Famiglia o desiderio: a che punto siamo?

 

I fermenti culturali, che in quest’inizio di secolo spingono affinché sia promossa un'idea di costrutto familiare più inclusivo, favoriscono una riflessione sugli sviluppi futuri che gli orizzonti della storia, e le sue vicissitudini, possono offrire. L’attualismo politico, sia esso di matrice progressista o conservatoriale, sembra ridurre, o comunque tenere bloccato, il discorso sulla genitorialità a delle questioni sì fondamentali, ma parziali: genere, orientamento e identità sessuale. E se fosse l’intero assetto strutturale della famiglia a necessitare di una revisione totale? Se, in altri termini, la meta dell’evoluzione fosse reperibile non solo nel raggiungimento di una concezione d’insieme familiare non tradizionale, bensì nell’emancipazione dall’idea che vi sia famiglia – soltanto – laddove due esseri umani generino/adottino una prole su cui, poi, investono risorse emotive, finanziarie e formative-pedagogiche? Dunque, quel “2+1”, il modello familiare che tutti noi conosciamo, va superato oppure no? E se sì, in quali termini e perché?

 

di Iosif Pezone

 

E. Manet, "La famiglia Monet nel loro giardino a Argenteuil" (1874)
E. Manet, "La famiglia Monet nel loro giardino a Argenteuil" (1874)

 

Indagare l’istituzione familiare a partire dai suoi aspetti strutturali, tentando così di misurarne l’aderenza rispetto alla contemporaneità, significa porre attenzione allo stato di salute del baluardo su cui sta in piedi l’intera impalcatura civile. Per intercettare la cifra reale dell’ossatura genitoriale, e al tempo stesso tener presenti gli innumerevoli significanti e significati che ambisce a incarnare, potrebbe essere utile concepirla innanzitutto come la prima entità politica (e, perché no, economica) con cui l’individuo è costretto a interfacciarsi, scontrarsi e convivere: con tutti gli elementi razionali e irrazionali, emotivi e utilitaristici, che questa primordiale alterità civile, in nome dell’appartenenza e del sentimento, implica e comporta. In senso proprio, oggi, cos’è la famiglia? Tenteremo di rispondere a questa domanda, a partire dalle definizioni provenienti dalle seguenti prospettive: etico-morale, giuridico-costituzionale e statistico-sociale.

 

Per quanto concerne il primo ambito, il nucleo familiare rappresenta indubbiamente, sia da un punto di vista simbolico, sia da un punto di vista pragmatico-fattuale, l’apriori indispensabile grazie al quale è possibile, per l’infante, sviluppare non già un’identità, ma un primo e timido senso di essa. Da qui, il proliferare su vasta scala, in modo più o meno intenso, di una narrazione antropologica secondo cui, entro i perimetri dell’agglomerato familiare (in quanto “fonte generatrice” dell’esistenza), per l’individuo sarebbe possibile, quasi a prescindere, reperire un qualche tipo di scorcio del cosiddetto e non meglio specificato amore incondizionato. Si tratta di un vero e proprio credo ideologico-culturale che, a torto o a ragione, permea e da sempre ha permeato l’intero mondo occidentale, indifferentemente dalla lingua – ora laica, ora religiosa – tramite cui si esprimeva e tutt’oggi si esprime.

 

Cambiando prospettiva e approdando in ambito giuridico, la Costituzione della Repubblica Italiana, all’articolo 29, definisce – e in tal caso regolamenta – il nucleo familiare come segue: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare». Più avanti, all’articolo 31, si osserva: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». Da questa prospettiva, quindi, la famiglia è interpretata come un insieme di persone che, unendosi e contribuendo con risorse umane e finanziarie, danno vita, di fatto, ad una vera e propria impresa (oggi diremmo società per azioni): soggetta a tasse, tutelata dall’assistenza sociale, con delle proprie entrate e uscite.

 

Dunque, ricapitolando, in ottica etico-morale traspare una idealità (ideologia?) nei riguardi dell’istituto familiare, secondo cui quest’ultimo incarnerebbe l’unica dimora dove la felicità sarebbe non solo possibile, ma realizzabile – e lo si afferma con la tipica certezza parascientifica di ogni pregiudizio; mentre, da un punto di vista legislativo, non è affatto improprio definirla come la prima azienda dello Stato. L’ultima istantanea, utile a tradurre gli effetti sociali di quanto descritto, è reperibile in un dossier pubblicato dall’Istituto Nazionale di Statistica nel 2022. Consultando il report si apprende che, almeno in Italia, la metà dei delitti commessi avviene in contesti domestico-familiari e, soprattutto, il primato del movente più comune per i quali si compiono delitti o reati, è il “futili motivi”.

 

Diviene legittimo, a questo punto, domandarsi come sia possibile che l’istituzione familiare, per quanto da millenni venga promossa come il porto – forse l’unico – sicuro per l’individuo, ad oggi rappresenti la sede e il contesto in cui si realizzano la maggior parte dei reati e delle violenze (almeno in Italia). D’altro canto, qui, si aprirebbe un altro immenso fronte su cui, però, vale la pena fermarsi almeno un attimo per aggiungere un ulteriore elemento al mosaico: in quanto si tratta di una declinazione, un significante fra tanti, che la struttura familiare incarna per alcuni segmenti della popolazione che, in linea di massima, dalla stessa opinione pubblica vengono considerati “incivili” – le organizzazioni criminali. Non è infatti una novità affermare che il nucleo familiare, da un punto di vista prettamente propagandistico, si trova in una connessione paradossale con le organizzazioni anti-civili per eccellenza, quali le mafie. Queste ultime, dall’America latina all’Europa, con i loro codici, riti d'iniziazione e giuramenti, delineano tutta la loro narrazione (esterna e interna) proprio a partire dalla sacralizzazione della famiglia tradizionale: strumentalizzata per instillare un senso di appartenenza e controllo tra i membri, tramutandola, così, da un'unità di protezione e supporto a un meccanismo di oppressione. In particolar modo, in Italia, tutto questo è lampante. Cosa Nostra, la 'Ndrangheta e la Camorra storicamente hanno organizzato la loro esistenza proprio radicalizzando l’importanza dei modelli affettivo/familiari trasmessi, promossi e legittimati, dalla società civile. Perché si tratta di una struttura gerarchica e al contempo intima che, con le sue inevitabili e universali dinamiche, offre un terreno fertile per un'organizzazione criminale che cerca fedeltà incondizionata e il controllo totale sui propri membri. Quest’analogia, adesso, ovviamente non vuole suggerire che tutti i nuclei familiari abbiano caratteristiche mafiose, bensì evidenziare – ed è questo il punto – come certe strutture (due persone adulte che di fatto e per principio sono “naturalmente” proprietarie di un’altra), finiscano per favorire indirettamente, per riflesso e cioè senza volerlo, fenomeni nocivi che incancreniscono ogni idea e possibilità di progresso

 

V. Van Gogh, “Il Padre di famiglia è in mare” (1889)
V. Van Gogh, “Il Padre di famiglia è in mare” (1889)

Di fronte a questo stato di cose, nel quale l’elemento giuridico, intimo e morale, è posizionato su un Pianeta, mentre la sfera della cruda prassi sociale finisce per ristorare in un universo non soltanto diverso, bensì opposto, diventa difficile non domandarsi se non sia iscritto nella stessa, attuale, costituzione del nucleo familiare un destino contrassegnato da profonde collisioni. Controbattere appellandosi ai grandi numeri, evidenziando che, per quanto siano fondate determinate criticità, si tratta pur sempre dell’habitat naturale che ha reso felici miliardi di umani  così come ipotizzare che per debellare i fenomeni nocivi citati non sia necessario problematizzare l’intero assetto familiare nella sua totalità  non è un argomento: a meno che non si abbia il coraggio di affermare lo stesso, riguardo le epoche, ad esempio, in cui c’era il delitto d’onore ed era socialmente accettato bruciare viva una donna. Ed è per questo, soltanto per la consapevolezza che non è vero che la Storia sia finita – tutto va a trasformarsi, a perire o ad incancrenirsi, ma mai a conservarsi – che il punto, allora, non riguarda tanto la scelta (legittima in ogni caso) di voler conservare o non conservare lo status quo, quanto sforzarsi di reperire o – in assenza elaborare nuove strutture (o anche solo ipotesi di esse) che possano garantire, a chi verrà dopo di noi, di godere di una culla più evoluta di quella di cui ha giovato l’umanità fino ad oggi.

 

Per comprendere se l’assetto familiare attuale sia effettivamente l'unico – e migliore – concept civile possibile per promuovere la felicità e il benessere individuale, non si può prescindere dalla messa in discussione innanzitutto delle sue forme e superfici. Il punto da cui partire potrebbe riguardare principalmente la natura monolitica dell’impalcatura familiare e la sua concezione: rigida al punto da poter essere chiamata “egemone” in quanto non lascia esistere margini d’esistenza finalizzati ad una messa in discussione reale dell’orizzonte del “2+1”. Ovviamente, sarebbe ingenuo supporre che, senza una strutta di tipo monolitico, l’essere umano diverrebbe maggiormente libero o, in generale, migliore di quello che è. Una simile idea, posta in questi termini, peccherebbe senz’altro di banalità. Ma cos’è che potrebbe rappresentare – almeno potenzialmente – una possibilità di evoluzione maggiore per identità e personalità di un individuo: avere soltanto due punti di riferimento, oppure godere di un gruppo d’individui, differenti e variopinti nelle tonalità con cui si relazionano tra loro, nei quali poter rivedere più chiaramente se stessi e le proprie, molteplici, sfaccettature, attitudini e inclinazioni? Un’obiezione da muovere contro la tesi appena esposta, farebbe leva sulla possibilità che, seppure i genitori e le genitrici dell’infante fossero più di due, ciò non assicurerebbe affatto l’espulsione degli elementi nocivi dall’istituzione familiare. Come a dire: la molteplicità non garantisce per forza un miglioramento e neppure può essere intesa come sinonimo di evoluzione e qualità. Bene, a maggior ragione, il punto non è tentare semplicemente di ampliare le fila della sfera genitoriale, quanto di rendere gli effetti del suo inevitabile, giustificato e innocente, potere articolati. Non si tratta, quindi, di fare, per partito preso, della famiglia tradizionale il nemico da cui scaturiscono tutti i mali dell’umano e della civiltà, manchevole e dis-abile alla felicità: i familiari in sé, singolarmente e nei loro nomi e cognomi sono colpevoli soltanto della loro incolpevolezza. La meta, allora, è quella di concepire un insieme familiare avente un’ossatura e una sfaccettatura orizzontale: perché orizzontale, e contraddittoria, è la natura umana. Un assetto del genere potenzialmente andrebbe a migliorare anche la qualità esistenziale dei genitori e delle genitrici del futuro: non dovendo più auto-cannibalizzare gran parte del proprio tempo in nome di un primato e una nozione di proprietà che mai come nell’oggi appare obsoleta, guadagnerebbero molto più tempo da poter dedicare a se stessə.

 

Negli ultimi secoli, antropologicamente, sono esistiti fenomeni di aggregazione che, in un modo o nell’altro, non rientravano nel concetto di famiglia monolitico-tradizionale. Tra i più recenti, ricordiamo le famiglie rurali alla vigilia dell’industrializzazione, e le famose “comuni” parigine figlie dei moti sessantottini. Sintetizzando bruscamente, possiamo dire che le prime furono senz’altro superate dal progresso, mentre le seconde si sciolsero come neve al sole (anche perché insite di estreme utopie e criticità). Eccetto pochi fenomeni più o meno intensi e/o sporadici, in generale, sembra mancare tutta una Storia e un simbolismo non tanto di una concezione di famiglia molteplice, quanto di qualcosa di preventivo: l’immaginario di un romanticismo plurale – il quale non va inteso con la poligamia. Riguarda qualcosa di più profondo perché, al netto di quanto si possa credere o affermare, apprezzare o disprezzare, i fiumi da cui scorrono i sentimenti non sono affatto solcati né sminuiti dalla volontà specifica, in un determinato caso, di non voler aggiungere a quell’amore che si sente nessun tipo di “aggettivo”: né sessuale, né matrimoniale. Ciononostante, non si ha il diritto di far germogliare da quel sentimento – che pure è autentico e sincero – una famiglia: perché? Perché non producendo il capitale dei capitali, quello umano, sarebbe impotente in quanto non produttiva e, perciò, non degna di esistere? Oppure, la ragione per cui non possiamo scegliere, né legislativamente né culturalmente, di fare di un affetto del genere, incontrato lungo il cammino della vita, la nostra famiglia, risiede forse nella stessa incapacità umana di considerarsi un’entità eternamente mutevole e profondamente contraddittoria? Se fosse così, l’inibitore che impedisce la trasformazione della famiglia risiederebbe anche nell’impossibilità, da parte del singolo e del collettivo, di concepire il proprio modo di amare (e cioè di stare al mondo) come contrassegnato sempre da un doppio e, perché no, opposto valore – che, però, in una nuova struttura di unione civile, finalmente proietterebbe l’individuo al di là o, meglio, al di qua dell’anacronistica e asfissiante dicotomia tra affetti familiari e affetti sentimentali?

 

 

Le innumerevoli possibilità e le infinite sfaccettature politiche e posturali, che queste domande aprono, sono la cifra dell’estrema complessità e delicatezza dell’argomento trattato, il quale non è riducibile univocamente a nessun tipo di dinamica, causa o sistema, nel quale gli umani scelgono di esistere. Ciononostante, procrastinare anche soltanto di porsi il problema, che in controluce si riflette nelle ormai stra-sentite denunce di crisi demografica degli ultimi decenni, o, peggio ancora, credere di affrontarlo esclusivamente con misure di tipo politico appare sterile, oltre che superficiale. In definitiva, l’analisi della famiglia come istituzione culturale, aziendale e sociale, rivela una complessità che sfugge a riduzionismi e semplificazioni. Mentre siamo immersi in un contesto dove la tradizione si scontra con le richieste della contemporaneità, e le esigenze politiche sembrano disorientare una opinione pubblica e una classe dirigente sempre più drogata di attualismo, sarebbe già un gran passo avanti iniziare a centrare il bersaglio: interrogandosi sulla funzione reale, e soprattutto significante della famiglia, di questa famiglia, oggi. Forse, la strada per incontrarsi e scontrarsi con il futuro si trova al di sopra della sterile sfida che vede i progressisti limitarsi a parlare d’apertura e i sovranisti a balbettare di conservazione? Forse, l’obiettivo non risiede nell’inclusione alle cose, ma nel superamento di esse? 

 

10 luglio 2024

 










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