María Zambrano elabora un pensiero che scorre fluidamente tra due dimensioni apparentemente antitetiche: filosofia e poesia. Secondo Zambrano, questi due stadi del pensiero non solo possono coesistere, ma sono complementari: è proprio in quel puro intreccio di sentimento e ragione che possiamo riuscire a comprendere la realtà, penetrando negli angoli più remoti di tutte le sue sfaccettature.
di Sara Ricci
Nelle prime pagine di Filosofia e poesia (Pendragon, 2010), la filosofa dell'esilio delinea quelle che sono le differenze basilari tra filosofo e poeta. Se da una parte l'entità del filosofo si frantuma in ciò che è permanente, identico, Idea, abbandonando la tangibilità del mondo, dall'altra il poeta ne è attratto: il mondo è il perfetto attracco materiale, l'attaccamento indispensabile che gli consente di interfacciarsi ai suoi ''fantasmi interiori''. Il problema della divisione tra queste due modalità d'essere è che entrambe vogliono per sé, in eterno, il luogo in cui l'anima si annida. Dove la poesia è ''incontro, dono, scoperta venuta dal cielo'', la filosofia si oppone come ossessiva ricerca con metodo.
Il dibattito sulla radice primaria del pensiero ha origini antiche: già Aristotele ne parlava in Metafisica, sostenendo – pur con qualche debolezza argomentativa – che questo fosse nato dalla meraviglia. Zambrano marca subito questa convinzione: se fosse nato solo dallo stupore, il pensiero non avrebbe né preso così facilmente le sembianze della filosofia sistematica, né al suo apice di valori si sarebbe posta l'astrazione. La meraviglia, lo stupore che ci spinge nell'esistenza della vita non permette un distacco così repentino dallo splendore che l'ha suscitato. Anche Platone, nel mito della caverna, presenta la questione dell'origine del pensiero. In questo caso, però, quello che fa nascere il pensiero è la violenza. È qui che interviene Zambrano: la filosofia, scrive, è un'estasi fallita a causa di uno strappo. Quale forza la lacera? Perché la violenza, la fretta, il desiderio furioso del distacco?
Ecco dunque cos'è la filosofia: un cammino affannoso, il lungo percorso di chi cerca di adattarsi a quello slabbro violento pur di afferrare qualcosa che non possiede e di cui ha un bisogno viscerale, tanto da lacerarsi di ciò che già possiede senza riconoscerne l'importanza. Non tutti però si rassegnano al cambiamento. Il cammino della violenza è stato evitato da coloro che si sono rifiutati di guardare avanti prima di comprendere e sentire il presente. Tenendosi forte all'immediato, alla meraviglia del momento, i poeti schivano la violenza della lacerazione e non si lanciano alla ricerca della ''verità faticosa'', rimanendo per sempre fedeli alla meraviglia estatica, a quello stadio che precede la frattura, la necessità di una ricerca. Zambrano scrive:
« Ciò che il filosofo perseguiva, il poeta l'aveva già dentro di sé, in un certo modo; in un certo modo, sì, e quanto diverso. »
La frattura è terreno fertile per la diramazione di due sentieri: quello del filosofo, in cui egli abbandona le cose del mondo spinto dalla violenza dell'amore per ciò che cerca, basando tutta la sua esistenza sul senso di rinuncia, e quello del poeta, che al contrario non cerca perché già possiede, ancorato alle cose del presente. La differenza essenziale, sottolinea Zambrano, è che per il poeta i confini si modificano in modo tale che finiscono per non esserci, innamorato com'è delle cose; travolto da un fuoco morboso dentro le corsie sfrenate del tempo, ne segue senza difficoltà mutamenti e molteplicità. Per il filosofo, invece, quegli stessi confini si andavano precisando e distinguendo in modo tale che già si formava un mondo con un suo ordine e una sua prospettiva, dove già esisteva il principio e il principiato; la forma e ciò che sotto di essa è. Con questi presupposti, la filosofia traccia un cammino più sicuro, infinitamente meno errante: con la filosofia vince la conoscenza perché giunge all'unità, a qualcosa di stabile e autentico, indipendente, dunque assoluto.
Eppure, lo status di errante e immorale non è l'unico che appartiene al poeta: anche la poesia vuole la sua unità, anch'essa ha una certa necessità di distacco. Infatti, in riferimento ai poeti, Maria Zambrano afferma:
« Ogni parola richiede un allontanamento dalla realtà cui si riferisce; ogni parola è anche una liberazione di colui che la dice. Chi parla, anche se parla delle apparenze, non ne rimane del tutto schiavo; chi parla, foss'anche della più variopinta molteplicità, ha già raggiunto una sorta di unità. Diversamente, imbevuto di puro stupore, soggiogato da ciò che muta e fluisce, non riuscerebbe a dir nulla [...]. »
Se da una parte il filosofo vuole l'uno perché vuole tutto, dall'altra il poeta rifiuta questa apertura, poiché teme di perdere le sfumature delle singole cose. La poesia pretende ogni cosa singolarmente e senza restrizioni, senza alcun tipo di rinuncia. Il poeta crede solo nella realtà poetica, quella che c'è e quella che non c'è. In nome di una giustizia caritativa, tutto secondo il poeta merita di essere. Il poeta, scrive Zambrano, non teme il nulla.
Al contrario del logos poetico, tangibile e disponibile a chiunque ne abbia bisogno, il logos filosofico non ha discesa, è tutt'altra cosa: assolutamente statico, è avvicinabile solo da chi riesce a raggiungerlo con le proprie risorse. Ma Zambrano si pone un quesito importante, che è un fondamentale spunto di riflessione: se questi sono i presupposti della filosofia, e se è vero che – come afferma Aristotele in Metafisica – tutti gli uomini hanno per natura desiderio di sapere, com'è possibile che l'accessibilità a quel sapere sia così limitata? Con la poesia, questa questione non esiste. L'unità poetica è flessibile, cambia e si dilata fino a scomparire. Nello spettro poetico la verità non è importante, ma non in senso scettico: i poeti bramano una verità includente e imprescindibile: in questo senso, l'unità che il poeta ricerca esisterà solo quando ogni cosa avrà raggiunto la sua pienezza.
Per molto tempo, a causa di queste differenze sostanziali, filosofia e poesia hanno proseguito indipendentemente l'una dall'altra lungo un tortuoso percorso di scissione. Anche se nel corso della storia la filosofia si è liberata della meraviglia iniziale, identificandosi come sola ragione, Zambrano afferma che c'è altro nell'uomo che non è ragione, né essere, né unità, né verità. Pur difficile da dimostrare, poiché «la poesia non conosce polemica», rimane viva una realtà concreta: spesso disorientata sotto il gelido dominio logistico della filosofia, la poesia non potrà mai essere contenuta, né limitata. Essa, anche se respinta, nasce «per essere il sale della terra». Come afferma Marìa Zambrano, è dentro la poesia che il pensiero si fa di carne ed ossa, si riempie di grazia e di verità.
12 luglio 2024
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