Vivere piacevolmente. La lezione di Aristippo di Cirene - Parte II

 

Prosegue qui la riscoperta del pensiero Aristippo di Cirene grazie alle avventure di Nikidion [Link alla parte I]: dopo la fase della sintomatologia, si tratta di affrontare le tappe della diagnosi e della terapia.

 

di Salvatore Grandone

 

William Turner, "Didone costruisce Cartagine" (1815)
William Turner, "Didone costruisce Cartagine" (1815)

 

Diagnosi

 

« Proprio la Cirenaica, regione allora greca e oggi libica, può servire a illustrare in maniera eccellente quell’idea secondo cui la geologia induce una certa geografia, e questa, a sua volta, chiama una certa storia. L’altopiano su cui culmina Cirene imbriglia i venti che provengono dal Mediterraneo, e le nuvole cariche finiscono per scoppiare sopra la città. Erodoto diceva che il cielo di questo paese era bucato…Le precipitazioni sono più copiose che altrove e trasformano la regione in una zona estremamente fertile. Da qui l’abbondanza della produzione di frumento. Inoltre, a Cirene si raccoglieva il silfio, una pianta ombrellifera, oggi scomparsa, famosa in tutta la Grecia antica come condimento e medicinale. Si vendeva a peso d’oro e contribuiva così tanto alla ricchezza della zona che le monete recavano la sua immagine stilizzata. Quindi soldi, ricchezze, commerci, lusso, circolazione, di uomini e di idee: ecco lo scenario storico ed economico […]. » (M. Onfray, L’invenzione del piacere)

 

Nikidion sbarca nell’opulenta Cirene. Grazie alla mediazione di Laide, Arete (Virtù), la figlia di Aristippo, è pronta in città ad accoglierla. Arete è coetanea di Nikidion, anche lei giovane, ma già saggia. Arete è stata introdotta alla filosofia dal padre ed è destinata ad essere la futura guida della “scuola” cirenaica. Finalmente, dopo un paio di ore di viaggio per raggiungere il podere dove vive il filosofo, Nikidion giunge accompagnata da Arete al cospetto di Aristippo.

 

Aristippo è un uomo divertente e socievole. Ha sempre la battuta pronta e non si sa mai quando scherzi o stia dando una lezione di vita. Ci vogliono alcuni giorni prima che Nikidion si abitui ai suoi modi di fare. Intanto Aristippo ascolta con attenzione le confidenze della giovane e dopo un po’ le dà la sua diagnosi.

 

Per Aristippo non c’è nulla di male nel fatto che Nikidion voglia vivere una vita piena, che voglia godere dei piaceri dell’esistenza. Anzi, con grande sorpresa di Nikidion – abituata ad ascoltare sull’argomento i discorsi di Platone e di Antistene –, Aristippo afferma che il «piacere è il fine» (Oxyrhynchus papyri, VII, 1012) della vita.

 

Il piacere è un movimento calmo e il dolore un movimento aspro:

 

« Il piacere non differisce dal piacere né v’è un piacere più dolce di un altro; tutti gli esseri animati aspirano al piacere, rifuggono dal dolore. » (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi)

 

In linea di principio i piaceri si equivalgono; non vi è un piacere più degno di un altro. Non c’è differenza di valore tra il piacere suscitato da un bel panorama o da un buon profumo o dal cibo raffinato. Nella predisposizione di Nikidion alla ricerca del piacere Aristippo non vede quindi una malattia da estirpare. Semmai, è vero il contrario: il desiderio di provare piacere è la pianta medicinale e il condimento dell’anima da coltivare. Per far crescere il “silfio” della psiche occorre però individuare ed eliminare le erbacce che ne impediscono la fioritura.

 

Il problema principale di Nikidion è la sua incapacità a separare il piacere dall’oggetto del piacere. Aristippo offre diversi esempi. In prima battuta si sofferma sulla ricchezza:

 

 « La ricchezza produce il piacere, ma non è per se stessa desiderabile. » (Ivi)

 

Per rendere l’idea racconta un aneddoto:

 

« Durante un viaggio per mare, […] si accorse […] di una nave di pirati. Preso il suo danaro, si mise a contarlo; poi, come senza farlo apposta, lo gettò in mare. […] » (Ivi).

 

L’insegnamento è “meglio perdere il denaro di propria mano anziché se stessi a causa del denaro”.

Allo stesso modo bisogna ragionare per le altre cose. Non è sbagliato provare piacere nel bere un buon bicchiere di vino. Ma non bisogna diventare schiavi del vino. Godere della compagnia di un’etera non è immorale; tuttavia non bisogna esserne dipendenti.

 

« Entrando una volta in casa di un’etera, poiché uno dei giovanetti che era con lui si faceva rosso in volto, “non l’entrare, disse Aristippo, è vergognoso, ma il non essere capace di uscire”. » (Ivi)

 

Separare il piacere dagli oggetti rende liberi e autarchici. Non si prova più invidia nei confronti di ciò che hanno gli altri, perché il saggio trae piacere dalle situazioni che si presentano. In questa prospettiva non ha neanche più senso provare rimorsi o rimpianti. Entrambi sono tipici delle persone che sottostanno alle convenzioni sociali, che si sforzano di dare un valore permanente alle cose. Per Aristippo l’unico metro è il piacere ed è in base a questo che bisogna valutare le azioni. 

 

D’altro canto la ricerca del piacere non deve essere un’ossessione. L’obiettivo è quello di raggiungere un raffinato essere-in-situazione che consenta in ogni momento di cogliere le opportunità piacevoli offerte dalla vita.

 

« [Aristippo] era in grado di adattarsi al tempo e al luogo. Godeva di quanto era alla sua portata e perseguiva il piacere, ma non si affaticava minimamente a cercare il godimento di quanto era fuori delle sue possibilità. » (Suda)

 

Il modo in cui Aristippo legge le situazioni è molto vicino a quello che il filosofo François Jullien riscontra nelle filosofie orientali:

 

« la situazione non sarà più allora quel dato restio e resistente a cui devo imporre il piano che ho elaborato in precedenza, ma sarà una miniera di cui esplorerò le vene, un campo di risorse di cui seguirò i solchi, come si segue una rete di diverse opportunità sulle quali “surfare”. “Surfare” o, detto altrimenti, sfruttare i fattori “portanti”: un giorno bisognerà prestare attenzione a questa immagine rivendicata dall’esperienza, experientia reclamante, un’immagine che non esprime più l’attivo e l’eroico, ma il flessibile e il fluido, e bisognerà farla entrare nel campo della nostra riflessione. » (François Jullien, Essere o vivere)

 

Il saggio cirenaico è in ascolto di se stesso e del reale. Non si pone di fronte al mondo alla maniera degli stoici come un promontorio che resta impassibile alle tempeste della vita, né come una cittadella inespugnabile in cui nessuna passione può penetrare.

 

Aristippo invita a guardare in faccia il piacere, ad essere degli edonisti attivi: non è il piacere a doverci guidare, siamo noi a dover guidare il piacere. 

 

« Vince il piacere non colui che se ne astiene, ma colui che ne gode senza farsi trascinare, come gode della nave e del cavallo, non colui che non ne fa uso, ma colui che li guida dove vuole. » (Stobeo, Florilegio, III, 17, 17)

 

La diagnosi insomma è chiara: l’infelicità dipende da un modo errato di relazionarsi al piacere. Siamo infelici quando subordiniamo il piacere alle cose, quando siamo guidati dal piacere invece di guidarlo. Siamo felici quando invertiamo il rapporto, quando riusciamo a cogliere le virtualità piacevoli presenti nelle situazioni.

 

Questa è in sintesi la “conversione dello sguardo” che Aristippo prospetta a Nikidion. Il cammino indicato risponde meglio alla sensibilità della giovane. Resta che non è semplice da percorrere.

 

Quale sarà allora la terapia da seguire? 

 

M. Corneille, "Aspasia circondata dai filosofi greci" (1670)
M. Corneille, "Aspasia circondata dai filosofi greci" (1670)

 

Terapia

 

Per vivere piacevolmente occorre esercitarsi. Solo con una costante ascesi – nel suo significato etimologico originario “ascesi” è sinonimo di “esercizio” – si può raggiungere o almeno avvicinarsi a questo telos. Aristippo presenta diverse tipologie di “esercizi spirituali”. Tra le più importanti ne vanno menzionate tre.

 

1) Il primo esercizio consiste nel concentrarsi sul presente. Secondo Aristippo, «solo il presente è nostro e non ciò che è già compiuto né ciò che ancora si attende: il primo infatti è già finito e il secondo è incerto se pure vi sarà» (Eliano, Varia historia, XIV 6). Per cogliere in pieno le virtualità edoniche delle situazioni in cui ci si imbatte, è necessario allontanare dalla coscienza il passato e il futuro, soprattutto quando questi sono fonte di turbamento. I rimorsi e i rimpianti così come la paura della morte o semplicemente del domani sono tipici delle persone che si proiettano fuori dal presente. Il passato e il futuro non ci appartengono: il primo perché ormai compiuto, il secondo a causa della sua incertezza. Mentre Epicuro riterrà che anche il ricordo e l’attesa possono produrre piacere, Aristippo salda il piacere al presente. Questa scelta è determinata anche dal fatto che per Aristippo il vero piacere è quello corporeo. In base alle fonti dossografiche disponibili sembrerebbe che nel filosofo di Cirene non vi sia spazio per i piaceri di ordine spirituale. D’altra parte, da queste considerazioni non si deve trarre la conclusione che Aristippo inviti alla dissolutezza.

 

2) Un secondo importante esercizio è infatti il calcolo dei piaceri. Nell’aneddoto già riportato di Aristippo e i pirati e in molti altri è ben visibile come il filosofo ponderi con grande accuratezza le conseguenze delle azioni. Ad esempio, insegna a pagamento per garantirsi un agiato tenore di vita; frequenta il tiranno di Siracusa consapevole di come la sua franchezza (parresia) possa costargli cara. Aristippo non si chiude in un presente intemporale. Il suo edonismo attivo si nutre di una saggezza pratica, che sa fare tesoro del passato ed è capace di proiettarsi nel futuro immediato. È chiaro allora che tra il primo e il secondo esercizio non vi è affatto contraddizione. Il primo ha bisogno del secondo, perché l’esperienza del passato e il calcolo delle conseguenze delle azioni permette di vivere il piacere presente evitando gli eccessi e le inutili privazioni. Il secondo ha bisogno del primo, perché passato e futuro devono convergere verso il presente, che è l’unica dimensione temporale in cui può darsi il piacere. Aristippo, come tanti filosofi del suo tempo, invita dunque a praticare la virtù della temperanza. Lungi dall’opporsi alla riflessione razionale, il suo edonismo mette in stretta relazione sensibilità e ragione. Quello di Aristippo è un edonismo che promuove l’integrazione, il potenziamento e la coordinazione delle facoltà umane.

 

3) Dalle testimonianze si evince che Aristippo dia un grande valore alla pratica dell’esercizio fisico per il raggiungimento della virtù. Tra corpo e mente non vi è del resto separazione.

Secondo Aristippo:

 

« come i nostri corpi crescono se nutriti e si irrobustiscono se esercitati nella ginnastica, così anche l'anima si accresce se curata e diventa migliore se fortificata. » (Gnomologium vaticanum, 743 n. 42)

 

Inoltre,

 

«l’allenamento del corpo contribuisce all’acquisto della virtù.» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi)

 

Le fonti non consentono di individuare quale tipologia di esercizi fisici favorisca l’acquisto della virtù. Tuttavia è possibile formulare un’ipotesi ragionando per contrapposizione agli esercizi fisici consigliati da Diogene di Sinope, detto il cinico. Secondo i dossografi, per affrontare meglio i dolori della vita, Diogene temprava il suo corpo abbracciando statue innevate e rotolandosi sulla sabbia rovente. Questi esercizi fisici sono coerenti con l’impianto della filosofia cinica che pone al centro l’importanza di restare impassibili di fronte al dolore e alla privazione.

 

È evidente che gli esercizi fisici consigliati da Aristippo non possono andare nella stessa direzione. Piuttosto è plausibile che essi vadano nel senso di un affinamento della capacità del corpo ad essere ricettivo al piacere. È probabile quindi che Aristippo non consigli nulla di estremo, ma attività come la danza, la musica e la ginnastica – già al centro dell’educazione nel mondo greco – che rendono il corpo più sensibile alle esperienze piacevoli.

 

Conclusione

 

Nikidion ha trovato in Aristippo una filosofia che asseconda le sue disposizioni interiori. “Vivere piacevolmente” non è però semplice. Nikidion dovrà imparare a non legare l’esperienza del piacere a specifici oggetti; dovrà apprendere a controllare e a guidare il piacere. Attraverso la pratica degli esercizi spirituali dovrà un po’ alla volta ampliare la sua percezione del presente. L’essere-in-situazione è un risultato che si raggiunge con una lunga ascesi. Bisogna lavorare sulla sensibilità, sul corpo e sulla ragione: l’educazione alla misura va infatti di pari passo con l’incremento della ricettività al piacere.

 

Nel suo cammino verso la felicità Nikidion non è sola. Possiamo immaginarla in un futuro non lontano a guidare con Arete la scuola cirenaica. 

 

23 luglio 2024

 








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