Questo articolo prova a spiegare l’attuale stato critico della situazione ambientale mondiale attraverso un’analisi della concezione di sé stesso e di cosa lo circonda che l’uomo occidentale ha sviluppato nel corso dei secoli e poi esportato nel resto del mondo.
di Davide Gobbicchi
Dicembre 2012: il governo di Beijing annuncia un piano di radicale rinnovamento del centro storico di Lhasa, capitale del Tibet. Tra i principali punti salienti, la costruzione di un centro commerciale e parcheggio sotterraneo di 150 mila metri quadrati accanto al Tempio di Jokhang, il cuore spirituale della città. Tale progetto – che ha come obiettivo ufficiale la modernizzazione del Tibet e la promozione del turismo nella regione – nasconde uno scopo ben più preciso: il graduale annichilimento della cultura regionale.
Questa azione da parte del governo cinese è tra le ultime di una lunga serie iniziata con la Rivoluzione Culturale, durante la quale centinaia di templi taoisti e buddisti – simbolo dello storico ideale cinese dell'armonia tra paradiso e uomo, vennero distrutti per fare spazio a edifici governativi e industrie in fede al credo maoista secondo il quale «l’Uomo deve conquistare la natura» (Steinfeld, J., China’s deadly science lesson: How an ill-conceived campaign against sparrows contributed to one of the worst famines in history, Index on Censorship). Il fenomeno non è limitato alla Cina: le persecuzioni contro il buddismo raggiunsero picchi nel Vietnam del Sud dei primi anni ‘60, con le politiche repressive del governo di Ngo Dinh Diem le cui politiche filo occidentali, volte a favorire la minoranza cristiana del paese, causarono imponenti rivolte popolari, culminate nell'eclatante gesto di auto immolazione del monaco Thích Quảng Đức. Questi due esempi riflettono un più generale processo di occidentalizzazione selettiva globale¹ inteso come l’adozione del sistema produttivo capitalista – e dell’apparato culturale e filosofico esclusivamente necessario a supportarlo – su scala internazionale. In cosa consiste questa “occidentalizzazione selettiva globale”, e quali sono le sue più pericolose conseguenze ambientali? Questo è il tema che questo articolo analizzerà, e lo farà basandosi su tre concetti: antropocentrismo, capitalismo, e antropocene. Analizziamoli in ordine.
Antropocentrismo
Il termine “antropocentrismo” nel suo significato più ampio e condiviso descrive il credo etico che solo l’essere umano possegga valore intrinseco, e che tutti gli altri esseri viventi – e la terra nella sua interezza –posseggano valore unicamente in quanto strumenti ad esso utili: una persona ha quindi valore in quanto persona, mentre un bue ha valore perché può trainare un aratro e una foresta ha valore perché produce legna da ardere. Il concetto venne diffuso nel 1967 grazie allo storico americano Lynn White Jr, il quale imputa l’origine dell’antropocentrismo alla tradizione giudaico-cristiana²: soppiantando l’animismo pagano – per il quale ogni foresta, fiume e valle aveva uno spirito o musa protettrice – con l’idea di un mondo creato per servire l’essere umano (a sua volta immagine di Dio), la tradizione giudaico-cristiana liberò l’uomo da ogni timore reverenziale nei confronti della natura, sollevandolo in questo modo dall'obbligo di preservarla, e lasciando libera la strada all'utilizzo della natura nei limiti delle proprie capacità tecnologiche e conoscenze scientifiche. Tali capacità e conoscenze subirono durante il Medioevo una drastica crescita, spinte dalla volontà umana di comprendere la Natura – percepita come creazione divina – e attraverso essa la mente di Dio. Questa crescita tecnologica e scientifica si verificò nei territori del Cristianesimo Occidentale, per il quale la salvezza veniva identificata nella giusta condotta (dunque azione attiva), a differenza del Cristianesimo Orientale (Ortodosso), secondo il quale la via per la salvezza era l’illuminazione (dunque una contemplazione passiva). Nell’Europa Occidentale del tardo Medioevo, l’essere umano aveva dunque crescenti abilità per poter soddisfare la propria volontà spirituale di avvicinarsi a Dio attraverso azioni pratiche senza costrizioni verso la Natura. In cosa sarebbero venute a consistere tali azioni nei successivi secoli è fondamentale per capire l’attuale situazione ambientale mondiale. Ne parleremo nel prossimo paragrafo.
Capitalismo³
Così come l’antropocentrismo fu causato dall’introduzione della fede giudaico-cristiana, il capitalismo ebbe la sua origine in una riforma religiosa – quella del Protestantesimo: allontanandosi dalla tradizione cattolica che conferiva al prete il potere “magico” di perdonare i peccati ed assicurare così il paradiso alle persone, il protestantesimo lasciò gli esseri umani in balia di sé stessi nel determinare se fossero meritevoli del paradiso o meno. Si creò così un meccanismo psicologico – in particolare nell’etica Calvinista – per cui i fedeli, non potendo essere certi della loro futura salvezza, cercarono segnali del loro stato di grazia divina nel successo economico; l’ascetismo protestante verso i beni materiali spinse inoltre ad accumulare i frutti di tale successo, anziché spenderli in beni terreni. Come illustrato da Weber in The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism: l’etica protestante tradusse l’antropocentrismo in un nuovo sistema socioeconomico – Mercantilismo – che servì da “incubatrice” al Capitalismo. L’azione pratica necessaria per avvicinarsi a Dio (descritta nel precedente paragrafo) divenne l’accumulazione di ricchezza. Tale volontà di arricchimento spinse verso la ricerca di una più efficiente organizzazione del lavoro, accelerando il processo di avanzamento tecnologico e scientifico così da culminare nella prima e seconda Rivoluzione Industriale.
Si delinearono così le due caratteristiche fondamentali del capitalismo moderno individuate da Weber: desiderio di profitto e organizzazione razionale (quest’ultima, supportata dalla specializzazione scientifica e la differenziazione tecnica frutto delle Rivoluzioni Industriali) volta a massimizzare tale profitto. Il crescente bisogno di risorse scaturito dai progressi scientifici e tecnologici portò al colonialismo, il quale esportò antropocentrismo e capitalismo fuori dall’Europa globalizzando gradualmente le Rivoluzioni Industriali frutto di essi. La secolarizzazione verificatasi dal XX secolo in poi eliminò successivamente il fattore religioso dall’etica capitalista ma mantenne quello esistenziale; l’accumulo di ricchezza non divenne più il mezzo attraverso cui realizzarsi spiritualmente (dimostrare il proprio essere benvoluti da Dio), ma rimase tuttavia il mezzo attraverso cui realizzarsi esistenzialmente (dar senso alla propria vita). Un nuovo periodo storico che avrebbe radicalmente cambiato il pianeta Terra iniziò così a delinearsi.
Antropocene
Il termine “Antropocene” è frutto di un lungo dibattito (in primis sulla sua validità geologica) che qui non verrà discusso per questioni di tempo; possiamo più semplicemente definirlo come il periodo storico caratterizzato dalla trasformazione dell’ambiente della superficie terrestre a causa dell’attività umana. Alla base dell’idea di formalizzare l’inizio di un nuovo periodo storico furono un insieme di cambiamenti socio economici – scaturiti dal boom economico post-Seconda Guerra Mondiale – che incrementarono esponenzialmente l’impatto umano sul sistema Terra, alterandone il funzionamento in maniera profonda: un fenomeno noto come “Grande Accelerazione”.
L’alterazione del sistema Terra portò ad un crescente deterioramento ambientale, i cui fenomeni occupano ora le testate giornalistiche di tutti i continenti sempre più frequentemente: innalzamento dei mari, aumento delle polveri sottili, surriscaldamento globale, una possibile nuova estinzione di massa, etc. Le diverse comunità scientifiche mondiali e i report delle maggiori organizzazioni internazionali portano ad una unica conclusione: l’attuale sistema socio economico mondiale non è più sostenibile, pena il superamento di un punto di devastazione ecologica di non ritorno che altererebbe il pianeta Terra in maniera permanente, degradando la vita umana e ogni altra forma di vita. Ne consegue logicamente, che se l’attuale sistema socio economico globale non è più sostenibile, allora è necessario riconsiderare anche l’ethos culturale alla sua base. Qui è importante chiarire un punto: il problema non risiede esclusivamente nell’antropocentrismo o nel capitalismo, quanto nell’intersezione di questi due principi, che ha creato un essere umano avente come fine ultimo l’accumulazione illimitata di ricchezza a discapito di ogni possibile impatto ambientale, e dotato dei i mezzi necessari per far sì che questo suo volere possa costituire un pericolo per il pianeta e sé stesso.
Per riassumere quanto illustrato finora: il mondo si trova attualmente in una situazione ambientale critica, causata da una particolare concezione che l’essere umano odierno ha di sé stesso e di cosa lo circonda. L’unico modo per poter invertire questa tendenza è quindi quello di cambiare tale concezione. Come? Guardando oltre la tradizione antropocentrica e capitalista che ci ha spinti fin qui, verso concezioni del rapporto uomo-natura e del concetto di realizzazione personale proprie di altre filosofie, diverse da quella occidentale prevalente⁴. Tuttavia, come dimostra l’esempio del centro commerciale in Tibet: in un mondo in cui Antropocentrismo e Capitalismo assumono una crescente influenza globale, la possibilità di fornire alternative sostenibili diventa ogni giorno minore. In che modo poter invertire questa tendenza? Un’alternativa valida a questo processo di globalizzazione selettiva potrebbe essere favorito dalla valorizzazione di alcuni elementi di quelle filosofie orientali che promuovono un diverso approccio al rapporto uomo-natura o al concetto di realizzazione personale, così da creare una globalizzazione che sappia meno di colonizzazione e più di integrazione. Sta a tutti noi tentare.
Note:
1) Ho deciso di chiamarla “selettiva” perché si basa sull’adozione di specifici aspetti culturali necessari al sistema capitalista, ignorando allo stesso tempo altri elementi tipici dell’Occidente ma non fondamentali al mantenimento di tale sistema, come ad esempio la democrazia liberale.
2) Aristotele ed altri filosofi greci minori sono spesso citati come precursori del pensiero antropocentrico da cui ha tratto ispirazione la tradizione giudaico-cristiana; questi autori non hanno tuttavia avuto l’impatto globale di quest’ultima, per questo motivo non verranno analizzati qui. Lo stesso vale per l’Islam, che ha invece adottato il pensiero antropocentrico dalla tradizione giudaico-cristiana (tra le molte altre cose).
3) Riconosco che il termine Capitalismo sia estremamente ampio, e spesso contestato. Per ragioni di lunghezza, questo lavoro non tratterà né la validità del termine né le diverse periodizzazioni del capitalismo concepite, e neppure le diverse caratteristiche socioeconomiche che le singole fasi storiche del capitalismo hanno assunto all’interno di tali periodizzazioni. Focalizzandosi esclusivamente sul lato sociologico e filosofico del fenomeno, questo lavoro si concentrerà su quell’ethos capitalista che dal mercantilismo è giunto fino al periodo contemporaneo - ed è pertanto ancora valido - nonostante le molte evoluzioni dei metodi di produzione e organizzazione socio economica del sistema capitalista.
4) Diversi autori hanno sottolineato come diverse figure storiche all’interno della filosofia e religione occidentale abbiano creato filosofie non-antropocentriche (ad esempio San Francesco d’Assisi). Tuttavia, dubito che tali filosofi abbiano ora la possibilità di influenzare lo stato delle cose, considerato il loro scarso successo nei precedenti secoli.
10 novembre 2023