Castigo senza delitto

 

La “presunzione di innocenza”, altresì chiamata “innocenza fino a prova contraria”, è il faro che irradia il funzionamento giuridico delle società democratiche e che disgiunge il momento dell’accusa dal momento della colpevolezza. Tuttavia, brusche incursioni di nuovi media all’interno della nostra civiltà e la complicità di media più vecchi, esasperati da esigenze di giustizialismo sommario, pongono la presunzione d’innocenza sotto un numero crescente di fuochi (segnando non poco le vite concrete degli individui) e ottenebrano la separazione dei due suddetti momenti rendendola marginale. È possibile arginare questa tendenza? Roger Scruton prova, con preoccupazione e ironia, a illuminare la ripida via dell’educazione e dell’esempio affinché emerga un humus culturale che contrasti le nostre disposizioni più impulsive e degradanti, così suadentemente intercettate e incentivate dall’odierno pot-pourri mediatico.

 

di Sir Roger Scruton

Traduzione a cura di Enrico Di Coste

 

Roger Scruton
Roger Scruton

 

Immagina di svegliarti un giorno qualunque e scoprire di essere preda dei titoli delle news. Uno dei principali giornali del paese ha diffuso sulla prima pagina la seguente storia: sei stato visto all'entrata di un bordello di Londra in compagnia di una gang di criminali. Non c’è alcuna prova che tu abbia commesso un crimine, e l’unico appiglio della notizia è che è stata riferita alla stampa da un ufficiale di polizia, incaricato di investigare sulla gang in compagnia della quale sei stato presumibilmente scoperto. Costui, sospetti, cova rancore nei tuoi confronti: forse non gli aggrada la tua linea politica, o forse è invidioso della visibilità che hai ricevuto in quanto membro neoeletto del Consiglio comunale. Qualunque fosse la causa della controversia, la tua esistenza è stata irreversibilmente danneggiata. Non c’è capo d’imputazione, né possibilità di difenderti, né alcunché da confutare eccetto perfido gossip.

 

In Gran Bretagna siamo stati cresciuti presupponendo che simili vicende non succedano qui, che la stampa segua requisiti di verità e decenza le quali richiedono che le accuse siano formulate chiaramente e responsabilmente e che il gossip non rivesta alcuna autorità pubblica. Assumiamo anche che la discussione pubblica circa indagini su crimini spetti alle coorti e non alla polizia, e che tutte le accuse debbano essere controllate dalla regola che l’imputato è innocente fino a prova contraria.

 

Tuttavia il caso che ho delineato ricalca quello di Damian Green, che è sull’orlo del baratro in seguito al gossip sbandierato su The Times in prima pagina. Non ho idea se esso sia vero o falso e, nel caso in cui fosse vero, se sia la prova di un reato. Non è questo il punto. Tutti noi potremmo trovarci in un batter d’occhio nella posizione di Mr. Green, ed è solo il rispetto del retaggio culturale di lunga data favorevole alla giustizia procedurale che inibisce l’accadere della medesima sventura a me o te.

 

Queste vessazioni nei confronti di un individuo britannico, squadernate dinanzi al mondo da una testata così rilevante, non sorprendono più, dato che le nostre vecchie abitudini che presupponevano rispetto sono state sradicate. La causa di questo sradicamento non è la malizia fortuita di un poliziotto briccone. È invece una delle innumerevoli conseguenze della cultura promossa dai social media. Facebook e Twitter hanno invaso e privatizzato la sfera pubblica, esponendo incessantemente i nostri segreti e spogliando tutte le figure pubbliche della foglia di fico senza la quale non possono adempiere ai propri doveri.

 

Ahimè, questo cambiamento è stato accolto più con entusiasmo che con repulsione dal popolo britannico, la maggioranza del quale passa la propria giornata “condividendo” immagini di sé, twittando opinioni ridicole e, per sommi capi, agendo come se lo scopo dell’esistenza fosse quello di attirare l’attenzione sui loro risibili tentativi di partecipare a essa. In tali circostanze la distinzione tra vero e falso comincia a erodersi, allo stesso modo di quella tra accusa e colpevolezza. In termini di pregnanza è improbabile che la verità possa essere contenuta nei 280 caratteri ora consentiti. Questi enormi cambiamenti sembrano non aver scosso affatto il pubblico di fronte all’imminente fossa nella quale stiamo collettivamente affondando. Entriamo in un mondo in cui la perfidia del gossip è paritetica all’onesta carità, e le emozioni della massa calpestano i più elementari appelli alla giustizia.

 

Quali contromisure possiamo adottare? Ho un paio di suggerimenti. La prima consiste nel fondare un’istituzione (che si potrebbe chiamare “Ministero della Verità”) in un paese legalmente isolato (inopinatamente sovviene la Russia) dedita a twittare storie infanganti su tutti coloro che hanno un’influenza pubblica. Se chiunque diventasse vittima di questo livore, il pubblico comincerebbe a vedere Twitter per quel che è, ovvero un dispositivo che cade facilmente nelle mani del diavolo.

 

I recenti tweet del Presidente Trump sui musulmani incoraggeranno il popolo a difendere i loro concittadini musulmani da un nemico comune, e coloro che sono presi d’assalto su Twitter saranno indotti a vivere in uno spirito di sfida, in qualità di esempi per le uniche persone che contano, ossia i vicini e gli amici. La Twitter-sfera sarà marginalizzata in quanto degradante, visitata solamente da mitomani acefali; e i politici che comunicano tramite tweet perderanno qualunque autorevolezza fosse loro altrimenti riconosciuta.

 

Il secondo suggerimento è più serio. La radice della cultura è l’emulazione e, a causa dello schermo in mano, stiamo imparando a emulare ciò che è sotto di noi. La cultura tradizionale riguardava l’imitazione di ciò che è sopra di noi: gli esempi e traguardi che conferiscono dignità all’ordine sociale e che ci insegnano a essere orgogliosi di esso. I social media costituiscono una minaccia per questa cultura e per l’idea di affidabilità sulla quale essa poggia; la reazione adeguata alle odierne angherie consiste perciò nello sforzarsi di promuovere un rinnovamento culturale, attraverso l’insegnamento e l’esempio, e attraverso la drammatizzazione degli abusi, come Shakespeare ha drammatizzato l’abuso della legge in Il mercante di Venezia. Dobbiamo spiegare ai bambini la presunzione di innocenza che giace al cuore della nostra eredità legale, e la protezione da tutti gli intimidatori o sfruttatori che questa offre alle persone comuni. Dovremmo mostrare perché il rispetto per gli altri implichi il rispetto per la loro privacy, per i loro segreti, per tutto ciò che è intimo e di nessun interesse pubblico.

 

Tutto ciò è più facile a dirsi che a farsi, direte voi, e direste bene. Qualsiasi cosa davvero di valore è più facile a dirsi che a farsi. Siamo invischiati in una palude culturale e dobbiamo districarci, ma possiamo farlo solo attraverso mezzi culturali. Il popolo è tentato da una deteriore ragnatela di gossip, e si sta intrappolando nei suoi viscidi filamenti. Per combattere contro questa istanza dobbiamo mostrare, attraverso l’esempio, come vivere in un altro modo, come liberarsi dalla ragnatela prima di cedere al circolo vizioso della perfidia e finire divorati, anima e corpo, dal ragno della “post-verità”.

 

Gli insegnanti dovrebbero vedere come loro principale obiettivo quello di allertare gli allievi dinanzi alle nuove tentazioni del ragno, affinché possano approcciarsi ad altre persone con rispetto. Questa educazione è ciò che Platone intendeva come cura dell’anima, e la considerava l’indispensabile fondamento della vita politica. Credo che su questo argomento Platone avesse ragione, definendo un compito che investe tutti noi, inclusi i media nazionali.

 

 

Nota del curatore: per dovere morale, è necessario fornire un paio di riferimenti, uno giornalistico e uno non giornalistico, circa la vicenda relativa a Mr. Green menzionata nell’articolo (da The Guardian: Damian Green: timeline of how a leak led to a downfall; questo è invece il riassunto delle indagini del Cabinet OfficeSummary of the Cabinet Secretary's report on allegations about Damian Green's conduct). È però fondamentale evidenziare che essi non intendono affatto riaccendere la polemica suddetta né rinnovare alcuna accusa o anche solo memoria di accuse poiché le contingenze del caso particolare non intaccano in alcun modo il cuore del discorso di Sir Scruton, che mira a mostrare quanto la cultura che rende possibile la presunzione di innocenza sia imprescindibile.

 

02 Dicembre 2024

 







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