Sulla nostra soggezione psicologica agli Stati Uniti

 

Il modo in cui i nostri media hanno affrontato le elezioni del 5 novembre sembra essere il segno di una strutturale subordinazione psicologica italiana verso gli Stati Uniti, una soggezione che si manifesta in tanti aspetti dell’opinione pubblica. Si tratta di un atteggiamento dannoso, perché è fondamento della nostra dipendenza geopolitica nei loro confronti. 

 

Di Alessandro Mosca

 

 

Le elezioni presidenziali statunitensi sono state per mesi al centro dell’attenzione dei principali giornali e canali televisivi italiani. Di fatto i media del nostro Paese (in sintonia con l’opinione pubblica a cui si rivolgono) hanno trattato le elezioni americane in modo particolare, a volte dando addirittura l’impressione che il 5 novembre si eleggesse il nostro Presidente. Questo si è visto non solo dal tempo e dall’attenzione che sono stati dedicati alle elezioni, ma anche da una serie di aspetti delle discussioni che si sono effettuate da noi: ci sono stati diversi opinionisti che si sono schierati acriticamente con il candidato appartenente alla propria parte politica, come se avessero gareggiato partiti italiani; inoltre, quando si è argomentato in favore di uno degli sfidanti spesso si è spiegato in che modo il candidato avrebbe portato dei vantaggi alla popolazione americana, come se gli ascoltatori fossero stati cittadini statunitensi; infine, è rilevante che qui in Italia non si è riflettuto frequentemente su quale fosse il candidato più conveniente per il nostro paese. 

 

Gli Stati Uniti rimangono la prima potenza mondiale e ciò che accade lì è decisivo anche per le sorti dell’Europa, per questo è inevitabile occuparsi delle loro elezioni e sviluppare delle preferenze; ma ciò che stupisce non è tanto questo naturale interesse per il tema, quanto l’affrontarlo nel modo in cui si è fatto. Avremmo dovuto concentrarci soprattutto sugli effetti dei presidenti sul nostro paese e sull’Europa, non sulla loro simpatia o moralità. 

 

Il punto è che il modo in cui i nostri media hanno affrontato le elezioni del 5 novembre sembra essere il segno di una strutturale subordinazione psicologica, l’espressione di una soggezione culturale italiana nei confronti degli Usa; un atteggiamento diffuso che si manifesta in tanti aspetti dell’opinione pubblica.

 

Questa soggezione si vede innanzitutto in ambito giornalistico e televisivo, non solo dalla grande attenzione con cui vengono raccontati i fatti statunitensi come le elezioni, il problema delle armi, o gli episodi di razzismo che coinvolgono le forze di polizia americane, ma anche dai numerosi articoli e documentari che sui nostri media raccontano dettagliatamente la storia americana, parlandone quasi come se fosse la nostra storia (che invece è trascurata). Anche per questo, per es., in Italia si conosce meglio John Fitzgerald Kennedy rispetto ad Alcide De Gasperi, e si ricorda con più coinvolgimento l’attentato alle Torri gemelle rispetto al 4 novembre 1918. 

La subordinazione si esprime anche da un punto di vista linguistico: in Italia ci si sta convincendo che l’inglese sia una lingua di valore superiore, una lingua destinata a essere parlata dal mondo intero in eterno; per questo, si è diffusa l’abitudine (accettata anche nelle scuole) di riempire i discorsi di inglesismi, di mettere qua e là parole anglofone senza alcun motivo particolare. 

Infine, essa si manifesta in tutta una serie di concetti diffusi nel paese. L’America è pensata da molti come una stampella necessaria per camminare, il promotore della pace nel mondo a cui affidarsi; il suo stile di vita e le sue città sono oggetto di mitizzazione soprattutto tra i più giovani, che spesso provano molta più ammirazione ed esaltazione per New York o Los Angeles rispetto a quella sentita per Roma, Parigi, o Berlino. 

 

Il nostro atteggiamento verso l’America è innanzitutto curioso: è singolare che l’Italia, erede dell’Impero romano, terra di Dante, madre del Rinascimento, paese pieno di storia e di opere artistiche di ogni genere, sia così timida di fronte a un’altra nazione, per quanto indubbiamente rispettabile e piena di valore. Ma esso è soprattutto dannoso, per un motivo più concreto. Il problema è che la nostra soggezione psicologica è fondamento, sostegno determinante della nostra subordinazione geopolitica nei confronti degli Usa. L’opinione pubblica, troppo accondiscendente nei confronti degli americani, produce un modo di stare al mondo troppo incline a rispettare la loro volontà, anche quando quest’ultima va in direzione contraria a ciò che le conviene. La nostra mentalità, caratterizzata da un senso di inferiorità verso gli Usa, determina il nostro modo di rapportarci a essi.

 

Diversi fatti mostrano che in Italia la dimensione culturale e quella geopolitica stanno procedendo parallelamente. Nel nostro paese sono stabilmente presenti numerose basi militari e più di 10000 soldati americani. Le forze armate italiane sono strutturate in modo da funzionare efficacemente soltanto insieme a quelle statunitensi, limitando così la nostra sovranità. Sempre in questo senso, è utile osservare la politica estera italiana degli ultimi decenni, che è stata costantemente in linea con la volontà americana: durante le crisi di Jugoslavia, Libia, Ucraina, e Palestina, il nostro paese ha sostanzialmente seguito l’indirizzo statunitense senza interrogarsi seriamente sull’ipotesi di discostarvisi; a riguardo è emblematico il caso libico, dove le nostre forze armate, all’interno della coalizione guidata da americani, francesi, e britannici, hanno contribuito a far crollare il regime di Gheddafi che, per quanto discutibile, era in buoni rapporti con il nostro paese e assicurava stabilità nella regione.

 

La subordinazione geopolitica nei confronti di un soggetto esterno, e quindi anche quella psicologico-culturale che la sostiene, è qualcosa di dannoso per un paese. Essere determinati da altre nazioni è rischioso, perché la potenza egemone può in ogni momento costringere a fare o subire azioni sconvenienti da tutti i punti di vista, economico, politico, militare. Numerosissimi popoli nella storia hanno lottato per avere una maggiore libertà, non solo perché la servitù è disonorevole, ma anche perché quest’ultima rischia sempre di tradursi in miseria e disordine. Per questo, è opportuno ridurre la dipendenza geopolitica verso gli Usa, e per farlo è necessario anche combattere l’attuale “spirito del tempo” che la alimenta. 

 

 

L’Italia non dovrebbe sviluppare una forma di odio o di disprezzo verso gli Stati Uniti, che sono un paese pieno di virtù e di valore. E non dovrebbe nemmeno tentare di conquistare subito una sovranità e un protagonismo internazionale completi, cercando di liberarsi totalmente dall’influenza americana, perché sarebbe impossibile data la sua forza economica, demografica, e militare. In questo senso, non bisogna illudersi che la Russia e la Cina siano migliori dell’attuale superpotenza globale, perché non c’è nessun motivo di pensare che si comporterebbero meglio di quest’ultima; è probabile che tali soggetti, dato il loro disinteresse per i diritti umani, agirebbero in modo ancora più violento sul resto del mondo.

 

Però l’Italia potrebbe iniziare ad avere una percezione più sana di sé stessa e degli Stati Uniti, vedendoli non come un tutore severo e affidabile, ma come una potenza che ha degli interessi propri e a volte inevitabilmente divergenti da quelli europei. Potrebbe prepararsi a far valere il più possibile la propria volontà quando l’indirizzo americano non le conviene, cominciando allo stesso tempo uno sforzo generale, prudente, e non violento finalizzato a ridurre la dipendenza dagli Usa. Potrebbe iniziare a pensare che non c’è motivo di studiare dettagliatamente la storia statunitense, quando la propria è ancora troppo ignorata; e che non c’è ragione di imitare la lingua inglese, come una specie di territorio d’oltremare destinato a far parte dello stato americano. Infine, e questo è un aspetto decisivo, essa potrebbe alimentare tenacemente l’idea che è necessario rafforzare la fratellanza e l’unità tra gli stati europei (a partire dallo sviluppo di una difesa comune), perché un’Italia isolata non potrà che diventare sempre più subordinata alle grandi potenze esterne. 

 

Queste iniziative possono sembrare secondarie, ma nella storia l’aspetto culturale è determinante: non sono mai esistite comunità libere caratterizzate da una forma di soggezione psicologica verso l’esterno. 

 

6 dicembre 2024

 








Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica