I popoli non sono inclini alla violenza, è necessario fomentarli con argomenti ad hoc e falsità per accendere in loro l’odio verso lo straniero: una tesi di Benjamin Constant, che risuona profetica a distanza di due secoli. Un monito al progressivo imbarbarimento in cui il mondo globalizzato rischia di cadere, sospinto dai venti di guerra.
Se uno Stato è caratterizzato da un regime imperialista, la cui sussistenza si fonda sull'espansione e sull'arricchimento a danno di popoli altri, diventa necessario avere non solo dalla propria parte il braccio armato della società, ma, inoltre, «assicurarsi la fedeltà e il sacrificio dell’intera popolazione», che deve supportare lo sforzo bellico. «Se un popolo è storicamente portato alla guerra, chi lo governa non ha bisogno di inventarsi escamotage particolari per condurlo a uno stato di belligeranza». Il problema è che
« oggi la guerra non dà nessun vantaggio ai popoli, non è che una fonte di sacrifici e di privazioni: fare l’apologia di una politica imperiale non può avvenire che grazie a slogan retorici e propaganda menzognera. […] si deve perciò mettere a tacere il senso critico ed egemonizzare l’immaginario e l’opinione pubblica. »
Sembrano le parole di un commentatore su quanto sta succedendo negli Stati Uniti, in Unione Europea, a Taiwan, in Russia, in Ucraina e in tutti quegli stati – purtroppo la lista è lunga – dove la propaganda bellicista ha ripreso a marciare con forza. L’aumento senza vincoli della spesa per il settore militare non solo è incentivato dai governi, ma pure propagandato come necessario e valido, a fronte di popoli che per decenni erano stati abituati – penso specie al contesto dell’Unione Europea – a una retorica di pace e di diplomazia. Il nostro commentatore ci dice che queste guerre non portano vantaggi ai popoli: un 1% si arricchirà grazie alle spese militari e la ricostruzione post-bellica, ma il 99% dovrà subire sofferenze immani, come ci mostrano le immagini provenienti dalla striscia di Gaza o dal fronte di guerra ucraino. Di conseguenza, si potrà convincere i popoli dell'utilità della guerra solo con menzogne: con l’idea che non c’è altro modo per risolvere i conflitti fra popoli se non con la violenza, che la diplomazia non è valida con i “barbari”.
Le parole riportate non sono però quelle di un opinionista del giorno d’oggi, ma sono le constatazioni profetiche di Benjamin Constant, uno dei padri teorici del liberalismo classico. Colui che, più di altri, ha sottolineato con che menzogne uno Stato riesce a vendere la guerra come un fatto necessario:
« Quel regime dovrà parlare di indipendenza nazionale, di onore nazionale, di necessità di modificare le frontiere, di esigenze economiche, di doverose misure preventive e chissà che altro: inesauribile è il vocabolario dell'ipocrisia e dell'ingiustizia.
[…] Il nostro regime invocherà poi le necessità dell’economia, come se un maggiore sviluppo economico giustificasse la strage di giovani mandati al macello, o di lavoratori strappati ai campi, ai negozi, alle fabbriche, oppure che fra i popoli vengano erette barriere bagnate di sangue. Il benessere economico dipende dalla concorde collaborazione fra Stati, poggia sulla eguaglianza dei diritti, si regge sulla giustizia e si sviluppa nella sicurezza. »
Ma soprattutto:
« [Un regime] dovrà far di tutto per escludere ogni esame razionale della situazione, così come dovrà cercare di soffocare ogni senso di umanità. »
Queste amare riflessioni, di un’attualità disarmante, si ritrovano in Conquista e usurpazione, scritto che sarà a breve ripubblicato in Italia da Ibex Edizioni, assieme a un altro classico dello scrittore francese, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni. Libro che noi di Gazzetta consigliamo caldamente e a cui abbiamo dato un contributo nella prefazione. Proprio per mostrare uno dei motivi per cui vale la pena dare parola a Constant, vediamo in che modo mostra come si possa escludere, dal dibattito pubblico, ogni esame razionale di cosa stia accadendo.
Cosa centrale sarà spingere il popolo a sostenere, o quantomeno, a non criticare l’operato del governo. Ma siccome la spinta bellicista è contraria agli interessi pubblici, l’usurpatore – inteso, in senso lato, come colui che governa contro la volontà popolare – si ritroverà a dover usare le armi della violenza e della menzogna sui suoi stessi cittadini.
Da un lato, esso «perseguita gli uomini pacifici accusandoli di essere indifferenti», tacciando di follia, tradimento, anti-patriottismo chiunque voglia muovere qualsiasi critica verso le imprese belliche. Se uno si ribellerà alle decisioni del potere, sa che verrà con forza additato come nemico del popolo.
In secondo luogo, non basta il silenzio: l’usurpatore vuole l'appoggio della maggioranza dei cittadini per la guerra, perché senza di esso non si può compiere lo sforzo economico e sociale necessario per l’impresa. Ecco allora il ruolo centrale dei media, della stampa, che diventano sempre più organi di regime. Come afferma Constant:
« Il dispotismo soffoca la libertà di stampa, l’usurpazione ne fa una parodia. »
I vecchi tiranni pensavano di risolvere la faccenda impedendo ai dissidenti di parlare, mentre gli usurpatori oggi son più furbi: fanno finta che tutti possano esprimersi, salvo poi far girare le solite opinioni pro-guerra, assieme a miriadi di diatribe secondarie che non mettono in crisi l’argomento centrale. Un modo per dar l’idea che ci sia libertà di opinioni, mentre il recinto ideologico è ben tracciato.
E così il popolo accetta quanto considerato “inevitabile”, si gira dall’altra parte quando lo Stato fa violenza sugli oppositori, coloro che non capiscono l'ineluttabilità dell’impresa bellica. Ma com’è possibile evitare ciò? In che modo evitare la degenerazione del volere pubblico? Cosa deve guidare i popoli?
« Già non esiste, per la buona sorte come per l’avversa, altro metro di misura che non sia il senso morale. Se quest’ultimo non gli fa da bussola, nei momenti felici l’uomo si travia perché smarrisce la misura, e nei momenti difficili si perde per scoramento. »
Se non si vuole essere trascinati dalla corrente dei media e della propaganda bellica, serve aver salda la bussola morale: aver compreso quei concetti a fondamento del vivere comune, tra cui centrale è quello di libertà. Tema su cui noi di Gazzetta filosofica ci siamo concentrati nella prefazione del libro di Benjamin Constant di prossima pubblicazione con Ibex Edizioni. Opera a cui rinviamo per proseguire una riflessione tanto interessante quanto fondamentale per il destino dell’umanità.
29 luglio 2024
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