Vite alfanumeriche

 

Davvero le nostre vite non possono fare a meno di otto caratteri alfanumerici per poter governare le nostre azioni? Davvero un codice può sostituire le nostre esistenze quando avviamo comportamenti quotidiani ormai meccanici e predominanti sulla sfera della creatività e dell’immaginazione? Proviamo a sostituire numeri e lettere con i simboli e riconosciamoci attraverso di essi, ritroveremo una realtà molteplice, caleidoscopica e mutevole che contribuirà ad arricchire l’evoluzione della nostra personalità, a espandere il pensiero e alzare lo sguardo.

 

di Valentina Chiarle

 

Rino Capone, "Labirinto alfanumerico"
Rino Capone, "Labirinto alfanumerico"

 

Numeri e lettere governano le nostre vite virtuali e non. Account e accessi definiti “personali” ci permettono di classificare il nostro essere in otto caratteri inviolabili e sicuri perché l’identità non rischi di essere profanata. Elenchi infiniti di “nome utente” e “password” appuntati per essere certi di non dimenticare questi preziosi codici che racchiudono ormai le nostre esistenze. Vorrei riflettere sull’autentica necessità di queste azioni e sulla possibilità, in alcuni ambiti, di fare un passo indietro; è davvero indispensabile entrare e uscire da siti web, applicazioni o realtà virtuali senza essere costretti a creare un’identità? Proteggere la nostra privacy può in realtà schedare le nostre vite perché al contrario possano essere consultate indebitamente da chi vi accede indisturbato in quanto autorizzato?

 

Il rischio che queste registrazioni seriali e schematiche ledano la sfera della creatività, della fantasia e dell’immaginazione è altissimo se non tangibile in buona parte delle giovani generazioni. La forza perversa del “tutto a disposizione” e della “consegna a domicilio” indebolisce il pensiero critico e propositivo. Il “suggerito per te” porta inevitabilmente a non scegliere consapevolmente, entrando nel vortice delle zone di conforto create per spegnere la fiamma dell’alternativa. L’apparente comodità ci acceca e ci risucchia come le sabbie mobili. 

 

Davvero l’essere umano non rischia di diventare essere inumano muovendosi a scatti per seguire uno schermo luminoso che ti indica il percorso e il tempo di percorrenza a piedi? Non è più evolutivo sbagliare strada, alzare lo sguardo per catturare una striscia di cielo fra le case o trovare un cane che scodinzola davanti al cortile chiassoso di una scuola durante l’intervallo, osservare il negoziante che alza la serranda o il barista che fischietta? O incontrare, inaspettatamente, un amico che non vedevi da anni perché il tuo sguardo è rivolto frontalmente per potere così intercettare il suo.

 

Lo stesso codice stradale ha inasprito le informazioni, sostituendo del tutto l’intervento dell’uomo come moderatore; il vigile urbano un tempo interveniva nella codificazione della segnaletica stradale per aiutare i passanti e gli automobilisti a interpretare le informazioni in modo più corretto, modificando così un comportamento che in realtà potrebbe essere paradossalmente pericoloso. Accelerare sulle strisce pedonali con semaforo verde alla presenza dell’ultimo pedone che attraversa la strada, mette a rischio la vita del pedone ma non la ragione dell’automobilista, il quale davanti a un giudice porterà come elemento a suo favore il semaforo verde. Nel mezzo del caos di tutte queste informazioni il cittadino viene lasciato solo, in balìa di un codice che deve gestire con le proprie forze e sotto costante pressione del resto del mondo che non ti lascia il diritto di temporeggiare o semplicemente di pensare all’azione che stai per compiere. Poi i numeri, le lettere, le indicazioni che troviamo per strada, camminando nelle nostre città i led luminosi catturano la nostra vista e ci attraggono come i lampioni con le falene.

 

Come scriveva Walt Whitman: 

 

« Che cosa c’è di buono in tutto questo? Ahimè, ah vita? Risposta Che tu sei qui – che esiste la vita e l’individuo, che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un tuo verso. » (Walt Whitman, O capitano! Mio capitano!)

 

Perché  contribuire, partecipare, essere gli attori principali della nostra esistenza?

 

Riflettevo sulla parola verso, può essere un verso di una poesia, oppure un pensiero detto ad alta voce, ma si accosta inevitabilmente a un altro verso, quello del mondo animale. Ogni animale contribuisce con un suo verso nel comunicare il suo stato d’animo di quel momento, a trasmettere informazioni alla sua specie oppure ad altre specie. La specie umana ha silenziato la comunicazione tramite il verso, la gestualità, lo sguardo. Essa avviene ormai in maniera predominante tramite tastiere e schermi luminosi, spegnendo la potenza del verso, la forza di un urlo nel cortile per comunicare che il pranzo è pronto, il vociare delle persone in una strada di città, la bellezza di un dialogo telefonico lento nel salotto di casa; isolati da auricolari che abbassano la percezione del pericolo, rischiamo la vita mentre attraversiamo la strada con la schiena ricurva a inserire dati per non perdere gli ultimi aggiornamenti. 

 

Nel mondo della segnaletica mi conforta però la visione della cartellonistica connotata da simboli. Un logo che simboleggia un museo, un sito storico, un gruppo di persone, una strada a curve trasmette un’informazione molto più completa all’essere umano rispetto a lettere e numeri. Questi sono senza dubbio essenziali per l’apprendimento e la comunicazione, ma osservare un simbolo che rappresenta un oggetto, un animale o un luogo, innesca un’azione creativa elevatissima, la mente spazia e l’interpretazione permette una visione sfaccettata e multipla. Osservando il simbolo di un sito archeologico qualcuno penserà a una torre, qualcun altro a un tempio oppure alle rovine di un castello e se ciascuno disegnasse il proprio pensiero avremo più risultati e una realtà più caleidoscopica e molteplice. La molteplicità è arricchimento, visione che va oltre e apre il pensiero, lo espande.

 

 

«…chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili. » (Italo Calvino, Lezioni americane)

 

La molteplicità, la creatività, la fantasia, sfere salvifiche stimolate e supportate dalle immagini! Perché secondo Calvino la letteratura è un infinito universo da esplorare? Perché evoca immagini che stimolano il pensiero e lo amplificano all’ennesima potenza.

 

Dal momento in cui osservo un simbolo si innesca un atto cognitivo, un’azione che ci invita ad arricchire la matrice originale con personali rappresentazioni; così alimentiamo la creatività e non dovremo mai smettere di accendere, allenare, stimolare i pensieri, dall’infanzia all’età adulta.

 

Impossibile non considerare l’importanza del simbolo nell’evoluzione della personalità, soprattutto a livello spirituale, ed è altrettanto inevitabile non riconoscere l’importanza dell’archetipo, una forma di pensiero universalmente riconosciuta che secondo il grande psicologo Carl Gustav Jung affiora nelle vesti di simbolo quando la coscienza si attiva per cercare immagini e rappresentazioni che la caratterizzano maggiormente e attraverso le quali avrà la possibilità di esprimersi. Dopo aver interiorizzato quel simbolo, si creeranno altre immagini e altre rappresentazioni ad arricchire l’immagine originale. Essa pertanto muterà di generazione in generazione portando con sé le caratteristiche primordiali, ogni essere umano la riconoscerà e ciascuno di noi si riconoscerà attraverso la meraviglia di un simbolo. La strega, il principe, il re, la principessa, lo stregone, un castello, una casa, l’orco, in ogni parte del mondo vengono inevitabilmente riconosciuti. Hanno sembianze diverse e vengono chiamati con altri nomi ma ciò che la coscienza riconoscerà è la vibrazione del loro significato ancestrale. Spostiamo lo sguardo dagli schermi luminosi e riprendiamo a leggere le fiabe, vere e proprie chiavi di lettura della realtà che ci aiutano a trovare soluzioni, a completare il puzzle con nuovi tasselli; oppure i grandi classici come la Divina Commedia che comunica attraverso metafore, la letteratura mitologica, i poemi epici, le leggende e le narrazioni popolari, i romanzi di formazione. Allontaniamoci dal preconfezionato, interroghiamoci, scegliamo percorsi più complessi per arricchire gli strumenti del pensiero e inventare nuove strategie.

 

Silvia Iorio, "Codice Genesi"
Silvia Iorio, "Codice Genesi"

 

« Il mito come viaggio e ricerca dentro di sé stimola la conversazione con se stessi, con il proprio mondo interiore, le proprie emozioni, inquietudini e contraddizioni interne. Diventa uno strumento di riflessione su se stessi, che aiuta a riconoscere la sua sistematica soggettività, e quindi la molteplicità di biografie interne che, riconosciute e messe in relazione, ci spingono a perseguire un’identità complessa. Inoltre il mito spinge a una forma di curiosità, intesa come scoperta, esplorazione e anelito alla comprensione della complessità e profondità del reale, in cui l’individuo ha la possibilità di confrontarsi con le proprie capacità e abilità, riconoscendo al tempo stesso i propri limiti. In questo senso, il mito non viene vissuto come fuga dalla realtà e da se stessi, ma come presenza che, mostrando della realtà le tensioni, le difficoltà e gli ostacoli, ci introduce in essa con un atteggiamento di continua problematizzazione di sé e del reale, in modo che quest’ultimo sia vissuto pienamente e con responsabilità individuale. » (Duccio Demetrio, Manuale di educazione degli adulti)

 

Il mito, le leggende, i poemi epici forniscono simboli, fondamentali per l’evoluzione dello spirito umano perché ci permettono di impreziosire gli strumenti che abbiamo per affrontare la realtà e interpretarla come solo noi sappiamo fare. Torniamo a vivere la vita reale utilizzando le innovazioni tecnologiche per ciò che sono, supporti essenziali e irrinunciabili ma non sostitutivi delle nostre esistenze.

 

 

05 settembre 2023

 








  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica