Tim Ingold è un antropologo inglese di spicco nel panorama accademico internazionale, per via delle sue idee originali, innovative e dai tratti poetici. Una di queste è la lineologia, contenuta nel saggio Siamo linee. Secondo Ingold siamo come linee che si muovono continuamente e che nel farlo creano “nodi”, legami. La realtà che risulta dal caratteristico movimento delle linee è una realtà in continuo divenire, all’interno della quale l’uomo cerca di trovare la propria identità.
Attraverso l’utilizzo del concetto di linea, l’antropologo inglese Tim Ingold riesce a descrivere la dinamicità della realtà: fatta di nodi, intrecci e reticoli, sia relazionali che istituzionali, la realtà in cui viviamo si può sintetizzare con la logica delle linee. La caratteristica fondamentale delle linee è che esse tendono ad avanzare e a muoversi continuamente; così, una realtà descritta per mezzo di linee, risulta essere iper-dinamica. Ciò significa che nulla resiste al continuo divenire, se non le linee stesse e il loro “fuggire”, intrecciarsi e annodarsi, dal quale scaturiscono i reticoli (Meshwork). Per Ingold ogni essere vivente è una linea o, meglio, è composto da fasci di linee. Ma che significa essere composti da linee? E cosa comporta questo? Si è soliti pensare agli organismi come a delle bolle, come, cioè, a un agglomerato di materia perfettamente circoscrivibile all’interno dei propri confini. Ogni organismo, in questo senso, è sì una bolla, ma è anche composto da una o più linee. Spieghiamo meglio: le bolle (un qualsiasi organismo), senza le linee (estremità corporee che consentono il movimento), non possono aggrapparsi l’un l’altra, né muoversi o riprodursi. La bolla è la componente materiale dell’organismo, ma a consentire la vita sociale sono le linee con il loro continuo torcersi e flettersi.
Come descritto dall’esempio della Danza di Matisse contenuto in Siamo linee, è il principio della linea a dare vita al sociale. Nel quadro le figure umane hanno la forma di una bolla, ma si intrecciano tra di loro attraverso le linee rappresentate dagli arti. Il risultato del dipinto non è un assemblaggio di bolle, bensì una ghirlanda di linee intrecciate che formano un “vortice”. L’esempio serve ad esprimere l’idea che la realtà è fluida e che all’interno di essa nulla resta uguale. Nella Danza, infatti, il principio fondamentale è il movimento vorticoso. Come espresso da Mauss nel Saggio sul dono, in una realtà del genere dettata dal movimento continuo delle linee, gli uomini si muovono come piovre o anemoni: devono trovarsi uno spazio e attaccarsi agli altri coi tentacoli per resistere alle correnti. Polpi e anemoni non si fondono né si uniscono, essi si compenetrano e si intrecciano formando un reticolo illimitato e in continuo ampliamento. Nell’intreccio che forma questo reticolo, le linee sono come in tempesta o un mulinello e, cioè, non una massa contenente vita che si muove da un punto ad un altro, bensì un movimento in sé, un avvolgimento la cui quiete sta nell’occhio del ciclone: la vita è data dal movimento vorticoso in sé.
L’intreccio, la compenetrazione delle linee avviene nel nodo: in una realtà dove tutto ha origine e si sviluppa nei processi di crescita stessi e nel movimento stesso, l’annodatura è il principio fondamentale con cui le cose stanno insieme. Dove altrimenti ci sarebbe il caos, il nodo dà coerenza, ma lo fa conservando il movimento. Infatti, il nodo non è come un mattone, o una catena, o un contenitore, insomma non è una bolla, nulla di rigido o assemblato (si può sempre sciogliere). Il nodo è come la stretta di mano nello scambio di doni descritto da Mauss, in essa le linee si annodano come le mani si offrono l’un l’altra, ma senza perdere la propria identità. C’è quindi un collegamento, non un amalgamarsi statico, c’è unione simpatica/armonica. Nel nodo le linee si legano fra loro, ma senza perdere la loro libertà di andare altrove, infatti: «I nodi sono sempre al centro delle cose, mentre le loro estremità sono sciolte, alla ricerca di altre linee con cui intrecciarsi» (T. Ingold, Siamo linee).
Dunque, la realtà consiste in un mondo di nodi e, cioè, un WWO (World Without Objects): un mondo non fatto di oggetti, ma composto da nodi vitali in cui le linee si intrecciano e da cui le linee continuamente si dipanano. In quest’ottica le “cose” non sono nomi, ma verbi, le cose “succedono” e consistono nel loro movimento/sviluppo: le cose sono ciò che fanno. «Le cose non si limitano a esistere; se esistessero e basta, non sarebbero altro che oggetti. Il fatto è che le cose succedono, si dipanano lungo le loro linee. Questo significa accettarle nel mondo non come nomi ma come verbi, come eventi. Significa portarle in vita». (T. Ingold, Siamo linee). Ma se ogni cosa è ciò che fa, qual è l’attività propria dell’uomo? Ingold riporta l’idea di Lullo – filosofo spagnolo del 1232-1316 – secondo cui la risposta è “Homificare”. Il termine, per il filosofo, non significa umanizzare il mondo, bensì forgiare la propria esistenza, conquistare la propria condizione di essere umano col continuo svilupparsi e produrre. Allora la condizione di essere umano non è nulla di a-priori, essa è, invece, un continuo accadere. Mai nulla di fisso, definitivo o cristallizzato: la vita, come la linea, non è essere ma divenire. L’uomo si costruisce la propria identità in corso d’opera.
Seguendo la logica delle linee finora descritta, Ingold giunge alla conclusione che l’antropogenesi dell’uomo, così come nel processo di produzione di un oggetto, avviene per tappe. In questo modo egli sostiene che la nascita è contenuta nella crescita. Nella produzione di un qualsiasi oggetto di artigianato, come ad esempio un vaso, la materia prima viene plasmata dal produttore e la “nascita” dell’oggetto è contenuta nelle tappe del processo di produzione stesso. La nascita di un oggetto non coincide, cioè, con la fine della sua produzione, ma avviene in contemporanea all’atto di produzione. Allo stesso modo l’antropogenesi è un creare-nel-crescere. L’uomo, quindi, forma il proprio essere non alla fine né all’inizio della propria vita, ma si crea mentre cresce, si forma mentre continua a vivere, a svilupparsi, ad andare avanti come una linea.
Nel WWO (World Without Objects) le linee avanzano in continuazione e la vita che il loro movimento genera si basa sulla corrispondenza tra esse. Detto questo, una forma, un organismo, non nasce-cresce-muore, ma nasce mentre si costruisce, poiché è lo sviluppo stesso ad indirizzare la forma. La vita della linea è come la scia tracciata da una chiocciola: non è un predeterminato andare da A a B, ma una continua regolazione della propria traiettoria nel corso stesso del suo avanzare, del suo svilupparsi. Ne risulta una realtà animata dal principio cardine del movimento perpetuo delle linee e, perciò, in continuo divenire. La lineologia di Ingold, e la realtà in continuo divenire che essa tratteggia, sono effettivamente coerenti con la percezione della vita che l’uomo può avere nella propria esperienza personale. L’idea che l’uomo sia come una linea in continuo avanzamento, che il proprio tragitto sia spesso da ricalcolare e reindirizzare, che il mondo in cui si muove è in veloce e continuo cambiamento, che abbia bisogno di allacciare e “annodare” rapporti umani per avere qualcosa di stabile e a cui aggrapparsi nella vita; sono queste tutte asserzioni certamente familiari ad ognuno di noi. Inoltre, l’idea di sviluppo come nascere contenuto all’interno del crescere è riscontrabile anche nei recentissimi studi dell’Evo-Devo (biologia evolutiva dello sviluppo), che studia l’evoluzione umana dal punto di vista dello sviluppo del singolo individuo della specie.
4 marzo 2024
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