Le società animate da un’identità nazionale condivisa sono necessariamente più bellicose, autoritarie, ed esclusive? Nelle prossime pagine si cercherà di argomentare in favore di una risposta negativa a questa domanda, cioè di sostenere che la presenza di un sentimento nazionale diffuso è pienamente compatibile con la pace, la democrazia, e l’immigrazione.
Nella parte precedente di questo discorso, si è tentato, nel modo più sintetico possibile, di definire cos’è una nazione e di riflettere sull’utilità dell’identità nazionale. È in parte rischioso affrontare tematiche come queste, perché è abbastanza diffusa la tendenza a considerare chi difende le culture nazionali come un guerrafondaio, un antidemocratico, o un razzista; si tratta di una tendenza comprensibile, soprattutto alla luce delle tragedie che nel corso del ‘900 sono state causate anche dal nazionalismo aggressivo. La problematicità di questi argomenti è un motivo in più per dedicare le prossime pagine all’esposizione di tre considerazioni fondamentali.
La prima osservazione è la seguente. Il sentimento nazionale, per mantenere la sua utilità, deve essere moderato, non deve diventare una passione troppo intensa. La diffusione, all’interno di una nazione, di un eccessivo amore per la propria comunità è dannosa: perché esso si traduce nel disprezzo per le altre nazioni, in uno stato d’animo belligerante e ostile al dialogo. Tale sentimento conduce sulla strada della guerra, ma ciò che conviene a tutte le nazioni è cercare di collaborare pacificamente con le altre comunità. Per questo, il nazionalismo aggressivo è dannoso, mentre un sentimento nazionale moderato e ragionevole, per le ragioni considerate in precedenza, mantiene una sua utilità: il primo genera conflitto, mentre il secondo è compatibile con la pace e con lo sviluppo di istituzioni comuni.
È difficile negare che l’identità nazionale convive sempre con il rischio di trasformarsi in un patriottismo estremo e violento nei confronti degli altri popoli, ma allo stesso tempo sembra chiaro che essa genera solidarietà e pace tra i membri della comunità. Alla luce di questi due punti, si potrebbe pensare che la condizione ideale, a cui avvicinarsi con ogni sforzo, sia l’esistenza di un’unica nazione mondiale che comprenda ogni collettività presente sulla terra, cioè la presenza di un’unione di tutta l’umanità sotto un’unica bandiera e un’unica lingua; in questo modo, la pace tra i popoli troverebbe un potente sostegno. Questa ipotesi può davvero apparire come una soluzione ideale per cui lottare, ma c’è un problema che non può essere ignorato, cioè che nessuna evidenza induce a pensare che sia un progetto realizzabile. Non è mai esistita un’unica nazione mondiale, e non ci sono motivi per convincersi che esisterà in futuro. A ben vedere, sembra un’ipotesi irrealizzabile anche perché l’unico modo di mantenere un’identità così diffusa sarebbe attraverso la presenza di un unico stato capace di dominare durevolmente l’intero pianeta; ma, anche quest’ultima ipotesi appare poco realistica, dato che un’istituzione di questo genere collasserebbe rapidamente perché non sarebbe in grado di gestire in modo efficace l’intero territorio globale, causando ovunque rivolte e guerre civili. Immanuel Kant, in un celebre passaggio dell’opera Per la pace perpetua, si esprime in questo modo sulla possibilità di formare un unico stato mondiale:
« L’idea del diritto internazionale presuppone la separazione di molti stati vicini indipendenti l’uno dall’altro e benché una tale condizione sia già uno stato di guerra (se una loro unione federativa non previene lo scoppio delle ostilità), eppure questa stessa condizione, per l’idea della ragione, è meglio della loro fusione operata da una potenza che sovrasti le altre e si trasformi in monarchia universale; le leggi infatti con la maggiore estensione del governo perdono la loro forza e un dispotismo senz’anima, dopo aver estirpato i germi del bene, precipita alla fine in anarchia. » (Immanuel Kant, Per la pace perpetua)
Oltre all’ipotesi appena considerata, c’è un’altra possibile risposta al rischio che l’identità nazionale degeneri nel patriottismo aggressivo. Si tratta dell’opinione per cui bisognerebbe attenuare progressivamente tale caratteristica spirituale, facendo in modo che la collettività sia composta da persone prive di alcun senso di appartenenza; in altri termini, l’idea è che la soluzione migliore sia quella di abbandonare il sentimento nazionale, e di formare una società di individui spiritualmente isolati. A questa ipotesi, forse irrealistica come quella sopra accennata, si può rispondere sottolineando quanto detto precedentemente: l’identità nazionale condivisa, intesa in un senso ben preciso, è un fatto sociale utile perché produce solidarietà tra i membri della società. Tentare di abolire l’identità comune perché può tradursi in patriottismo violento, è come combattere l’amore di sé presente in ogni individuo perché può produrre azioni antisociali (il che è sconveniente, dato che l’amore di sé genera vantaggi a tutta la società, come si vede, per es., dal fatto che la volontà di arricchire se stessi è una spinta decisiva al lavoro e all’innovazione); rinunciare al sentimento nazionale al fine di eliminare il pericolo che esso degeneri nell’odio per lo straniero, sembra essere un modo di “buttare il bambino con l’acqua sporca”.
La seconda considerazione riguarda il rapporto tra identità comune e democrazia. In Europa, non è rara l’opinione secondo cui il sentimento nazionale è un’emozione che avvicina la società all’autoritarismo. In contrasto con questa posizione, ci sono diverse ragioni che inducono a pensare che la presenza di un’identità nazionale condivisa è pienamente compatibile con un’organizzazione sociale democratica e tollerante.
Quanto appena detto appare sostenibile innanzitutto riflettendo sulla natura dell’identità nazionale: quest’ultima è una proprietà spirituale che non ha tra le sue caratteristiche essenziali delle tendenze antidemocratiche, come la volontà di non riconoscere l’esistenza di libertà inviolabili o il desiderio di abolire il suffragio universale. Ma, inoltre, l’opinione proposta poco fa sembra essere confermata anche da un rapido sguardo alla storia della civiltà occidentale: le più grandi democrazie del mondo sono comunità tradizionalmente animate da un profondo senso d’appartenenza. La Francia e l’Inghilterra mostrano che non c’è alcuna incompatibilità tra orgoglio nazionale e democrazia, così come lo evidenziano gli Stati Uniti, che sono uno dei paesi più patriottici al mondo, dove, per es., la bandiera nazionale si trova esposta ed esaltata in moltissimi luoghi.
In realtà, la presenza di un’identità nazionale condivisa costituisce un sostegno decisivo alla presenza di istituzioni democratiche all’interno della comunità. Infatti, queste ultime per mantenersi necessitano che i cittadini condividano due presupposti fondamentali: 1. La volontà di partecipare attivamente all’attività politica per migliorare le condizioni del proprio territorio (per es., attraverso la partecipazione alle elezioni); 2. La ferma disponibilità a rispettare i diritti inviolabili degli altri cittadini, anche e soprattutto quando hanno opinioni o desideri differenti dai propri (questo stato d’animo, per es., permette di non opporsi alla libertà di parola, oppure di sostenere il diritto di tutti a non subire tortura). Il punto è che queste due premesse trovano forza proprio grazie alla presenza di un sentimento nazionale condiviso tra i cittadini di una democrazia. Come si è tentato di esporre nella parte precedente, il possesso di una certa identità aumenta la capacità di essere solidali nei confronti dei propri connazionali; di conseguenza, se il cittadino di una società democratica ha un’identità nazionale in comune con gli altri cittadini, allora è più propenso a partecipare alla vita comunitaria, ed è più disposto a rispettare i diritti di tutti. Sembra evidente, per es., che l’affetto nei confronti dei propri concittadini, che viene alimentato da una comune identità, renda meno accettabile il fatto che essi siano discriminati, impoveriti, o messi a tacere (chiaramente, queste ultime considerazioni non negano la necessità di tutelare i diritti di chi, cittadino o meno, ha un’altra nazionalità). L’importanza del senso di appartenenza per l’affermarsi della democrazia viene sottolineata efficacemente in questi passaggi di Roger Scruton:
« la fedeltà nazionale non è un semplice prodotto del governo democratico, ma un suo presupposto profondo. I popoli legati da un “noi” nazionale non hanno difficoltà ad accettare un governo di cui non condividono le opinioni e le decisioni; non hanno difficoltà ad accettare la legittimità dell’opposizione o la libera espressione di punti di vista che sembrano offenderli. In breve, sono capaci di vivere in democrazia e di esprimere le loro aspirazioni politiche attraverso le urne. » (Roger Scruton, Il bisogno di nazione)
« [La fedeltà nazionale] permette alle persone di cooperare con i propri oppositori politici; di riconoscere un accordo che ammetta le differenze e costruisca istituzioni che siano più alte, più durature e più imparziali del processo politico stesso. » (Roger Scruton, Il bisogno di nazione)
Riguardo alla relazione tra nazione e libertà democratiche, può essere utile un ultimo spunto. Nell’opera Per la pace perpetua, Kant afferma che le società in cui le decisioni politiche dipendono dal consenso dei cittadini, tendono a realizzare la pace (egli definisce queste comunità con il termine “costituzione repubblicana”, ma qui si possono intendere con il termine “democrazia”); questo fatto, secondo Kant, si spiega perché gli abitanti di qualsiasi paese desiderano naturalmente evitare la guerra, dato che sono consapevoli che essa è causa di enormi sofferenze per loro, e, di conseguenza, sono propensi a richiedere decisioni politiche orientate alla pace. Ebbene, se si ammette questo concetto kantiano, e si accetta quanto detto poco fa, cioè che l’identità nazionale rafforza le istituzioni democratiche, allora si può concludere che l’identità comune non solo è compatibile con la pace tra i popoli, ma addirittura che ne facilita la realizzazione.
Il rapporto tra identità nazionale e immigrazione è al centro della terza e ultima osservazione, la quale è particolarmente opportuna se si considera l’attuale condizione del continente europeo, dove un’affermata crisi demografica renderà necessario accogliere numerose persone provenienti dal resto del mondo.
Come si è sottolineato precedentemente, l’identità comune è costituita da elementi spirituali e non da caratteristiche fisiche, per questo chiunque può possedere uno specifico sentimento nazionale se acquisisce le caratteristiche spirituali che lo contraddistinguono (a riguardo, è utile sottolineare ancora che la religione non è una proprietà essenziale dell’identità nazionale). Se un soggetto, nato in qualsiasi parte del mondo, cresce in una determinata nazione, assumendo la relativa lingua e sviluppando un sincero senso di appartenenza ad essa, allora è a pieno titolo parte di tale comunità. Quindi, ed è questo il primo punto da evidenziare, si può sostenere che l’immigrazione non è un fattore che ostacola necessariamente la presenza di una determinata nazione su un certo territorio, perché chiunque arriva su un certo territorio può acquisirne la relativa identità nazionale, indipendentemente dalle sue caratteristiche corporee, dal suo luogo di nascita, e dalla sua fede religiosa. Su questo punto gli Stati Uniti rappresentano un modello esemplare, in quanto sono una comunità che da decenni accoglie individui da tutto il mondo, dando a tutti la possibilità di adottare l’identità statunitense. Sembra evidente che le nazioni sono comunità aperte, accessibili a tutti.
Anche alla luce di quanto appena visto, si può sostenere che possedere un determinato carattere nazionale non implica un atteggiamento ostile nei confronti dell’immigrazione, e non rende inevitabilmente più inclini a una mentalità xenofoba o razzista. Anche perché le nazioni sono collettività aperte, sentirsi parte di una determinata nazione non alimenta necessariamente disprezzo nei confronti di chi si stabilisce sul proprio territorio. Il punto è che l’amore per la propria nazione, così come altri tipi di amore (per es., l’amore di sé o l’amore per i propri figli), non è un’emozione che ha tra le sue proprietà essenziali l’odio nei confronti degli immigrati.
A ben vedere, l’identità nazionale è un fattore capace di unire, di avvicinare le persone tradizionalmente presenti su un territorio e i nuovi arrivati, indebolendo le pulsioni divisive che possono svilupparsi tra loro. Infatti, quando due persone condividono uno specifico carattere nazionale si sviluppa tra loro un affetto reciproco; quindi, se una persona, indipendentemente dalla sua origine, si stabilisce in un certo luogo e decide liberamente di integrarsi nella relativa nazione, allora diventerà oggetto di un’emozione benevola percepita da chi abitava già in precedenza quel territorio. L’identità nazionale sembra quindi rappresentare un antidoto efficace alle tendenze discriminatorie che da sempre possono muovere l’essere umano, soprattutto nei momenti in cui entra in contatto con delle realtà nuove e sconosciute.
Quanto trattato finora conduce a porre brevemente l’attenzione su una questione più concreta: in che modo è possibile far sussistere effettivamente il carattere nazionale sopra un territorio? Rispondere a questa domanda è un compito secondario per questo testo, ma può essere utile elencare sinteticamente alcune azioni collettive funzionali al mantenimento di un’identità comune. Tra le diverse misure possibili, ci possono essere le seguenti: 1. Nell’attività educativa rivolta alle nuove generazioni, analizzare in modo approfondito la storia della cultura e della comunità nazionale. 2. Utilizzare in modo corretto e integro la lingua nazionale, soprattutto nei contesti e negli atti pubblici, come, per es., nei documenti ufficiali o nei discorsi istituzionali. Il linguaggio è la caratteristica nazionale più importante: è ciò che fonda nel modo più decisivo la somiglianza tra gli individui che fanno parte di una comunità, che accende con più efficacia il senso di appartenenza; quindi, se si desidera tutelare un sentimento nazionale, bisogna innanzitutto rispettare il suo linguaggio, utilizzandolo nel modo più adeguato possibile (fare questo, chiaramente, non nega la possibilità e l’importanza di imparare altre lingue). 3. Ricordare gli eventi e i personaggi più rilevanti nella storia della comunità, attraverso la costruzione di monumenti o l’istituzione di giornate rievocative. 4. Rispettare i simboli nazionali, considerarli come entità piene di valore; per es., è utile che la bandiera venga esposta nei luoghi più significativi del territorio e con un tessuto sempre integro e vivace.
Considerando queste iniziative, va precisato che l’amore per una nazione non può essere imposto con la forza, perché è impossibile far nascere un sentimento d’amore in modo violento. Inoltre, è necessario sottolineare questo: il fatto che la collettività ottenga benefici dalla presenza di un’identità comune non giustifica che, all’interno della collettività (e anche fuori), siano commessi atti discriminatori o persecutori nei confronti di chi possiede un’identità nazionale differente da quella maggioritaria; la democrazia liberale, cioè la forma di organizzazione sociale che ha permesso all’umanità di conquistare un livello di benessere mai raggiunto prima, esige il netto rifiuto di violenze di questo tipo.
A onor del vero, non si può ignorare che la guerra è un’azione collettiva che contribuisce enormemente alla formazione del sentimento nazionale, infatti, per es., la Prima guerra mondiale è stata un momento decisivo per il rafforzamento dell’identità italiana; la presenza di un nemico comune, il conflitto con un soggetto esterno, compatta i gruppi umani. Tuttavia, questo fatto non esclude che promuovere lo scoppio di conflitti al fine di rafforzare il sentimento nazionale sia estremamente dannoso e immorale.
Le quattro misure accennate poco fa, come altre orientate allo stesso fine, non ostacolano la formazione di una società pacifica, democratica, e aperta. Proprio perché la tutela dell’identità nazionale, se moderata e concentrata su pochi caratteri spirituali, è differente da qualunque tendenza autoritaria o aggressiva nei confronti di chi è straniero. Su questo e altri aspetti trattati in precedenza, il seguente passaggio di John Stuart Mill, con cui è opportuno concludere, appare particolarmente interessante:
« È praticamente superfluo dire che non intendiamo “nazionalità” nel senso popolare del termine, come insensata antipatia nei confronti degli stranieri; come un’indifferenza nei confronti del benessere generale della razza umana o come un’ingiusta preferenza per i presunti interessi nazionali o come il rifiuto di adottare per il nostro Paese quello che è stato trovato buono per altri. Intendiamo invece il principio di simpatia, non di ostilità; di unione, non di separazione. Intendiamo il sentimento di comunanza d’interessi fra coloro che vivono sotto il medesimo governo ed entro i medesimi confini naturali o storici. Intendiamo che una parte della comunità non si consideri estranea rispetto a un’altra sua parte; intendiamo che le varie parti della comunità facciano, della loro connessione, un valore; che sentano d’essere un solo popolo; che sentano che il loro corpo è fuso insieme e che quello che è male per uno qualsiasi dei loro compatrioti è male anche per loro; che non desiderino egoisticamente liberarsi della loro parte d’inconvenienti comuni recidendo questa connessione. » (John Stuart Mill, Sistema di logica. Deduttiva e induttiva)
15 novembre 2023