i Manoscritti economico-filosofici, scritti nel 1844 da un giovane Marx, ma rimasti inediti, si ritorna a focalizzarsi sul tema. In quest’opera si denota una grande attenzione da parte dell’autore nell’analizzare le cause e gli effetti di questo fenomeno, che non è più solo riferito alla sfera filosofica o religiosa, ma anche e soprattutto all’ambito politico-economico. Nella sua analisi, il filosofo tedesco individua nei meccanismi e nelle condizioni di lavoro del capitalismo le radici dell’alienazione dell’operaio.
In particolare, si possono distinguere quattro situazioni in cui il lavoratore finisce per sentirsi alienato:
L’analisi di Marx, come si può denotare, non si limita all’alienazione del singolo rispetto alla società, ma arriva ad indagare i fenomeni sociali ed economici che la creano: si sofferma sull’attività produttiva, che, nel capitalismo, rende la forza lavoro uno strumento del processo di valorizzazione del capitale e « nell'incorporarla alle sue parti componenti oggettive [...] diventa un mostro animato, e comincia ad agire come se avesse l'amore in corpo. » (Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici). La scoperta di questo testo e la diffusione dei Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (1857/1858) portarono nel XX secolo ad un cambiamento nelle prospettive di comprensione dell’alienazione. Essa, infatti, viene esaminata con lo scopo di superarla pragmaticamente e viene riconosciuta come prassi vigente nelle fabbriche. Di conseguenza movimenti, sindacati, partiti si organizzano per cambiare radicalmente la condizione lavorativa della classe operaia.
« Con Marx, la teoria dell'alienazione uscì dalle carte dei filosofi e dalle aule universitarie per irrompere, attraverso le lotte operaie, nelle piazze e divenire critica sociale. » (Marcello Musto, Introduzione a L’alienazione)
Come effetto di questo rinnovato interesse al fenomeno dell’alienazione, dal secondo dopoguerra vengono pubblicati sull'argomento studi, articoli e libri, in cui ognuno degli autori esprime il proprio punto di vista sul problema, riconoscendone le cause in vari aspetti della società moderna. Pertanto, è sembrato impossibile contrastare o addirittura superare un fenomeno così onnipresente nelle abitudini quotidiane della classe lavoratrice.
Ma è proprio negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale che l’Europa, ancora traumatizzata dalle bombe, vive una delle sue esperienze imprenditoriali più innovative, che presenta un’alternativa che sembra mettere in discussione gli studi di Marx sulle leggi dell’economia politica, tra cui la teoria dell’alienazione. Si tratta dell’azienda Olivetti, in quel periodo gestita da Adriano Olivetti.
Nato l’11 aprile 1901 a Ivrea, è figlio di Camillo che, sette anni più tardi fonda la Olivetti, “la prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere”. Laureatosi nel 1924 in Ingegneria chimica industriale al Politecnico di Torino, Adriano inizia l’apprendistato in fabbrica, come operaio. Compie un viaggio negli USA per visitare più di cento fabbriche e quando torna propone al padre un programma per modernizzare l’azienda e innovare l’organizzazione. Nel frattempo, nel 1932, diventa direttore generale e nel 1938 subentra al padre come presidente. Convinto antifascista, durante la guerra si rifugia in Svizzera. Quando, finito il conflitto mondiale, riprende le redini dell’azienda, la trasforma con successo in un moderno gruppo industriale, puntando all’eccellenza nei prodotti, nella tecnologia e nel design industriale, e al miglioramento delle condizioni dei lavoratori.
Nasce così una nuova visione di impresa, basata sull’organizzazione decentrata del personale e sulla razionalizzazione dei tempi e dei metodi di montaggio. L’esperimento della Olivetti è precursore del moderno welfare: gli operai nelle fabbriche hanno, infatti, salari superiori alla media, beneficiano di convenzioni per case e asili accanto alla fabbrica, hanno una biblioteca in azienda, con libri da poter leggere durante le pause. Sono coinvolti anche una quantità straordinaria di intellettuali, che operavano in differenti campi disciplinari, in un progetto di unione creativa tra cultura tecnico-scientifica e cultura umanistica. Olivetti credeva che fosse possibile creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, e l’organizzazione del lavoro era incentrata su una concezione dell’efficienza basata sulla felicità collettiva, riuscendo a superare, in una brillante sintesi, il contrasto tra capitalismo e socialismo economico sulla concezione di imprenditoria.
Questa esperienza unica termina però nel peggiore dei modi. Il 27 febbraio 1960, difatti, l’imprenditore si trova su un treno, partito da Milano e diretto a Losanna, quando, superato il confine svizzero, viene colto da un'improvvisa emorragia cerebrale, morendo poco dopo. La negata autopsia getta ombre sulle vere cause del decesso, considerato anche il certo monitoraggio da parte della CIA sull’imprenditore di Ivrea. L’azienda verrà poi gestita dai suoi discendenti che, dovendo affrontare momenti di crisi, dovuti all’inaspettato decesso, non sapranno raccogliere l’immensa eredità.
È qui che si spezza bruscamente il filo rosso che lega Karl Marx ad Adriano Olivetti. Quest’ultimo è il perfetto esempio di come sia possibile leggere profondamente il filosofo tedesco, individuare nella società contemporanea le problematiche da lui evidenziate ed offrire un’alternativa che combatta l’alienazione del lavoratore, individuandola come un deficit e stimolando, invece, la partecipazione, la cooperazione, la creatività. È evidente che sia questa la strada da seguire per le aziende di oggi e per quelle di domani.
« La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica. » Adriano Olivetti
25 gennaio 2023
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