L'archetipo dell'eroe

 

La figura dell'eroe è stata oggetto di riflessione filosofica, di discussione etica e di analisi psicologica per secoli e continua ad essere rilevante nel mondo moderno, specialmente rilevante per chi percepisce la sua identità, il suo spirito, in asincrono e/o avversione a questo mondo così maldestramente moderno. 

Dal punto di vista dell'etica, si deve esaminare il “cosa” costituisca in sé un atto eroico e se ci siano principi universali che definiscono l'eroismo, si indaga sul significato personale e sociale dell'eroismo e sulle motivazioni che spingono le persone a compiere azioni straordinarie, permeate di bontà, gratuità e coraggio. Da un altro punto di vista è bene esaminare il ruolo dell'eroe nella narrazione di una Società e Comunità spiritualmente coesa, chiedendosi se l'eroismo sia compatibile con le strutture di potere attualmente esistenti o se sia un elemento di rottura nei confronti di ogni ordine costituito. Il presente articolo considera l’Archetipo dell’Eroe e le sue manifestazioni, implicazioni e potenze alla luce di una prospettiva junghiana ed esistenziale.

 

di Mario Magini

 

Carle van Loo, "Giasone e Medea"
Carle van Loo, "Giasone e Medea"

 

Il Significato evolutivo della figura dell’Eroe nella antichità ellenico romana

 

La figura dell'eroe nell'antichità rappresentava molto più di un semplice personaggio mitico. Era un simbolo che rifletteva le aspirazioni, i valori e le sfide fondamentali affrontate da quelle società e che ha continuato a esercitare un'influenza duratura nella cultura e nella psicologia umane, fungendo da fonte di ispirazione e guida per le generazioni successive.

 

Sia nella mitologia greca che in quella romana, la figura dell'eroe ricopre un ruolo centrale e affascinante. Entrambi i popoli celebravano gli eroi come figure straordinarie che incarnavano i valori più alti della società e servivano da modello di comportamento per le generazioni future. Tuttavia, pur condividendo alcuni tratti comuni, le concezioni di eroe tra Greci e Romani presentavano anche delle importanti differenze.

Nella mitologia greca, si poneva un forte accento sulla mortalità degli eroi, nonostante la loro origine divina o semidivina. La loro morte era spesso tragica e gloriosa, sottolineando la fragilità della vita umana e la sua ineluttabile fine. Questo aspetto conferiva alle loro storie un senso di drammaticità e una maggiore profondità umana.

 

I Romani, invece, tendevano a celebrare maggiormente il successo individuale e il trionfo della Repubblica. Gli eroi romani erano spesso condottieri militari e uomini politici che avevano portato la gloria e l'espansione all'Impero. La loro enfasi era più rivolta al pragmatismo e al raggiungimento di obiettivi concreti, piuttosto che all'esplorazione di tematiche filosofiche ed esistenziali come nella mitologia greca.

 

I canoni eroici

 

Un Eroe romano è colui che incarna dei principi assoluti che si declinano in atto, in scelte consapevoli ed assolute che collimano perfettamente con lo Stato e il popolo da cui proviene. L’Eroe greco è sempre una polarità di estremi viventi, è un essere umano costantemente sul ciglio del fallimento o della vittoria, è “un prescelto” o “una prescelta” che nessun’altro potrebbe accettare o tollerare. 

L’Eroe greco e le sue gesta non sono mai una favola bensì un racconto disperato, estremo, orrendo e bizzarro. Un termine, tra tutti, sovrasta: estremo. Medea che in un processo inarrestabile di vendetta uccide i suoi stessi figli; Edipo che agisce inconsapevole di un destino già scritto, ammazzando il padre che alla sua nascita voleva liberarsene; Teseo che da uomo diventa bestia sessuale e stupra le fanciulle che invece dovrebbe egli stesso salvare e tutelare, come vorrebbe la Morale e la Civiltà di un popolo evoluto.

L’Eroe romano è volto al servizio del bene, il Bene della sua Civiltà; l’Eroe greco non sempre, anzi quasi mai, è al servizio del Bene e come se non bastasse le circostanze nelle quali si trova hanno un concetto di Bene molto relativo ed episodico. 

L’Eroe romano rassicura, anche quando sbaglia è l’errore “più giusto possibile”; l’Eroe greco terrifica, infonde spaesamento, è sempre al di là del Bene e del Male compiendo o ciò che a lui pare Giusto o ciò che si sente autorizzato a fare. 

L’Eroe romano è sempre dentro le regole dell’umano ed il suo agire ribadisce e ridefinisce sempre una regola, di esempio a tutti; l’Eroe greco stravolge, erompe, infrange, agisce da empio o da criminale in ogni possibile codice dei mortali, sia esso quello della Polis, dello Stato o della Famiglia. L’Eroe greco è un maledetto che compie cose invidiabili. 

 

Essere Eroe ha, per noi moderni, per lo più una connotazione romantica, in senso tedesco, molto idealista anche, come se l’eroe fosse solamente colui o colei che perisce gloriosamente nella Morte, che si immola e interamente arde per una fiaccola di Verità o per una Causa con un ultimo grande Gesto Supremo. 

 

Le cose, in realtà, volgendo lo sguardo a quella antichità, stanno in modo molto differente e sono ben più drammatiche, complesse, folli e potenti di quanto noi moderni ci permettiamo di pensare. Essere Eroe, così come diviene dal mondo ellenico e romano, è essere qualcuno di eccezionale, portatore di un dono che è anche una maledizione, che chiunque altro darebbe indietro mentre lui o lei, l’Eroe, lo assume totalmente in sé e diviene la sua stessa storia, o maledizione, o chiamata. 

 

 

E oggi?

 

Nel mondo moderno occidentale il concetto di eroismo pare sia divenuto più una iperbole espressiva che una concreta scelta etica ed esistenziale rispetto alle evenienze spietate, tragiche, grottesche a cui assistiamo quotidianamente.

 

Poniamoci una domanda: nel mondo moderno è possibile parlare, in termini filosofici, etici ed analitici, della figura dell'eroe? C’è spazio per il rinnovamento del senso eroico del vivere o per azioni potenti, grandi, decisive, disinteressate che realizzino l’eroismo? Eroismo, oggi, più di ogni altra possibile cosa, è il sottrarsi all'influenza della massa – al non voler, con tutte le forze, rientrare in un tipo di essere umano contemplato dalla massa o nella massa –, ed è l’avere una propria definita personalità che, nel privato e nel pubblico, esprima le qualità migliori di un essere umano che già sottintende ad un gesto eroico. Poiché la massa è suadente, confortante, rassicurante, il suo numero e la variegata parata di storture e manchevolezze possono far breccia nella persona conferendole un velenoso senso di autocompiacimento ed autoindulgenza. 

La conquista di sentirsi, ed essersi comprovati, unici, distinti, definiti, capaci ed attivi nel Mondo è una vetta immensamente desiderabile il cui lavoro ad essa dedicato ripaga nel potere di sentirsi capaci di agire con efficacia in ciò che viene dal Mondo. 

 

In questo senso io sto enunciando non solo il tema, importantissimo, della Identità ma anche, implicitamente, quello della Distinzione (il rifuggire le opinioni comuni o volgari, banali, erronee) e dell’Autostima (l’apprezzamento realistico e positivo del proprio modo di stare al Mondo). Tutti e tre questi termini indicano e direzionano verso un modo di vivere secondo i propri valori e ideali, valori che debbono essere scoperti, sperimentati e fermamente scelti, rafforzando il senso di coesione interiore, di densità caratteriale, del Sé Profondo così come è inteso nella dottrina junghiana.

A questa capacità individuale di essere e sentirsi in unicità, chiarezza e forza interiore aggiungo il Senso del Dovere verso la propria comunità, che nasce dagli interiorizzati e dai valori vissuti e che proietta la persona umana dal suo privato nel Mondo. Questo Senso del Dovere si materializza in un individuo che fattualmente contribuisce ad un ordine sociale, a una concordia tra se stesso e le altre persone e naturalmente se ne coglie che tale condizione è la proiezione – dall’interno all’esterno – di un ordine prima maturato e costruito interiormente e poi agito con altri.

Ma questo ordine interiore sarebbe nullo senza Empatia, senza quella sensibilità interiore – avulsa da sentimentalismi o lamentoso fatalismo – che acuisce ed interroga il cuore e l’animo sulle sofferenze altrui, sulla non possibilità di scelta di altri, sull’essere in condizioni in cui la loro libertà di azione ed opinione è ridotta o del tutto negata. E un coraggio particolare occorre nell’empatia, perché, come l’uomo evoluto o il profondo pensatore a contatto con la vita ben sanno, coraggio non significa affatto assenza totale di paura, ma è invece la capacità di scegliere ed agire nonostante essa.

 

Come ulteriore ed ultimo punto io sento di apporre - in questo richiamo ad una versione attuale dell’eroismo – l’esperienza della Sofferenza, più precisamente l’esperienza personale di aver vissuto una grande, indimenticabile sofferenza, l’aver passato una tribolazione profonda, e l’aver toccato con tutta la propria persona questa esperienza tanto che l’animo di chi l’ha provata si è al contempo distrutto e ricostruito, degradato e purificato, morto e rinato ad una più alta, profonda, quasi spirituale, comprensione del soffrire nel vivere quotidiano. 

 

Non sia un mistero per nessuno il fatto che gli individui che hanno subito traumi significativi nella loro vita possono sviluppare una forte spinta a proteggere gli altri, ad accudirli nelle loro difficoltà, a prevenirli da difficoltà o stravolgimenti e ulteriori sofferenze. Questo comportamento è eroico certo, nonché profondamente permeato di pietas, e può essere visto come una naturale risposta compensatoria ai propri vissuti traumatici, ma è anche un modo (oserei dire forse è il solo modo) per dare senso alla propria ferita interiore, nonché a raggiungere un controllo delle proprie zone di vulnerabilità. 

 

Credo che questo ultimo punto sia il corollario e culmine di molti aspetti connessi all’eroismo in una chiave più attualizzata, intendo l’esperienza della Sofferenza e il suo superamento in un atto vitalistico individuale che diviene dono alla comunità, e tale dono ha una ulteriore declinazione che io definirei il dono dell’Autenticità ovvero la sofferenza disconnette tra il sé reale e il sé ideale. La cura della sofferenza – il rispetto e cura verso il dolore o le carenze – è un atto di Giustizia (virtù platonica) e di Evoluzione interiore in cui significato e scopo della sofferenza è la ricerca di significato e scopo nella vita o se vogliamo la ricerca e costruzione di un ordine (interiore ed esteriore) valevole per ciascuna variante di essere umano e utile per quelle comunità e società dove il massimo tende a sé il minimo, dove l’ultimo non resta inaccolto o inascoltato.  Superare la propria sofferenza e aiutare gli altri può fornire un senso di scopo e significato, riducendo il peso del proprio dolore o della propria inutilità nel Mondo.

La capacità di affrontare e superare la sofferenza può rafforzare la resilienza e la forza interiore, perché gli individui che hanno superato avversità significative possono sentirsi più capaci di affrontare situazioni pericolose e di fare scelte coraggiose, eterodosse, tempistiche, efficaci, motivati dal desiderio di proteggere o aiutare gli altri.

Se questo sentimento di Eroismo accadrà nell’intimo di chi legge allora è inevitabile che il corpo lo seguirà, la mente lo intenderà, lo spirito lo esalterà e che anche la ben più piccola azione sarà una scelta e gesto eroico.

 

 

5 luglio 2024

 










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