Pensieri meridiani

 

Gli scritti e i discorsi di Albert Camus trovano un fondamento in pochi, chiari principi basilari: amore per la natura e gli esseri, diffidenza verso le ideologie e il potere statuale, difesa della verità e della sincerità, senso della misura... Questo articolo – indirizzato ai miei contemporanei – prende le mosse da questi principi, riproponendo in maniera succinta dei pensieri che continuano ad essere preziosi per un’umanità che deve ancora fare i conti con i mali del Novecento, ma che non smette di aspirare ad un mondo differente, meno ingiusto e più libero.

 

 

« La speranza, al contrario di quel che si crede, equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi. »

(A. Camus, L’estate ad Algeri)

 

Sia la speranza che la disperazione nascono da una condizione infelice.

La Speranza vuole sbarazzarsi di un presente caotico in cambio di un futuro migliore. « Verrà un giorno dice la Speranza – in cui tutto si risolverà, senza la nostra partecipazione. Basta aspettare, con la testa rivolta in avanti, senza muovere un dito».

La Disperazione, in uno slancio nichilistico, vuole ardere, incenerire, annientare il tempo e lo spazio, ridurre qualsiasi cosa al silenzio primordiale. «Tutto è inutile – grida la Disperazione –, perché tutto è senza risposta, qualsiasi cosa è motivo di afflizione: la natura, gli esseri, dio.»  

 

Apparentemente antitetiche, ciò che accomuna la Disperazione e la Speranza è la rassegnazione. Il presente deve essere abbandonato, perché la lotta quotidiana non conta nulla. Non possiamo avere alcun controllo sul corso degli eventi, perché è il caso (o qualsiasi altra forza esogena) ad imporre e dettare ignote regole all’esistente. Noi non siamo che le comparse di un film scritto e diretto non da noi, ma dall’enigma. Noi ci limitiamo a partecipare collettivamente al caos, e quasi sempre non facciamo altro che aumentarne l’intensità con le nostre piccole e futili ossessioni. 

 

« Posso tutto confutare, in questo mondo che mi circonda, mi urta o mi trasporta, salvo questo caos, questo caso imperante e questa divina equivalenza, che nasce dall'anarchia. Non so se il mondo abbia un senso che lo trascenda; ma so che io non conosco questo senso e che, per il momento mi è impossibile conoscerlo. » (A. Camus, Il mito di Sisifo)

 

Perché dunque non arrendersi alla spietata legge del caso e dichiarare la resa definitiva su questa terra? Perché non (di-)sperare una volta aver constatato che il presente non è ciò che vogliamo che sia? Perché, in fondo, il nostro destino potrebbe essere un altro. C’è, infatti, un margine di libertà – non soggetto all’imperio della sorte – che ci consente di prendere il controllo delle nostre azioni e di diventare così padroni indiscussi di noi stessi. 

 

« Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All’infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l’uomo è il solo padrone. » (Ivi)

 

Sebbene non possiamo far nulla contro le iniquità naturali della vita, noi conserviamo quantomeno la forza per resistere al fascino di idoli terreni o celesti. Noi non siamo nel mondo per sperare, avere fede o disperare, ma per ex-sistere, ovvero per insorgere contro quelle ingiustizie artificiali che tentano di terrorizzarci e svilirci. La vera sfida consiste appunto nel restare dentro l’inferno e nel rifiutare allo stesso tempo questa condizione umana, ben consapevoli delle nostre responsabilità verso il mondo che ci circonda. Cercare vie di fuga significa abbandonare i propri doveri, vuol dire tradire i nostri affetti, a cui dobbiamo tutta la nostra vita. La salvezza non è dunque da ricercare nel nulla, nell’aldilà o in un futuro incerto, ma in questa realtà, che è sì causa di tremende lacerazioni, ma è anche una sorgente inesauribile di gioie. 

 

« Sentire i propri legami con una terra, il proprio amore per alcuni uomini, sapere che c’è sempre un luogo in cui il cuore troverà la sua armonia, ecco già molte certezze per una sola vita umana. » (A. Camus, L’estate ad Algeri, in Nozze)

 

 

Dove trovare la ragione e il fine della rivolta se non nel calore invincibile degli esseri? Tutto ciò che serve per essere felici e continuare a vivere sta accanto a noi! L’amore non può che essere l’unica reale consolazione concessa all’uomo comune, il principio primo e il trionfo supremo dell’azione umana. 

 

« Lo scopo del movimento assurdo, in rivolta, ecc., il compimento del mondo contemporaneo dunque, è la compassione nel suo significato primigenio, ovvero, per finire, l’amore e la poesia. » (A. Camus, Taccuini: Tomo 2, gennaio 1942 - marzo 1951)

 

Di fronte a guerre permanenti, patti violati e vite spezzate dalla volontà di potenza e di morte, la compassione è la vera forza anarchica, incendiaria, controcorrente. Non si pensi che una bomba e una protesta violenta siano più rivoluzionarie di un abbraccio o di una verità dichiarata con schiettezza. Oggi come in ogni altra epoca storica tiranneggiata dalla violenza e dal terrore, la radicalità non è nell'estremismo, ma nella moderazione, in quel lucido, ragionevole senso della misura che dovrebbe dimorare in ogni atto e parola dell’uomo. 

 

« N.: la forza nella moderazione è la forza superiore. » (A. Camus, Taccuini: Tomo 3, marzo 1951 – dicembre 1959) [trad. mia]

 

Per poter incidere realmente sullo statu quo, iniziamo dunque a cambiare la realtà a palmo a palmo, mettendo un po’ più di verità nelle nostre azioni quotidiane; iniziamo ad essere radicali, privilegiando in ogni occasione la fedeltà a noi stessi e l’uso di linguaggio franco. La sincerità, ricordiamolo, non ha fatto né mai farà vittime; è la falsità a cospargere odio, ad ammorbare il dialogo tra gli uomini. 

 

« La libertà che dobbiamo conquistare è infine il diritto di non mentire. Soltanto a questa condizione noi conosceremo le nostre ragioni di vivere e di morire. » (A. Camus, La crisi dell'uomo) [trad. mia]

 

L’attaccamento alla verità ci riconduce all’essenziale, ad un dato fondamentale e primigenio: esiste una comunità di destino tra tutti gli esseri umani che trova la sua ragion d’essere nella lotta contro il dolore e le assurdità del presente. Prendere atto di questa verità significa fare un (piccolo, microscopico) passo in avanti verso la nascita di una società plurale fondata sull’amicizia e sull’onestà. 

 

« Ciò che equilibra l’assurdo è la comunità degli esseri umani in lotta contro di lui. E se noi scegliamo di servire questa comunità, noi sceglieremo di servire il dialogo fino all’assurdo contro qualsiasi politica della menzogna e del silenzio. È così che si è liberi con gli altri. » (A. Camus, Taccuini: Tomo 2, gennaio 1942 - marzo 1951) [trad. mia]

 

Il riconoscimento della fratellanza costituisce una necessità per tutti gli esseri che abitano questa terra comune, priva di confini. Certo, non saremo in grado di eliminare tutta la miseria del mondo o di scoprire il segreto dell’universo, ma avremo almeno obbedito al solo comandamento morale in grado di nobilitare la nostra azione: amare. Amare non tanto le idee, che rischiano di accecare lo sguardo e ottundere la ragione, quanto le persone in carne e ossa, pulsanti di vita; amare con trasporto e abbandono cosciente, lasciarsi andare, cessare ogni futile resistenza, per vivere e far vivere l’amore in ogni istante, sgravandosi in quegli attimi irripetibili dal peso insopportabile di tutte le lacrime del mondo. 

 

« Non c’è altro compimento che quello dell’amore, ovvero della rinuncia a sé stessi e della morte al mondo. Andare fino in fondo. Sparire. Dissolversi nell’amore. Sarà la forza dell’amore che creerà allora, non più io. Inabissarsi. Smembrarsi. Annientarsi nella realizzazione e nella passione della verità. » (A. Camus, A. Camus, Taccuini: Tomo 2, gennaio 1942 - marzo 1951) [trad. mia]

 

In ogni battaglia, preferiamo la calda concretezza degli esseri alla gelida astrattezza delle ideologie! Scegliamo le patrie di carne al posto di quelle fittizie. Agiamo, scriviamo, gridiamo sempre e solo per gli individui. È nostro dovere stare accanto a loro, ascoltarli in ogni occasione e non abbandonarli mai. 

 

 

« Qualcuno a cui parlare… tutti noi ne abbiamo bisogno! Non qualcuno con cui conversare, o che ci approvi, ma qualcuno che resti lì, semplicemente, tacendo, ascoltando. Gli assassini, i folli, i violenti, se avessero avuto qualcuno disposto ad ascoltarli, forse sarebbero rimasti tranquilli! » (A. Camus, Requiem per una monaca) (adattamento teatrale dell'omonimo romanzo di William Faulkner) [trad. mia]

 

Sebbene ci sia in ognuno di noi una parte che desidera punire e odiare senza riserve, dimentichiamo i rancori e le offese del passato. Non permettiamo all’orgoglio di rodere le nostre vite ed evitiamo soprattutto di emettere condanne definitive. Ricordiamo che, accanto a quella dimensione negativa, noi preserviamo pur sempre una parte di innocenza, che mette sullo stesso piano il peggiore dei criminali e il più retto dei giudici.

 

« Esiste una solidarietà di tutti gli uomini nell’errore e nello smarrimento. Questa solidarietà dovrebbe forse agire in favore dei tribunali e venir sottratta all’accusato? No, e se la giustizia ha un senso in questo mondo, null’altro significa se non il riconoscimento di questa solidarietà, che non può, per la sua essenza, essere disgiunta dalla compassione. » (A. Camus, Riflessioni sulla pena di morte)

 

Certo, è impossibile perdonare chiunque e cancellare qualsiasi colpa – non c’è alcuna motivazione morale o religiosa che possa liberare un assassino dalle sue responsabilità penali e attenuare la gravità di ciò che ha compiuto. Eppure, noi dovremmo comprendere il dolore di tutti, anche il pentimento sincero di un carnefice. La compassione è un dono che non assolve, ma che ripugna la vendetta e riconosce a ciascun uomo il diritto al riscatto. Non possiamo annullare ciò che è stato, ma è responsabilità di chiunque modificare ciò che è modificabile, fare un po’ di bene per porre rimedio al danno compiuto, senza cercare facili assoluzioni. Del resto, il nostro compito – l’unico compito a misura d’uomo – è quello di vincere il male che è in noi, non smettendo mai di amare, dubitare ed essere sinceri. Solo così potremo accettare finalmente la morte come limite estremo e invalicabile, sapendo di non rimpiangere nulla della nostra vita. 

 

« Non c’è verità umana se non c’è infine l’accettazione della morte senza speranza. È l’accettazione del limite, senza rassegnazione cieca, in una tensione di tutto l’essere che coincide con l’equilibrio. » (A. Camus, TaccuiniTomo 3, marzo 1951 – dicembre 1959) [trad. mia]

 

Forse, l’unico rimpianto è quello di abbandonare questi corpi e questa natura, che continueranno a profondere piaceri e consolazioni ad altri esseri. Eppure, sapremo di aver vissuto una vita lontana dall'odio e dai furori del nostro tempo, ancorata al presente, godendo del bene più prezioso che l'inferno ha da offrirci: la libertà.

 

26 giugno 2024

 





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