Comprendere la noia con Heidegger

 

Nei Concetti fondamentali della metafisica, Martin Heidegger offre un’accurata fenomenologia della noia. Il filosofo struttura il discorso come un crescendo: parte dalla forma più superficiale di noia per passare gradualmente ai livelli più profondi.  

Ripercorrere le riflessioni heideggeriane si rivela tuttora essenziale per comprendere la cronicizzazione di questa tonalità emotiva nell’età dell’infosfera.

 

di Salvatore Grandone

 

 

L’uomo è un animale “emotivamente intonato”. La relazione con noi stessi, con gli altri e con le cose si costituisce prima di tutto all’interno di una tonalità emotiva. Non si può pensare, parlare e agire se la realtà non si dischiude in una colorazione affettiva.  

 

Un importante filosofo di orientamento fenomenologico, Otto Friedrich Bollnow (1903-1991), ha approfondito la questione: 

 

« La vita è sempre emotivamente “intonata”. Gli stati d’animo dell’allegria e della tristezza, dell’euforia e dell’angoscia, della felicità e della malinconia – ma anche le situazioni apparentemente ‘apatiche’ come quelle della noia e dell’indifferenza – pervadono l’esistenza e le conferiscono, di volta in volta, una “tinta” particolare. È solo all’interno di questa sorta di atmosfera emozionale che avviene l’incontro con il mondo: la percezione dello spazio e del tempo, il contatto con le cose e le persone. Le tonalità emotive stanno a fondamento di tutta la vita psichica: sono i modi del sentire che connotano e trasformano la realtà, schiudendo – o precludendo, a seconda dei casi – le molteplici forme dell’essere-nel-mondo. » (O. F. Bollnow, Le tonalità emotive)

 

La tonalità emotiva è la tinta che accorda la nostra esperienza del mondo. A una persona allegra tutto appare vivido, colorato, intenso; gli ostacoli sono sfide entusiasmanti; il tempo è pieno di risorse, uno scrigno di sogni e di progetti. 

 

A una persona triste la realtà si mostra grigia, opaca, inconsistente; il tempo è vischioso, agglutinato, sabbie mobili che soffocano l’io in un presente vuoto e privo di senso. 

 

Le tonalità emotive – seguo ancora Bollnow – vanno dunque distinte dai sentimenti veri e propri. Mentre i sentimenti si riferiscono intenzionalmente a un oggetto determinato, come la gioia per qualcosa o la paura di qualcosa, le tonalità emotive non hanno un oggetto specifico. Sono infatti modi di essere, colorazioni dell’esistenza nel suo complesso. È attraverso le tonalità emotive che l’io prende coscienza di sé e del mondo, che l’io prova sentimenti, ragiona e agisce

 

Tra i filosofi del Novecento ad aver fornito una prima concettualizzazione di quella che potremmo definire una meta-esperienza affettiva vi è sicuramente Martin Heidegger (1889-1976). Lo stesso Bollnow gli riconosce il merito, anche se sottolinea a più riprese come Heidegger tenda a soffermarsi soprattutto, se non esclusivamente, sulle tonalità emotive di segno negativo, in particolare sull’angoscia e sulla noia. 

Sebbene l’osservazione sia corretta, la fenomenologia heideggeriana di queste due tonalità emotive resta, dal punto di vista filosofico, l’analisi più penetrante fino a ora mai elaborata. 

 

In questa sede, mi soffermerò sulla noia, prendendo come punto di riferimento le riflessioni sviluppate nei Concetti fondamentali della metafisica. Mondo, finitezza, solitudine

 

La scelta non è casuale. Non si tratta di assecondare la “moda”. In effetti, se parlare di noia è sempre così attuale, è perché vi sono ragioni profonde che Heidegger ha saputo cogliere con grande lungimiranza. Il pensatore tedesco ha compreso la stretta relazione tra noia e tecnica, offrendo strumenti ermeneutici che oggi possono aiutarci a spiegare l’intensificazione paradossale di questa tonalità emotiva con l’avvento e il dominio dell’infosfera.  

 

Iniziamo con l’analisi delle tre forme di noia esaminate da Heidegger in crescendo: “venir annoiati da qualcosa”, “l’annoiarsi di qualcosa” e “Uno si annoia”. 

 

 

Venir annoiati da qualcosa 

 

E. Hopper, "Stazione di provincia", 1918
E. Hopper, "Stazione di provincia", 1918

 

La prima forma di noia analizzata da Heidegger è il “venire annoiati da qualcosa”. È il tipo più superficiale e comune di noia, caratterizzato da una situazione o un oggetto specifico che provoca il sentimento di tedio. 

Heidegger propone l’esempio emblematico dell’attesa di un treno in stazione: 

 

« Ci troviamo, per esempio, in una insulsa stazione di una sperduta ferrovia secondaria. Il primo treno arriverà tra quattro ore. La zona è priva di attrattive. È vero, abbiamo un libro nello zaino – dunque leggere? No. Oppure riflettere su una questione, su un problema? Non va. Leggiamo gli orari oppure studiamo l’elenco delle varie distanze di questa stazione da altri luoghi che non ci sono noti altrimenti. Guardiamo l'orologio – è appena passato un quarto d’ora. Andiamo fuori, sulla strada maestra. Camminiamo su e giù, tanto per fare qualcosa. Ma non serve a niente. Contiamo gli alberi lungo la strada maestra, guardiamo nuovamente l’orologio: appena cinque minuti da quando l’abbiamo consultato. Stufi di andare su e giù, ci sediamo su una pietra, tracciamo ogni sorta di figure sulla sabbia, e ci sorprendiamo nuovamente a guardare l’orologio; è passata una mezz’ora, e così di seguito. » (M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica

 

Heidegger descrive qualcosa che è capitato almeno una volta a tutti: la lunga attesa di un treno o di un autobus. Ci ritroviamo alla stazione e non sappiamo come “riempire” il tempo. Si cercano degli “scacciatempo”: si scrolla lo smartphone, si prova a leggere un libro, ci si guarda intorno. Ma nulla da fare, il tempo sembra non passare mai; scorre lentamente. Heidegger sottolinea come nella parola tedesca per noia,“Langeweile”, sia implicita l’idea di una dilatazione del tempo. Il filosofo tiene però a precisare che il rallentamento è un elemento accidentale, perché il fenomeno non si verifica in tutte le forme di noia. Per il momento lascia in sospeso la questione, che diventerà subito chiara nell’analisi della seconda tipologia. 

 

Nel “venir annoiati da qualcosa” si ha l’impressione che la causa della noia sia esterna: è la mancata funzionalità della stazione a generare noia. L’ente stazione si sottrae al soggetto; non rende presente ciò che dovrebbe subito mettere a “portata di mano” (il treno). 

 

C’è un’indisponibilità dell’ente, che annoia. Non dimentichiamo questo punto del ragionamento che sarà fondamentale per il seguito. 

 

 

Annoiarsi di qualcosa

 

E. Hopper, "I nottambuli", 1942
E. Hopper, "I nottambuli", 1942

 

L’“annoiarsi di qualcosa” è una noia più profonda della prima, poiché non è unicamente una situazione esterna a generare il tedio, bensì emerge durante lo svolgimento di un’attività in cui ci si è volontariamente immersi. Heidegger illustra questo con l’esempio di un invito a cena: 

 

« Siamo invitati da qualche parte per la sera. Non siamo obbligati ad andarvi. Ma siamo stati tesi e impegnati tutto il giorno, e per la serata abbiamo del tempo libero. Così ci andiamo. C’è la solita cena con la solita conversazione a tavola, tutto è non soltanto molto buono, ma anche di buon gusto. Poi, come si dice, si sta insieme in allegria, si ascolta magari della musica, si chiacchiera, l’atmosfera è vivace e divertente. È già ora di andare via. Le signore, non solo al momento dei saluti, ma anche a piano terra e per strada, quando ci si ritrova per proprio conto, assicurano che tutto è stato veramente molto piacevole, persino incredibilmente stimolante. In effetti è così. In questa serata non si trova proprio nulla che possa essere stato noioso, né la conversazione, né la gente, né i locali. Si ritorna dunque a casa pienamente soddisfatti. Si dà ancora una rapida occhiata al proprio lavoro, interrotto la sera, si fa un calcolo approssimativo e una rapida previsione per il giorno successivo – ed ecco qui: stasera mi sono proprio annoiato a questo invito. » (Ivi)

 

La situazione è opposta alla precedente. Tutto sembra perfetto: il cibo, la compagnia, la musica. Il tempo passa in fretta; si direbbe che alla serata non sia mancato nulla. E in effetti è così, il problema non è la cena, ma quello che essa ha messo “tra parentesi”.

 

Nel ritornare a casa riemerge con prepotenza una sensazione preesistente. Infatti, nel non fare i conti con la noia, la tonalità emotiva è cresciuta e si fa sentire con maggiore intensità. 

 

È interessante notare come il centro focale si sia spostato dall’esterno all’interno. Si inizia a prendere consapevolezza che la noia non viene dalle cose o dagli altri, ma da sé. Non che questi non siano implicati nella relazione che si ha con se stessi. Il problema è il modo in cui si è configurata la relazione.  

 

 

Uno si annoia

 

E. Hopper, "Manhattan Bridge loop", 1928
E. Hopper, "Manhattan Bridge loop", 1928

 

Vediamo adesso la noia più profonda. Riporto il passo chiave: 

 

« La noia profonda annoia quando diciamo, o meglio, quando sappiamo tacitamente nel nostro intimo che ci si annoia, senza nessun riferimento a situazioni determinate, ma secondo le occasioni della storia e del destino dell’esserci. […] “uno si annoia” quando in una domenica pomeriggio si cammina per le strade di una grande città. » (Ivi)

 

Questa noia sopraggiunge inattesa, non dipende dalle circostanze esterne; essa rivela l’indifferenza della totalità dell’ente. Il riferimento alla passeggiata domenicale in una città deserta illustra bene come, in un contesto apparentemente neutro e privo di particolari stimoli negativi, possa emergere con forza la tonalità emotiva. 

 

In Che cos’è la metafisica? Heidegger la paragona a una nebbia silenziosa che si poggia su ogni cosa: 

 

« La noia profonda, che va e viene nelle profondità dell’esserci come una nebbia silenziosa, accomuna tutte le cose, tutti gli uomini, e con loro noi stessi, in una strana indifferenza. Questa noia rivela l’ente nella sua totalità. » (M. Heidegger, Che cos’è la metafisica)

 

Nella noia profonda l’ente si sottrae nella sua totalità alla nostra presa. Nulla ha più senso perché tutto è indifferente. Una cosa vale l’altra; una persona vale l’altra; niente ha più valore. La noia è una livella che tutto rende uguale. 

 

È evidente che qui l’esserci non ha più scuse. Non è un evento particolare a scatenare la noia; non è a qualcuno o a qualcosa che può essere attribuita. A differenza dell’“annoiarsi di”, non è possibile neanche una “dietrologia” deformante. Al ritorno della serata con gli amici si potrà provare a esorcizzare il sentimento di noia, dicendo che, in fin dei conti, la cena non è stata poi così entusiasmante, che gli invitati erano meno gradevoli di quanto sembravano. 

 

Ma cosa dire a se stessi quando all’improvviso, senza motivo, la noia assale e come una nebbia che viene dal profondo dell’anima si riversa nel mondo?  

 

Tutto si tinge di opacità. Le cose e le persone si aggirano intorno come spettri, ombre bianche senza consistenza e spessore. Non si vede più nulla, e più si prova a illuminare la realtà con la “luce” della ragione, più la noia si riverbera sull’esserci – così Heidegger chiama l’ente che noi siamo – con la sua bianchezza appiattente.

 

Resta un’ambiguità. In Che cos’è la metafisica? Heidegger afferma che la noia rivela l’ente nella sua totalità, mentre nei Concetti fondamentali della metafisica insiste sull’indisponibilità dell’ente nella sua totalità, il suo sottrarsi nella noia alla nostra presa

 

Le due osservazioni sono in realtà complementari. Per chiarire il nesso bisogna scandagliare la relazione tra noia e tecnica.

 

 

La noia e la tecnica

 

E. Hopper, "Benzina (Gas)", 1940
E. Hopper, "Benzina (Gas)", 1940

 

Nella società contemporanea, caratterizzata dal dominio della tecnica planetaria, la questione della noia assume una dimensione paradossale. Il progresso tecnologico promette di eliminare la noia attraverso la condivisione immediata di informazioni, l’intrattenimento e le molteplici possibilità di connessione. Tuttavia, anziché sconfiggerla, la tecnologia contribuisce a una nuova forma di noia, forse ancora più insidiosa. La costante stimolazione e la sovrabbondanza di opzioni possono portare a una superficialità dell’esperienza e a una difficoltà nel “soffermarsi” autenticamente su qualcosa. Tutto è presente, tutto è disponibile, ma nulla riesce a catturare veramente l’attenzione e a generare un coinvolgimento profondo e duraturo. L’affannosa ricerca di “ammazzare il tempo” attraverso attività superficiali e narcotizzanti testimonia una fuga dal vuoto interiore che la tecnologia tende però, paradossalmente, a esacerbare.

 

Zygmunt Bauman (1925-2017) e Byung-chul Han sono tra i filosofi che meglio hanno studiato questo fenomeno. Non è qui possibile ripercorrere le loro riflessioni. È importante però sottolineare l’intuizione heideggeriana che ne è alla base. Prima ancora del dominio dell’infosfera, Heidegger ha compreso come sia la iper-disponibilità dell’ente propria dell’età della tecnica a nutrire la noia. La tecnologia rende tutto presente. Basta poco, un click, ed è possibile soddisfare qualsiasi desiderio. Le distanze si riducono e tutto si svolge in tempo reale: lo scambio di informazioni, di merci e di persone.

 

Nell’età della tecnica la dimensione temporale prevalente è il presente come “essere là a portata di mano”. Il futuro e il passato spariscono all’interno di un attimo che ripete se stesso. L’avvento dell’infosfera, dei big data, la dematerializzazione delle cose in non cose (cfr. Byung-chul Han, Le non cose) accentuano questi caratteri. L’uomo di oggi è immerso in un grande spettacolo a una dimensione, che tra-duce l’esistenza in un presente cui manca l’attesa, dove lo sguardo dell’altro è anonimo e il sé è un vuoto involucro contenitore di informazioni offerte in pasto agli algoritmi

 

L’effetto sul piano del vissuto non può che essere un profondo senso di straniamento che si manifesta in primis nella noia.   

 

L’ambiguità sottrazione/rivelazione dell’ente nella sua totalità nella noia si dirada: nell’estremo darsi come disponibile, nel suo rivelarsi come presenza assoluta e istantanea, iterabile e consumabile, l’ente si sottrae come non senso. Tutto è a portata di mano, di dito. 

 

Tutto è rivelato? Allora, nulla ha senso. La violenza estrema che subiscono le cose nel diventare informazioni consumabili ha come contro-movimento una sottrazione di senso che cala su ogni aspetto dell’esistenza. In questo estremo nascondimento, diventa tuttavia possibile riscoprire il senso dell’esistere. 

 

Mai come oggi l’esserci, cioè l’ente che noi siamo, si ritrova di fronte a una decisione estrema, in cui ne va veramente di se stesso. Ancora una volta Heidegger può illuminarci.  

 

 

Uscire dalla noia

 

E. Hopper, "Sole di mattina", 1952
E. Hopper, "Sole di mattina", 1952

 

Per Heidegger, uscire dalla noia profonda non significa trovare nuove distrazioni o riempire il tempo con attività superficiali. Al contrario, egli suggerisce un atteggiamento di “attesa” nei confronti della noia. Non bisogna addormentarla, ma farla stare sveglia. Questa attesa non è passività, ma una tensione interrogativa. Per superare la noia autenticamente, l’esserci deve affrontare la finitudine del proprio essere e assumere la propria esistenza come un progetto gettato

 

La società della tecnica e dell’infosfera distrugge la progettualità che ci costituisce. Essa omologa, spettacolarizza l’essere “là”, lo “star fuori” dell’esserci, con i suoi dubbi e le sue oscillazioni di senso, riducendolo a un “qui e ora” sovraesposto sugli schermi. Il poter-essere della singolarità che noi siamo è frantumata in un rumore assordante di immagini e di video. Sul palcoscenico non vi è più spazio per la cura, ma solo per la curiosità, la chiacchiera e l’equivoco. 

 

La deiezione di cui parla Heidegger in Essere e tempo raggiunge dunque il suo parossismo. 

 

Nella situazione estrema in cui ci troviamo, la noia come tonalità emotiva nebbiosa e pervasiva diventa la nostra unica speranza di salvezza. Occorre appunto ascoltarla, non combatterla. È necessario lasciare che il non senso del nostro essere-nel-mondo inautentico ci attraversi con la sua intensità spaesante. 

 

Solo così sarà possibile un po’ alla volta scorgere nell’arrogante familiarità delle non cose (le informazioni) e delle merci, che riempiono i nostri spazi fisici e virtuali, una salvifica estraneità. 

 

L’indifferenza del “tutto si equivale” può diventare la chiave di volta per scegliere di ridare un senso diverso, nostro, all’essere-nel-mondo. Nel dolore senza nome della noia si può ritrovare quella radura, dove la nebbia si dissiperà. 

 

28 aprile 2025

 








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