Poche esperienze estreme lasciano un retrogusto tanto schifoso quanto la lettura delle critiche al comunismo che eccitano tanto i seguaci di Liberi Oltre. Ogni tanto, però, occorre turarsi il naso e smontare pezzo per pezzo quella catasta maleodorante di svarioni che inonda certi spazi del web autoproclamatisi "baluardo di competenze". Ricordandosi sempre che la situazione è grave, ma non è seria... e come tale va presa.
Qualche giorno fa, sul sito di “Liberi Oltre” è apparso un articolo dal nome accattivante: “Critica alla teoria del comunismo. Un argomento troppo spesso ignorato” di Giulio Anichini.
Dopo la lettura, ecco il dilemma: lasciar perdere e dimenticare lo scempio come con Iron Man 3, o azzardare una critica della critica teorica al comunismo, facendosi del male fisico?
L'amore della divulgazione, unito a un certo masochismo, mi spingono a seguire proprio il motto di “Liberi Oltre”: usare la scienza e la logica per smontare le bufale del web (altrui).
Ecco quindi un'incursione teoricamente teorica, con qualche considerazione irriverente, per smontare in allegria alcune delle più grandi balle sul comunismo che infestano certe reti "liberali" nostrane (pensate a come stiamo messi).
L’autore, che ci tiene all’obiettività, parte con un paio di premesse: innanzitutto dice di aver avuto simpatie comuniste nella prima adolescenza e socialiste da giovane adulto. E chissenefrega, verrebbe da dire.
Invece no, perché c’è un messaggio sottile in questa prima premessa, alquanto diffuso tra i libberali nostrani: siamo stati tutti comunisti nell’ingenua adolescenza (quale adolescente non si è mai sentito comunista?), tutti incatenati nella grotta di Platone, per poi spezzare eroicamente le catene della propaganda e avvertire sul viso il tepore del radioso sole liberale.
La tensione dialettica è palpabile. Per fortuna che l'autore stempera tutto con buffi aneddoti di colore, tipo la risposta alla critica dello studente sui milioni di «morti di Mao e Stalin» data dal solito professore «militante COBAS» ideologizzato (fosse stato dell’UGL, per dire, non si sarebbe mai permesso!).
La seconda premessa rinverdisce un leit-motiv ormai imprescindibile: Barbero è un ottimo medievista, ma sulla storia contemporanea è una pippa perché ha dichiarato di essere comunista. Molto meglio affidarsi ad argomentazioni solide, prive di insidiosi «bias ideologici» frutto di «un contesto tipicamente italiano» (pensavo irlandese, e invece…). Quali? Ma quelle di Anichini, ovviamente, che subito ci conquista con un rampante incipit:
« I nazifascisti hanno teorizzato ed applicato la superiorità di una razza su un'altra, finendo a considerare le razze inferiori come non umane, architettando un cinico e sistematico sterminio di massa. Il comunismo ha al contrario teorizzato la fratellanza fra i popoli, la solidarietà, l'uguaglianza, la democrazia. Come si può essere contrari a tutto ciò? »
Infatti: come si può essere contrari? Solo un idiota o un criminale potrebbe esserlo, e invece l’autore inchioda ogni facile conclusione, perché «il comunismo è in realtà strutturalmente sbagliato per una serie di peccati capitali che sembrano solo all'apparenza superficiali e meno eclatanti di quelli nazifascisti, ma che sono altrettanto letali».
Capito? Teorizzare la fratellanza tra i popoli, la solidarietà, l’uguaglianza e la democrazia è altrettanto letale che sostenere e applicare la soppressione di razze inferiori. D’altronde, siamo nella nuvola liberale, quella equidistante dagli “opposti estremismi”, ma soprattutto distante da uno dei due…
E come dargli torto, visto che il comunismo, a differenza del nazifascismo, non presenta «un'idea precisa, un qualcosa di identificabile che spinga tutti a dire ‘questa roba è terrificante mondezza ideologica’».
Tu pensa che stronzi questi comunisti: potrebbero avere un’ideologia definita e univoca che li identifichi al pari dei nazisti e invece fanno impazzire tutti, compreso il povero Anichini. Non solo il comunismo è colpevole di milioni di morti, ma pure di diversificazione teorica. Maledetti!
L’autore incalza, prepara dialetticamente la sua Operazione Piccolo Saturno e sgombra il campo da ogni equivoco: il problema del comunismo non è solo legato ai singoli governi che lo hanno applicato, visto che «il comunismo è stato tentato in più di cento paesi a latitudini diversissime ed ha sistematicamente prodotto gli stessi risultati».
Più o meno lo stesso discorso che si può fare sul capitalismo e la sua ideologia: i milioni di morti, schiavi e umiliazioni verso le colonie vecchie e nuove dall’imperialismo a oggi non sono questione di cattiva leadership, tanto più che il capitalismo è stato tentato con successo in decine di paesi – quelli che contano, per giunta! E allora, come ricorda il buon Anichini:
« Qualsiasi scienziato sociale, e non, sa che un esperimento fallimentare su questa scala non andrebbe nemmeno preso più in considerazione, figuriamoci ripetuto. »
Pienamente d’accordo: è tempo di gettare a mare il capitalismo e non prenderlo più in considerazione… eppure l'autore non sembra essere così d’accordo con se stesso.
D’altronde, leggendo il prosieguo dell’articolo, la confusione è palese:
« Tralasciando tutta una serie di tecnicismi ampiamente debunkati da economisti di ogni fatta nonché il dettaglio non trascurabile che Marx stesso riconosceva valore al capitalismo più di quanto i suoi adoratori oggi facciano, diverse condizioni sociali e umane, di cui oggi abbiamo larghissima evidenza sperimentale e osservazionale, sono clamorosamente ignorate o addirittura additate come invenzioni dal comunismo sia teorico che storico. »
L’eccitazione all’idea di debunkare le teorie di Marx gioca brutti scherzi, portando a frasi sconnesse e oscure. Non è chiaro quali siano le «condizioni sociali umane» ignorate o negate dal comunismo, così come non è chiara la differenza tra il comunismo “teorico” e “storico”.
L’articolo, pardon, la critica teorica (!) si era aperta con la sovrapposizione tra i due aspetti: il comunismo è brutto e cattivo fin dalla teoria, e per questo qualunque applicazione storica non potrà che portare a disastri, genocidi e gulag. Ora, invece, si apre uno spiraglio: ma quale sia questa differenza tra “teoria” e “storia” rimane nella notte di vacche nere che ingloba tutta l’introduzione dell’articolo.
Per fortuna, Anichini schiva abilmente queste obiezioni, portandoci alla ciccia dell'articolo: i tre problemi teorici che dimostrerebbero la malvagità intrinseca del comunismo.
Allacciamo le cinture del nostro katyusha e partiamo a bomba con il primo problema, ovvero «Il fallimento del comunismo nell'arginare le derive dittatoriali che serpeggiano in alcuni membri della popolazione.» Visto che le neuroscienze ci informano che una parte della popolazione (dall’1 al 5%) è costituita da psicopatici carismatici potenzialmente pericolosi, l'autore si chiede: come può il comunismo arginare questi personaggi e tenerli fuori dalle stanze dei bottoni e dai centri di potere politico?
I più acuti tra i lettori avranno già capito che si tratta di un problema serio trattato come una supercazzola: secondo l’autore la democrazia (in generale, ovviamente!) dispone di «un discreto numero di anticorpi» a livello politico «o perché la persona psicopatica non viene proprio eletta, o perché più spesso non riceve abbastanza carta bianca per distruggere la democrazia stessa».
Lapalissiano: la storia, in effetti, è piena di contesti democratici del tutto immuni agli assalti dell’autoritarismo. I fascismi europei, per dire, sono arrivati dal nulla, e le recenti elezioni argentine mostrano in modo chiaro come il sole quanto certi psicopatici vengano tenuti lontani dal potere democratico… Il comunismo, invece, è immunodepresso: consegna agli psicopatici le chiavi dei paesi «senza alcun tipo di vincolo». Anichini parte all'attacco:
« la verità pratica è che qualcuno con le caratteristiche di cui sopra raduna una cerchia stretta di fedelissimi (illusi idealisti o veri pescecani, gente che o era come Trotsky o era come Beria, per capirci a spanne), si presenta come l'eletto che ha capito “il verbo”, ossia il vero e unico modo di realizzare la pace sociale, organizza (grazie ai fedelissimi) una struttura partitocratica totalitaria di controllo e si installa in una posizione di potere assoluto e discrezionale in nome del popolo. I fatti storici hanno ampiamente convalidato questo punto: i feudatari erano letteralmente più clementi. »
Insomma, che studiamo a fare la storia, quando è tutto così evidente?
L’affermazione del comunismo ai quattro angoli del globo non è derivata da secoli di ingiustizie sociali imperialiste (come in Cina) o proto-feudali (come in Russia, anche perché i padroni feudali erano così clementi…), né da un percorso complesso di consapevolezza politica delle masse contadine e operaie.
Nossignore. Basta uno psicopatico qualsiasi, che mette insieme cani e porci grazie al suo carisma e il gioco è fatto!
Ci sarebbe molto potenziale per un discorso interessante, come la distinzione tra i diversi approcci teorici al socialismo e al comunismo. Ma l’autore, ingabbiato nella sua stessa premessa retorica (comunismo = nazismo), butta a mare l'analisi storica: Trotsky, a spanne, viene liquidato come “illuso idealista”. E tanti cari saluti, immaginiamo, anche a tutti i comunisti “eretici” e anti-sovietici, da Guevara a Korsch, da Bloch a Berlinguer.
Semplificare tutto all’osso è rassicurante, come le frasi da Baci Perugina usate per puntellare le proprie tesi:
« gli uomini non sono tutti buoni e spontaneamente propensi alla cooperazione, alcuni lo sono di più, altri lo sono di meno, altri ancora non lo sono affatto. »
Chi l’avrebbe detto, no? Per fortuna che lo spettro comunista non ha posseduto l’Occidente con le sue pericolosissime teorie, visto che «molti dei posseduti ideologici che agitano la bandiera rossa non sono probabilmente consapevoli di fino a che punto rischierebbero loro stessi di diventare carnefici quando posti dietro alla console dei comandi di una nazione».
Signora mia, Dio ce ne scampi!
È rincuorante sapere che alla console dei comandi delle nostre nazioni democratiche superiori siedano dei veri moderati, mentalmente stabilissimi e attentissimi al prossimo, devoti alla cooperazione tra paesi. Altrimenti, sarebbe una vera tragedia: un mondo segnato da volontà di dominio, guerre, genocidi, bombe al fosforo bianco e chissà quanti altri orrori.
Ma l’autore queste inezie non le tratta, e incede come un carro armato sovietico verso il secondo, enorme problema teorico del comunismo.
« Tutto sommato siamo tutti uguali? No, siamo tutti diversi e non possiamo forzarci ad essere tutti uguali (…) la vulgata (a sinistra) è “se diamo a tutti pari opportunità, tutti ce la fanno". Purtroppo, in termini di risultati questa condizione è sicuramente irrealizzabile, ma lo è anche in termini di premesse: non solo non saremo mai tutti ricchi e benestanti alla stessa maniera, ma è anche assai discutibile che riusciremo mai tutti ad avere le stesse occasioni e le stesse condizioni di partenza per avere successo nella vita. »
Intanto la frase “se diamo a tutti pari opportunità, tutti ce la fanno” è una banalizzazione: dare a tutti pari opportunità non significa che tutti sono uguali (nel senso che tutti sono fatti con lo stampino), e nessun teorico comunista né tantomeno Marx ha mai sostenuto un'idiozia simile. Cosa ben diversa è dire che tutti hanno uguale diritto all’autorealizzazione e alla felicità.
In secondo luogo “tutti ce la fanno” non significa per forza, come presuppone l’autore, che “tutti siano ricchi”; anche qui, più che teorico, il problema è di semantica: se sono tutti ricchi, nessuno può dirsi ricco, e viceversa. È ovvio che non potrà mai esistere un mondo in cui tutti sono ugualmente ricchi in senso economico. E infatti non è questo il discorso che i teorici del comunismo portano avanti, con le dovute distinzioni che l’autore finge di non vedere.
L’idea è semmai un pelo più profonda, e cioè creare un sistema sociale e politico in cui ciascuno riesca ad auto-realizzarsi ed essere felice spezzando le costrizioni economico-politiche (le classi) attraverso un’equa redistribuzione del tempo libero. Che questo richieda un alto livello di cooperazione e armonizzazione sociale è pacifico; meno ovvio è perché dovremmo porre un’asticella tanto alta per valutare un progetto politico: quale sistema sarebbe mai in grado di valutare «tutte le esigenze nel tempo e nello spazio»? Nessuno, ovviamente.
Ovviamente (lo so, siamo a un livello di elaborazione di terza media) i sistemi perfetti non esistono, e nonostante sia lusinghiero assimilare il comunismo a un sistema perfetto, non credo che le cose potranno mai essere tali.
D’altro canto, s'incupisce l'autore, nemmeno il sistema politico-sociale capitalista fondato sul mercato, in cui le differenze tra individui si sviluppano «spontaneamente», può garantire tale armonia.
« Rimane (...) il dato crudo che diverse disparità sembrano persistere o in alcuni casi addirittura aumentare anche nelle società più avanzate e tendenzialmente egalitarie del pianeta. »
Incredibile!
I sistemi capitalisti generano disparità globali sempre più grandi tra individui e classi sociali, tra Nord e Sud del mondo, tra generazioni, e c’è ancora gente che si dichiara comunista. Sarà il potere degli psicopatici e del «discorso messianico» basato su «sensi di colpa» tipico dei bolscevichi, senza ombra di dubbio.
Ma attenzione, perché l’articolo prende definitivamente il volo con il terzo argomento, l’unico a mettere davvero alla prova chi voglia criticarlo. E il motivo non sta nella finezza argomentativa o nella solidità delle premesse, quanto nella totale incomprensibilità di quanto scritto.
Si parte dall’accusa al comunismo di decidere arbitrariamente chi fa parte di una classe sociale o di un’altra (con tanti cari saluti a un secolo e mezzo di studi sociologici, alla faccia della competenza!), proseguendo con il solito panegirico sull’enorme crescita economica causata dal capitalismo (che non era oggetto dell’articolo) e terminando il tutto con una chiusa fenomenale.
« È ora di cominciare a dircelo meglio di come abbiamo fatto finora e di pretendere da gente come Barbero un minimo di approfondimento in più. »
La quadratura del cerchio, il colpo di grazia a qualsiasi teoria comunista con un’ultima punzecchiatura dell’odiata "gente-tipo-Barbero".
Di fronte a tanta potenza di fuoco, è il caso di dirlo, rimaniamo senza parole.
Non possiamo che congedarci e fare nostro l’invito del buon Anichini: cari anticomunisti, se volete imbastire una critica teorica al comunismo, dovreste farlo meglio di come avete fatto finora, pretendendo un minimo di approfondimento in più.
29 maggio 2024
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