La terra e il mare nel pensiero geo-filosofico di Carl Schmitt

 

Nel pensiero geofilosofico del giurista tedesco la terra e il mare sono elementi in grado di influenzare inesorabilmente il destino delle grandi potenze; non basta essere in grado di dominarli, ma è necessario sentirsi integralmente parte di essi.

 Eugène Delacroix, "Shipwreck on the Coast"
Eugène Delacroix, "Shipwreck on the Coast"

 

Nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale, il filosofo e giurista tedesco Carl Schmitt scrive un’opera intitolata “Terra e mare”. Un testo che assume le sembianze di un racconto, dedicato alla figlia Anima, in cui l’autore analizza la storia del mondo distinguendo le potenze di terra e mare, per poi successivamente approfondire il tema della “rivoluzione spaziale planetaria” che ha portato al nomos dell’Europa moderna.

 

Schmitt si addentra nei meandri della sua analisi storico-filosofica soffermandosi sulla figura dell’uomo in quanto essere terrestre; guardare il mondo dalla sua prospettiva fa sì che egli chiami l'ambiente in cui vive “terra” nonostante la composizione del globo sia maggiormente caratterizzata dall'acqua. Schmitt afferma che per l’essere umano fin dall’alba dei secoli la terra viene addirittura vista come una creatura religiosa che dispone di tratti materni; i suoi simili non possono che essere visti come fratelli, in quanto figli della stessa madre. Ovviamente l’uomo è a conoscenza dell'esistenza di ulteriori elementi come l’acqua, il fuoco e l’aria; nessuno di questi però è in grado di determinare la sua esistenza quanto la Terra. Il rapporto tra uomo e acqua non è sempre stato roseo, soprattutto nell’antichità il mare veniva visto come una figura misteriosa capace di incutere estremo timore.

 

Non a tutti gli individui però il mare produceva sentimenti negativi e turbanti, molti popoli antichi crearono miti e leggende che non si limitavano a raccontare solo di personaggi figli della terra ma anche delle correnti marine; oltre a questi racconti ancestrali, esistono anche testimonianze storiche in grado di affermare l’esistenza di popolazioni che non si consideravano figli terrestri ma del mare e le sue onde. Si tratta di comunità provenienti dai mari del Sud che detenevano concetti di spazio e tempo sostanzialmente differenti da chi guardava il mondo da una prospettiva esclusivamente terrestre. Naturalmente è semplice comprendere che sia pressoché impossibile stabilire di quale elemento sia effettivamente figlio l’essere umano, esistono diverse concezioni storiche relative a diversi popoli che abitavano in svariate aree geografiche influenzati da culture intrinsecamente differenziate.

 

Schmitt stabilisce cosa intenda effettivamente con il termine “elemento”; la terra e il mare non vengono citate da Schmitt in quanto grandezze naturalistiche, ma in quanto ambienti in cui l’uomo ha abitato ed è stato caratterizzato da un punto di vista storico; si tratta di caratterizzazioni generali e non di elementi intesi in senso scientifico e quindi scomposti in sostanze chimiche. Il giurista tedesco, analizzando gli elementi da un punto di vista generale e introduttivo, aggiunge che il rapporto tra uomo e ambiente è sostanzialmente diverso da quello tra animale o pianta e ambiente: gli animali, così come le piante, sono integralmente e fisiologicamente ancorati al loro ambiente, per questo si parla comunemente dei loro diversi habitat naturali; l’uomo invece non è forzato a rimanere fedele al suo ambiente. L’essere umano ha la capacità fondamentale di poter scegliere, in particolare Schmitt parla di libertà d’azione del suo potere e di potenza storica; egli è in grado di reinventare la propria esistenza, di modificare la storia individuale ma anche quella mondiale. Grazie alla libertà d’azione gli individui possono conquistare altri ambienti e adattarsi senza troppe difficoltà alle nuove condizioni.

 

 Gustave Doré , "The Oceanids"
Gustave Doré , "The Oceanids"

 

Il filosofo, citando un esperto francese di scienza militare, l’ammiraglio Castex, afferma che la storia del mondo è caratterizzata dalla lotta delle potenze marittime contro quelle terrestri e viceversa. Riferendosi alle vicende storiche del XIX secolo, Schmitt sottolinea come la tensione fra Russia e Inghilterra veniva metaforicamente raffigurata come una lotta fra un orso e una balena. In particolare, riprendendo concezioni medievali, la storia del mondo viene raffigurata come una lotta fra il Leviatano, il possente animale marittimo, e il Behemot, inteso principalmente come un toro o un elefante. Schmitt in particolare parla di una scena molto importante, che risulta essere quasi banale ma in realtà funge da metafora ad una strategia militare fondamentale per le potenze che usufruiscono di una dottrina geopolitica e strategica prettamente marittima: il Leviatano, che con le sue pinne copre il naso e la bocca del Behemot impedendogli di respirare. Questa immagine rappresenta la potenza marittima che operando strategicamente effettua un blocco navale ai danni dell’avversario in modo da tagliare i rifornimenti sulla terraferma. Schmitt indica alcuni esempi relativi alle prime comparse di potenze prettamente marittime, in particolar modo si sofferma attentamente sulla Repubblica di Venezia. Per svariati secoli questa piccola repubblica fu considerata come un vero e proprio simbolo del dominio sui mari dotata di forte senso strategico sia da un punto di vista politico che economico-commerciale. L’esempio di Venezia risulta essere un vero e proprio precursore di quello che poi ha mostrato l’Inghilterra in futuro: una fortezza economico-commerciale esemplare, dotata di maestria diplomatica, un ordinamento politico aristocratico ma caratterizzato dal rispetto e dalla tolleranza verso le più svariate dottrine filosofiche e religiose. La Repubblica di Venezia era legata al mare da numerosi miti e leggende, il rapporto tra l’elemento marittimo e la potenza era conosciuto internazionalmente come uno “sposalizio”. 

 

D’altro canto, il mito di Venezia ebbe fine intorno al 1500 dopo circa 500 anni di dominio; nonostante l’influenza nelle aree dell’Adriatico e nel bacino del Mediterraneo fosse fortemente consolidate, col passare dei secoli vennero a svilupparsi nuove popolazioni come quella turca che riuscirono ad ottenere un controllo maggiormente ampio delle rotte marittime. Un’influenza così ristretta risultava esigua di fronte all’infinità degli oceani del mondo.

 

Citando alcuni concetti già espressi dal geofilosofo tedesco Ernst Knapp, Schmitt analizza la storia del mondo basandosi su tre differenti stadi che le civiltà e gli stati devono superare per poter compiere un’evoluzione completa: la civiltà potamica, quella talassica e quella oceanica.  Con il primo termine si intendono gli egiziani, i babilonesi e le popolazioni degli imperi mediorientali, considerate civiltà fluviali; con civiltà talassiche si intendono quelle greco-romane caratterizzate da un’attrazione verso i mari interni mentre con civiltà oceaniche Knapp e Schmitt si riferiscono alle popolazioni germaniche che si ponevano l’obiettivo del dominio degli oceani. La fine del dominio della Repubblica di Venezia fu dettata dal fatto che non ci fu il passaggio dal secondo al terzo stadio, ovvero da quello di una civiltà talassica ad una oceanica. Lo sposalizio tra questa potenza ed il mare non era abbastanza, altre popolazioni furono favorite dal fatto che si sentivano veri e propri figli del mare, era quindi presente un legame consanguineo. I veneziani hanno sfruttato la loro posizione strategicamente eccelsa dal punto di vista marittimo, ma non hanno trasferito totalmente la loro esistenza dalla terra al mare. 

 

Caspar David Friedrich, "Rocky reef on the sea beach"
Caspar David Friedrich, "Rocky reef on the sea beach"

 

Da un punto di vista storico culturale, quando si parla di potenze marittime è assai probabile che il pensiero di un individuo si rifaccia più o meno immediatamente all’Inghilterra, la verità è che le imprese marittime inglesi iniziarono in maniera piuttosto lenta. Con la conquista dell’America del 1492 gli spagnoli misero fine al dominio portoghese sui mari, per poi essere superati a loro volta quando nel 1533 gli inglesi avviarono linee politico-strategiche d’oltremare fondando la Muscovy Company. L’Inghilterra diventò l’erede dei grandi navigatori ed esploratori marittimi; come direbbe lo stesso Schmitt, gli inglesi diventarono i nuovi figli del mare. Questo fu possibile anche grazie ad una serie di circostanze fortuite; infatti, sia gli olandesi che i francesi intrapresero un processo di interramento proprio nel periodo in cui ci fu lo slancio inglese verso la politica oceanica. Citando testualmente il filosofo tedesco, «L’Inghilterra diventò così l’erede, l’erede universale dei popoli europei» (Terra e Mare, 1942); si tratta di un concetto chiave dell’opera di Schmitt; infatti, l’esempio inglese mostra che il dominio politico-strategico è ottenibile solamente trasformando in maniera sostanziale la propria esistenza adeguandosi ai differenti periodi storici. Gli inglesi hanno avuto la sensibilità adeguata nel comprendere che fosse arrivato il momento di cambiare in maniera elementare la propria esistenza trasferendosi dalla terra al mare, tutto questo proprio in un momento storico in cui dominare i mari voleva dire dominare il contesto internazionale. La vittoria inglese non sta solo nell’aver vinto dei conflitti militari, ma nell’essere riusciti a mettere in atto una rivoluzione spaziale planetaria. Che cos’è in particolare una rivoluzione spaziale? Essa è un mutamento del concetto di spazio dato da cambiamenti storico-politici in grado di aprire gli orizzonti umani e le differenti prospettive. Schmitt, in seguito, narra del primo esempio di rivoluzione spaziale planetaria e per rendere più chiaro il concetto cita la scoperta dell’America; infatti, questo grandioso avvenimento storico accaduto a ridosso del XV secolo ha sostanzialmente rivoluzionato il concetto di spazio al quale l’essere umano si rifaceva fino ad allora. L’orizzonte umano era totalmente ampliato ed ora vi era anche la conferma scientifica inconfutabile della sfericità del mondo. Ovviamente è opportuno precisare che per compiere una tale rivoluzione non basta solamente approdare su un territorio sconosciuto, è opportuno che il territorio appena scoperto rivoluzioni il concetto di spazio e ampli gli orizzonti e le prospettive dell’essere umano.

I popoli europei, i quali fino ad allora si erano scontrati diverse volte fra di loro per ragioni di varia natura, aderirìvano tutti al fatto che le nuove terre appena scoperte non fossero altro che territori da colonizzare e che le nuove popolazioni dovessero essere civilizzate secondo i valori ed i principi della cultura europea. Nacque così il diritto internazionale cristiano-europeo, al quale i popoli considerati dal punto di vista europeo come non civilizzati dovevano piegarsi; la sete di conquista europea prevalse alla vista di nuovi territori.

 

Ritornando alla conquista britannica del mare, questo avvenimento permette di comprendere come la terra e il mare possano risultare protagonisti all’interno del contesto politico internazionale. Il trasferimento dalla terraferma all’oceano comporta un cambiamento sostanziale del concetto di guerra e delle situazioni che caratterizzano il contesto bellico. Quando i conflitti si svolgono tra potenze terrene sostanzialmente si osservano eserciti che combattono tra di loro e gli unici a perire a causa delle armi sono i soldati delle diverse fazioni; con il passaggio dalla terra al mare tutto ciò cambia, ora ad essere visti come nemici non sono più esclusivamente i combattenti avversari ma anche il singolo cittadino e anch’egli sarà costretto a perire a causa del conflitto. Questo accade perché le potenze marittime si affidano a strategie differenti, ad esempio, grazie al blocco delle coste dello stato nemico riescono a ostacolare il suo commercio e impediscono alla popolazione di usufruire dei beni di cui necessitano; anche una piccola isola operando strategicamente in questo modo ha la possibilità di costruire gradualmente un impero mondiale nonostante sia priva di un esercito di primo livello. Per essere una vera potenza marittima non basta semplicemente essere un frammento di terra in mezzo al mare, ma è necessario che l’isola diventi parte delle acque marine, che si trasformi in un pesce che sia in grado di dominare gli oceani, che diventi il Leviatano.

 

Col passare dei secoli, tutto il mondo è soggetto a cambiamenti ai quali le grandi potenze devono necessariamente adattarsi, ovviamente questi cambiamenti sono in grado di modificare in maniera sostanziale la politica internazionale e i suoi risvolti. Con l’avvento della rivoluzione industriale, il Leviatano britannico da pesce quale era diventato ora cominciava ad assomigliare sempre più ad una macchina e sia auto-ingannò credendo che questo cambiamento non potesse incrinare il suo rapporto con il mare;  neanche a dirlo, gli eredi della tradizione dominatrice britannica non potevano che essere gli Stati Uniti d’America.

 

Pensare che gli elementi in grado di essere protagonisti delle politica mondiale siano solo la terra e il mare è un grave errore;  dopo il mare, il nuovo elemento fu l’aria e anch’esso generò una rivoluzione spaziale planetaria; ovviamente chi fu capace di dominare l’aria non poteva che dominare anche la scena internazionale. Le grandi potenze devono essere in grado di mettersi costantemente in discussione e ad essere pronte a trasformarsi totalmente se necessario. Il domani pone davanti ad esse grandi sfide e per fare in modo che la storia le ricordi con fare glorioso è necessario che presunzione e arroganza vengano messe da parte per lasciare spazio all’umiltà, caratteristica chiave per adeguarsi ai cambiamenti e continuare ad esercitare la propria influenza a livello globale.

 


 

30 dicembre 2025








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