Breve estratto del libro Le ragazze della scienza. Come quattro donne sono fuggite dalla Germania nazista e hanno fatto la storia della fisica (Aboca edizioni, 2025) di Olivia Campbell. La storia, ambientata negli anni Trenta, periodo storico complicato, racconta di quattro dotatissime scienziate ebree che tengono strette tra le mani le redini delle loro vite, scegliendo drasticamente di fuggire dalla Germania per ritrovare altrove lo spiraglio di una vita degna di essere vissuta. In un viaggio che è una questione concreta di vita o di morte, con sacrifici e lavoro duro, rivoluzionano per sempre il campo della fisica, fenici in quella cenere di terreno bruciato che il clima politico nazista cercò di creare intorno a loro.
David Hilbert era in grado di risolvere alcune delle più complesse equazioni matematiche mai concepite, eppure non riusciva a raccapezzarsi in merito alle opinioni dei suoi colleghi di facoltà. Nella primavera del 1915, il professor Hilbert cercò di ingaggiare un giovane talento che aveva studiato con lui affinché lo affiancasse all’università di Gottinga, in Germania. Quella persona geniale aveva insegnato matematica per sette anni all’università di Erlangen, e ora Hilbert la voleva al proprio dipartimento.
Un genio vero, il suo, tant’è che in ambito matematico avrebbe creato l’algebra moderna. Albert Einstein arrivò a definire questa persona ‘’il genio matematico creativo più importante in assoluto’’. Se è Einstein a darti del genio, puoi essere certo che ci sia del vero.
Ma ad alcuni professori di Gottinga non interessava la genialità di questo potenziale nuovo membro dell’ateneo; contava solo il fatto che Emmy Noether fosse una donna, e questo voleva dire che non poteva insegnare all’università. Sciocca ragazzina. Non sapeva forse che le università erano fatte per gli uomini? Che la matematica era roba da maschi? Del resto, cos’avrebbe pensato il corpo studentesco, in massima parte maschile?
«Cosa penseranno i nostri soldati al momento di tornare all’università, scoprendo di essere costretti a studiare alla mercè di una donna?», chiesero i colleghi di facoltà. Hilbert era livido di rabbia. Sapeva bene che la straordinaria mente matematica di Noether poteva solo essere un dono per gli studenti di Gottinga. «Non capisco come il sesso del candidato possa essere un argomento contro la sua assunzione in veste di libero docente», rispose furente. «In fin dei conti siamo un’università, non un bagno pubblico!».
Einstein, altrettanto indignato, propose di intercedere a suo favore, ma alla fine non ce ne fu bisogno. Hilbert la assunse comunque come sua assistente. Noether iniziò persino a tenere delle lezioni, sebbene questo aspetto del lavoro, va da sé, non fosse retribuito. Oggigiorno una tale attività sarebbe chiamata volontariato, ma all’epoca le donne dovevano far buon viso a cattivo gioco allo scopo di infilare un piede nella porta. Evidentemente era considerato audace, da parte di una donna, pretendere una remunerazione per il lavoro accademico.
«Non avrebbe certo nuociuto ai Feldgrauen [veterani] di Gottinga se fossero stati mandati sui banchi con Fraulein Noether», ironizzò Einstein. «Sembra sapere il fatto suo!». E nel giro di pochi anni, Noether dimostrò al mondo intero di sapere il fatto suo. Nel 1918 risolse il problema matematico emerso a causa della nuova teoria della relatività di Einstein, un nodo che nemmeno il diretto interessato era riuscito a sciogliere. Il teorema di Noether si rivelò cruciale nello sviluppo della fisica moderna e cambiò per sempre la nostra concezione dell’universo. Non vi è dubbio che ciò sarebbe bastato a qualificarla come professoressa.
Infine, nel 1919, Noether divenne la prima donna in Germania a ricevere il permesso di conseguire l’abilitazione all’insegnamento, la certificazione necessaria per essere docente a livello universitario. L’impettita facoltà di Gottinga reagì concedendo che «solo in casi eccezionali la mente di una donna è in grado di essere creativa in matematica».
L’esperienza di Noether illustra alla perfezione cosa ha significato per la maggior parte delle donne, in Germania, il tentativo di infiltrare quel club per soli uomini che era l’ambito accademico di inizio Novecento. Le donne geniali sono state a lungo considerate casi eccezionali, isolati, non un esempio di che cosa le donne fossero capaci in generale una volta concesso loro l’accesso al medesimo livello formativo e alle medesime chance degli uomini. Macché genio e genio: contava solo il genere.
La matematica e le scienze erano discipline particolarmente ardue in cui fare breccia essendo donna. E se alcune eroine solitarie ogni tanto riuscivano a sgomitare in questi campi analitici, si è dovuto aspettare fino ai primi decenni del Novecento per registrare un livello di accettazione nettamente sueriore per le donne nelle professioni scientifiche.
Noether spianò la strada per le donne in campo matematico in Germania, mentre Lise Meitner, Hedwig Kohn, Hertha Sponer e Hildegard Stucklen contribuirono a creare, di fatto, la prima generazione di fisiche. Purtroppo, le loro carriere furono stroncate sul nascere. Quando Hitler salì al potere nel 1933, cancellò senza pietà i progressi fatti, mettendo in atto politiche che escludevano gli ebrei e i loro sostenitori dagli impieghi statali e impedendo, in concreto, che le donne potessero ricoprire tali ruoli. I nazisti ridussero peraltro il numero delle donne che potevano iscriversi all’università e proibirono loro di accedere alle certificazioni necessarie all’insegnamento di alto livello.
«Negli anni del nazionalsocialismo, le donne furono praticamente escluse dalle carriere accademiche», afferma la professoressa di economie Elisabeth Allgoewer. Gran parte delle cinquantasei donne che avevano sudato sette camicie per diventare docenti o professoresse in Germania fino all’inizio degli anni trenta persero il lavoro a causa delle politiche naziste. Il nazismo divenne una forza oscura che andava espandendosi a macchia d’olio in Europa. E proprio come il buio ambisce a soffocare la luce, l’obiettivo dei nazisti era togliere di mezzo chiunque non fosse un membro eterosessuale e abile della loro razza padrona inventata di sana pianta, e chiunque fosse di ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo.
Quella forza crebbe in oscurità e violenza di giorno in giorno; galvanizzata da ogni singolo editto volto a comprimere i diritti civili, da ogni atrocità impunita ai danni della popolazione, da ogni centimetro di terreno invaso al di fuori della Germania. Con il crescere dell’impero nazista crebbe anche il bisogno degli ebrei e degli oppositori del regime di trovare rifugio altrove.
Centinaia di migliaia di persone disperate furono costrette alla fuga. Lame di luce che sfidavano l’oscurità, questi individui perseguitati lanciarono grida di aiuto indirizzate a persone e organizzazioni influenti in tutto il mondo. Spesso, un’offerta di lavoro internazionale (oltre ai fondi e alla scaltrezza necessari per andarsene alla svelta dal Paese) faceva la differenza tra la vita e la morte.
Eppure, la confluenza di sessismo e antisemitismo nel mondo accademico tedesco fece sì che la massima parte delle studiose non risultassero abbastanza preparate, o con sufficiente esperienza, per spuntarla come candidate ideali di quei posti all’estero. Per tacere del fatto che gran parte delle università aveva ben poco interesse a ingaggiare delle donne, soprattutto in campo scientifico e matematico.
Di cosa avrebbero avuto bisogno Hedwig, Lise, Hertha e Hildegard per uscire vive dalla Germania hitleriana? Di speranza, naturalmente. Di perseveranza, certo. E di connessioni altolocate, che non guastavano mai. Moltissimo dipese dall’infaticabile dedizione e dalle risorse di un’ampia rete di enti umanitari, conoscenze e colleghi: l’indefesso operato di completi sconosciuti che fecero di tutto per aiutare chi ne aveva bisogno a uscire sani e salvi dal territorio nazista. Agli occhi delle organizzazioni nate per agevolare la fuga degli accademici, le donne restavano irrimediabilmente in secondo piano. Se volevano andarsene, avrebbero dovuto aiutarsi tra loro.
5 marzo 2025