Nelle dinamiche contemporanee prive di punti di riferimento e certezze, la riflessione di Camus ci aiuta a mantenere indomito quello spirito di rivolta comune a tutta la natura umana. Partendo da questo senso di condivisione, quali sono i mezzi e le idee adatti a rifondare la nostra società?
Nel suo libro L'uomo in rivolta, Camus tenta di spiegare il concetto di "rivolta" in tutte le sue declinazioni, da quella letteraria a quella storica, da quella metafisica a quella artistica. L'individuo che intraprende la rivolta è, per Camus, «un uomo che dice no», ma che al contempo afferma «l'esistenza di una frontiera», in virtù di un comune sentire da parte di tutta la classe degli oppressi. Questa acquisizione di consapevolezza permette all'individuo di passare da una sfera meramente privata a una comunitaria, alla quale partecipano uomini coscienti della propria ingiusta condizione. A questo proposito, Camus scrive: «Mi rivolto, dunque siamo».
Interessante osservare come Camus conduca un ruolo "diplomatico" tra diversi filosofi, mettendo in comunicazione il loro pensiero e confrontando il loro messaggio alla luce di una tematica costante: la costruzione di una società. Nel capitolo dell'analisi della dottrina marxista e delle sue conseguenze lungo il '900, lo scrittore francese difende il messaggio etico del pensiero di Marx: «[Marx] ha denunciato, con profondità senza pari, una classe (la borghesia) il cui delitto non sta tanto nell'aver avuto il potere, quanto nell'averne usato ai fini di una società mediocre e senza una vera nobiltà.» Nonostante le profezie marxiste si siano rivelate errate, il filosofo del materialismo storico ha avuto il merito, forse unico nella storia, di rivalutare l'uomo e i suoi bisogni , attaccando la degradazione in cui versava l'operaio comune, privo di "vera ricchezza", che consiste non nel denaro ma negli svaghi e nella creazione. In questo senso, l'idea dietro alla rivoluzione del proletariato consiste, oltre a garantire a tutti equi mezzi di sussistenza, nel difendere l'uomo e non l'operaio, consegnandogli quella libertà e ampiezza di respiro che il capitalismo gli aveva tolto. La fine della storia, per Marx, coincide con una società utopistica nella quale non vi sono né padroni né schiavi, ma solo l'uomo e il suo regnare comunemente.
Riprendendo la frase di Camus, vorrei evidenziare il concetto di una «società mediocre e senza una vera nobiltà.» Il termine "nobiltà" qui è da intendersi in maniera duplice: nobiltà intesa come dignità sociale e umana, sostenuta da Marx, oppure nobiltà intesa come classe dirigente, che fa direttamente riferimento al pensiero di Nietzsche. In molte sue opere, il filosofo dell'eterno ritorno elogia lo "spirito aristocratico", inteso come un modo superiore di sentire, di apprezzare e di vivere; a ciò contrappone il gusto della massa, che è destinato giocoforza alla mediocrità. La società, per Nietzsche, ha bisogno del pathos della distanza, cioè necessita di un ordine gerarchico, di una «difformità di valore tra gli uomini». Ogni civiltà superiore, sostiene il filosofo, è stata sempre guidata da una casta aristocratica, che ha aggredito quella barbara ma al contempo l'ha guidata verso un destino più alto. La nobiltà deve proporsi da guida e perseguire i suoi obiettivi, nonostante i costi umani. Si fa qui riferimento alla dialettica padrone-schiavo, teorizzata da Hegel e ripresa da Nietzsche e Marx.
Allora, dopo aver compreso l'idea di una società perfetta per Marx e per Nietzsche, all'orizzonte possiamo notare che queste due linee, apparentemente parallele e inconciliabili, si congiungono. Seppur le premesse e le modalità dei due filosofi tedeschi siano sensibilmente differenti, se non opposte, il loro sogno è comune: una società non mediocre e costruita sulla vera nobiltà, da intendersi ora come pieno raggiungimento del senso di umanità, ora come suprema guida dell'individuo. Inoltre, mi sento anche di affermare che la critica al sistema produttivo capitalistico è condivisa da entrambi, sebbene possa sembrare una prerogativa di Marx. Infatti Nietszche, nel paragrafo 206 del libro Aurora, usa il termine "alienazione": denuncia una vera e propria "schiavitù di fabbrica", che non può essere risolta da nessun aumento salariale, poichè l'uomo-operaio paga, in primis, con la distruzione del suo intimo valore e del suo respirare liberamente.
In conclusione, questi due grandi filosofi ci aiutano ancora oggi a leggere, seppur con modalità differenti, le contraddizioni del nostro sistema economico-sociale. Il grande merito di Camus è stato quello di trovare dei punti di contatto tra queste due scuole di pensiero, notando in esse lo stesso senso di rivolta insito nella natura umana. Non mi resta che concludere questo articolo con l'augurio di poter trovare in noi, ogni giorno, quello spirito di rivolta che è alla base della difesa delle nostre determinazioni umane e che agisce da deterrente contro le ingiustizie e la disinformazione, i due grandi mali del nostro secolo.
27 marzo 2024