Uno degli stereotipi ricorrenti all’interno delle scuole e, in generale, nel sentire comune, è quello secondo cui la filosofia non sia oggettiva, cosa invece inerente alle scienze tutte. Le scienze vanno al sodo, sono “pratiche”, sono “concrete”, mentre la filosofia resta nell’astratto. E’ uno dei pregiudizi più comuni, ma anche uno dei più fragili e deboli, anche se si volesse provare ad argomentarli e difenderli.
Qualsiasi uomo di scienza sa bene, e a questo ci siamo arrivati sotto i colpi della storia della scienza e della stessa filosofia, che non c’è teoria scientifica che abbia resistito nel tempo, che possa dirsi assoluta, vera. Kuhn ci ha mostrato come la storia della scienza proceda per rivoluzioni, e così da quella aristotelico-tolemaica siamo passati a quella galileiana, da quella meccanica newtoniana, confutata e del tutto superata da quella relativistica e poi quantistica, e via dicendo. La mancanza di una storia della scienza, come avviene invece per la filosofia – quella tanto criticata “storia di”, di hegeliana e gentiliana memoria che invece un senso epistemologico lo aveva eccome – porta inevitabilmente ad una percezione erronea del sapere, come se questo fosse statico, immobile, assoluto. Se della filosofia si ha, in generale, una percezione dinamica, fin troppo, e di conseguenza una sensazione epidermica e intellettuale di debolezza e inconcludenza, si ha, per lo più, per la scienza, una idea di sicurezza, di affidabilità. Qualunque studente si approcci ad un manuale di fisica, di chimica, di medicina, ha la sensazione di affidabilità, di “concretezza”, di sicurezza. Non ha la percezione di volatilità, il sapere che apprende gli appare tangibile, afferrabile, assoluto. O meglio, confonde l’oggettivo con l’assoluto. Crede di sapere, non riconoscendo il non sapere come essenza e motore della ricerca, come insegnò Socrate. Si ha di Newton la sensazione di oggettività, in pochi a scuola sanno della sua totale confutazione e della impossibilità, attraverso Newton, di leggere la realtà, oggi, dopo aver subito i colpi di Einstein e della quantistica tutta. Scrive Popper:
« La differenza principale fra Einstein e un'ameba è che Einstein cerca coscientemente l'eliminazione degli errori. Egli cerca di uccidere le sue teorie: è coscientemente critico delle sue teorie che, per questa ragione, egli cerca di formulare esattamente piuttosto che vagamente. Ma l'ameba non può essere critica riguardo alle sue ipotesi; non può essere critica perché non può fronteggiare le sue ipotesi: esse sono parte di sé. (Solo la conoscenza oggettiva è criticabile: la conoscenza soggettiva diviene criticabile solo quando diviene oggettiva. E diviene oggettiva quando noi diciamo ciò che pensiamo e ancor più quando lo scriviamo o lo stampiamo). »
In generale si ha invece una idea dell’oggettività erronea, la si confonde per assolutezza, per indiscutibilità, sul modello platonico. Si pretende, quasi cartesianamente, di estendere la matematica e la sua “esattezza” alla realtà fisica, ma la matematica è perfetta proprio perché non reale, proprio perché puramente astratta. La matematica non è oggettiva, è assoluta. Non ha il vincolo della realtà. E’ per questo che uno più uno in matematica può fare eternamente due, senza subire cambiamenti, senza subire il peso della trasformazione e della corruzione tale per cui, nella realtà, uno più uno può fare due solo in relazione ad uno stato di cose, temporaneo. Scrive Einstein:
« Nella misura in cui le leggi della matematica si riferiscono alla realtà non sono certe. E nella misura in cui sono certe, non si riferiscono alla realtà. »
Assistiamo ad uno sviluppo in parallelo, da un lato la scienza contemporanea si muove nella consapevolezza, piena, dell’impossibilità di un sapere assoluto, ha superato il mito del sapere come possesso pieno di esso, della verità come dimensione della perfezione, dall’altra questa consapevolezza è quasi del tutto assente nel panorama scolastico, o meglio nella percezione generale degli studenti, ed è altrettanto assente nel sentire comune e popolare. Se la scienza moderna, tramite Galilei, è entrata a far parte del tessuto sociale e culturale, quella novecentesca, quella che distrugge del tutto l’idea di una oggettività stabile, sotto i colpi di Nietzsche nell’etica, di Freud in campo psichiatrico, di Einstein, di Bohr, di Heisenberg nella fisica, non è riuscita ancora a penetrare nel sentire comune. E’ come se procedesse in autonomia rispetto ad una idea ancora classica del sapere. E tutto ciò si ripercuote, in modo erroneo, sulla filosofia, che, attraverso questo quadro concettuale e paradigmatico, finisce per apparire instabile rispetto ad un sapere scientifico che, invece, instabile non sarebbe.
L’oggettività sta nella coerenza dimostrativa, relativamente ad un metodo condiviso. Sta nella dimostrazione logica in filosofia e in matematica, nella dimostrazione empirica nelle scienze naturali. Questa è la grande svolta del pensiero scientifico contemporaneo, da qui l’inevitabile umiltà dello scienziato, di cui parlava Popper. Un metodo non da intendere a sua volta in modo sterile ed astratto, ma anch’esso dinamico, funzionale ad una lettura sempre più coerente e raffinata del mondo, ad un modo sempre migliore di pensare il mondo, con contenuti sempre più raffinati. E’ per questo motivo che la filosofia risulta oggettiva, come per le scienze. Così come è oggettivo l’idealismo hegeliano, come quello analitico. Oggettivo, anche quando è confutato. Così come è oggettiva la fisica newtoniana, anche quando viene superata dalle teorie di Einstein, oggettive a loro volta. Tutte teorie oggettive, dato un metodo condiviso dalla comunità intellettuale di un periodo storico. Tutte queste teorie, filosofiche e scientifiche, quelle passate e confutate, non diventano quindi all’improvviso false, mentre sono vere quelle attuali, prima di diventare anch’esse false. Non si naviga nella falsità eterna, non si naviga nell’incertezza assoluta, ma, di volta in volta, la filosofia e la scienza offrono la migliore lettura possibile della realtà, del suo funzionamento. E’ in questo senso che la stessa storia della filosofia e della scienza, talvolta bistrattate nel nome di un mitizzato “approccio per temi”, assumono forza e senso. Il cambiamento di metodo, senza trovarne uno immutabile e perfetto, lungi da essere fonte di debolezza della scienza. E’ esso stesso il motore del cambiamento scientifico, del progresso scientifico, come comunemente detto. Il metodo funge da normalizzatore della scienza, come riferiva Kuhn, sempre pronto ad essere rivisto, falsificato, superato. E’ nella criticabilità di una teoria, la sua forza. Ritorna, quasi eterno, il so di non sapere socratico, il riconoscimento dell’ignoranza come possibilità di conoscenza, la filosofia e la scienza come ricerca, di nuovi orizzonti, di nuove domande.
Come scriveva Popper «tutta la vita è risolvere problemi». Ed è nell’individuazione di problemi, tornando a Socrate, l’essenza stessa del sapere, non nel suo possesso. Del resto l’amore del sapere è tale perché mira a colmare una mancanza, ad individuare un perché precedentemente non rilevato. Ciò che era indifferente diventa rilevante, diventa problematico, un orizzonte di conoscenza. Un vuoto da colmare. Da amare.
Scrive Rovelli, fisico teorico contemporaneo, nel suo libro Che cosa è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro:
« La mancanza di certezza, lungi dall’essere una debolezza, costituisce, e ha sempre costituito, il segreto stesso della forza del pensiero razionale, inteso come pensiero della curiosità, della ribellione e del mutamento. La scienza consiste nel guardare più lontano, nel rendersi conto che le nostre idee sono molto spesso inadeguate non appena usciamo dal nostro giardinetto. Quindi consiste innanzitutto nello smascherare alcuni dei nostri pregiudizi, nel costruire e sviluppare gli strumenti concettuali nuovi, per poter pensare più efficacemente il mondo. La conoscenza scientifica è il processo di modificare e migliorare in continuità la nostra concettualizzazione del mondo, rimettendo selettivamente e continuamente in discussione alcune assunzioni e credenze su cui si basa, per cercare modifiche che si rivelino più efficaci. La scienza è una ricerca continua del miglior modo per pensare il mondo, per guardarlo. Essa è dunque prima di tutto un’esplorazione continua di nuove forme di pensiero” (Carlo Rovelli, Che cosa è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro). »
E ancora Rovelli, in Buchi bianchi:
« Abbiamo capito che la terra è rotonda (due millenni fa); abbiamo capito che si muove (mezzo millennio fa). A prima vista sono idee assurde. La terra appare piatta e immobile. Per digerire simil idee, la difficoltà non è stata l’idea nuova: è stata liberarsi da una vecchia credenza che sembrava ovvia; metterla in dubbio sembrava inconcepibile. Siamo sempre convinti che le nostre intuizioni naturali siano giuste: è questo che ci impedisce di imparare. La difficoltà quindi non è imparare, è disimparare. »
E’ per tutto questo che la distinzione platonica tra doxa ed espiteme risulta del tutto attuale e sempre valida. L’opinione, la doxa, si caratterizza per la sua mancanza di argomentazione, non per la sua falsità. L’episteme, la conoscenza fondata, si caratterizza per la sua argomentazione, non per la sua aderenza alla verità. Giordano Bruno ci sembra più “vicino alla verità” quando parla di universo infinito, mentre Copernico ci sembra “più lontano dalla verità” quando parla di eliocentrismo, perché l’universo non ha alcun centro, come si pensava. Eppure tutti riconosciamo che Bruno non era uno scienziato, mentre Copernico lo era, lo era eccome. Bruno intuisce, Copernico dimostra. Una è un'opinione, l’altra è una dimostrazione coerente rispetto ad un metodo. Ciò che definiamo come oggettività fa la differenza, e la fa rispetto ad un metodo, ad un paradigma, per riprendere Kuhn, non rispetto alla verità. E’ per questo che la filosofia non potrà mai essere uno scambio di opinioni, ma resta un percorso di conoscenze, fondate. Oggettive. Come per ogni scienza, senza mai poter essere assolutamente e incontestabilmente vera.
25 gennaio 2024
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