Delirio su “Ventotene”

 

Considerazioni sulla miseria della politica.

 

di Gabriele Zuppa

 

Immagine creata dall'IA

 

Questa non è una difesa per coloro che sono intervenuti sui palchi di Piazza del Popolo, sabato 15 marzo, a cui si è rivolta il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Né è una difesa per i presenti che manifestavano: se sapessero, o capissero, cosa c’è scritto nel Manifesto di Ventotene inorridirebbero nel vedere cosa sia diventata l’Europa lì auspicata e come il mondo sia immerso nel percorso di una nuova catastrofe mondiale, quella che aveva spinto Spinelli a vergare quei pochi, lucidi passaggi per scongiurare il male che aveva vissuto.

Quegli interventi ci hanno lasciati basiti, per altre ragioni, ma non meno di quello del Presidente del Consiglio. Simbolo e sintesi dell’evento sono state le parole di Roberto Vecchioni, che faceva il verso a Rudyard Kipling e a Federico Rampini: da Il fardello dell’uomo bianco a Grazie, Occidente! è delineato l’orizzonte di un suprematismo che è sopravvissuto nelle braci del XX secolo, e che ora infiamma. È sopravvissuto nelle mentalità che si esprimono così, con le parole di Vecchioni:

 

« […] abbiamo libertà ovunque, abbiamo la democrazia ma quella non ce l'hanno tutti, ce l'abbiamo noi che è un'invenzione […] dei Greci ed è arrivata fino a noi.

Ora voi fate chiudete gli occhi un momento e pensate ai nomi che vi dico. Io vi dico Socrate, vi dico Spinoza, Cartesio, vi dico Hegel, Marx e vi dico anche Shakespeare, vi dico Cervantes, vi dico Pirandello, Manzoni, Leopardi: ma gli altri le hanno queste cose? »

 

O nell'orgoglio à la Augusto Minzolini:

 

« […] senza i paesi europi l'America sarebbe ancora nelle mani dei nativi. »

 

Infiamma e si fa sterminio nelle azioni dell’Occidente a Gaza e in Cisgiordania. Da un anno e mezzo l’Occidente agisce conseguentemente alle parole che ha pronunciato il Ministro della Difesa di Israele, Yoav Gallant:

 

« [abbiamo] ordinato l’assedio completo di Gaza: niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Tutto chiuso. Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza. »

 

Giorgia Meloni, volendosi opporre a quella piazza, una piazza di protesta anche contro il suo governo, ha usato come pretesto che i presenti sventolassero il Manifesto di Ventotene come simbolo: il 19 marzo nell’Aula della Camera li ha sbeffeggiati citando sarcasticamente passi di quel Manifesto. Un intervento esemplare di quella povertà politica diffusa e trasversale, che spesso vediamo dettata da disonestà intellettuale o da una cultura politica meschina, come mostrano non soltanto le parole e le posture di Meloni, ma anche le reazioni a cui abbiamo assistito, dalla bagarre in aula alla reazione di Romano Prodi.

Ella ha detto essere spaventosa l’adesione ai contenuti del Manifesto e si è rivolta direttamente a tutto il popolo italiano. Quello spezzone di intervento verrà poi  postato nei suoi profili social assieme a un commento rilasciato l’indomani.

 

« […] anche in quest'aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene. Ora io spero che tutte queste persone in realtà non abbiano mai letto il Manifesto di Ventotene perché l'alternativa sarebbe francamente spaventosa, però a beneficio di chi ci guarda da casa e di chi non dovesse averlo mai letto io sono contenta di citare testualmente alcuni passi salienti del Manifesto di Ventotene»

 

«Cito, primo:»

 

« La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista […]. »

 

«– e fino a qui vabbè».

 

Però non continua la citazione, omettendo il significato che Spinelli dà a socialista, e quindi alla rivoluzione:

 

« cioè dovrà proporsi la emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita. »

 

Forse il Presidente del Consiglio non ha mai sentito parlare di lavoro povero, morti bianche, caporalato, sfruttamento, eccetera?

Poi Meloni continua.

 

« La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. »

 

Commenta con dell’ironia, ripetendo sarcasticamente «non dogmaticamente», «caso per caso».

Cosa ci sarebbe di così assurdo nell’ovvio? Non ha mai sentito parlare del problema delle disuguaglianze? Mai letto un rapporto Oxfam? In quello del 2025 si legge:

 

« Quasi un individuo su due (il 44% dell’umanità) vive oggi con meno di 6,85 dollari al giorno. Allo stesso tempo, in una “simmetria” perversa, l’1% più ricco del globo possiede qua si una proporzione identica – il 45% – di tutta la ricchezza netta del pianeta. »

 

« Oltre 1/3 (il 36%) della ricchezza dei miliardari è ereditata. Nel 2023, per la prima volta, la quota di ricchezza dei nuovi miliardari derivante da eredità ha superato quella attribuibile all’attività imprenditoriale. Un “episodio” destinato a riproporsi e consolidarsi nei prossimi 20-30 anni in cui è prevista la trasmissione da parte di più di 1.000 miliardari ai propri eredi di patrimoni per un valore complessivo di 5.200 miliardi di dollari. »

 

Una regolatina, a seconda dei casi, sarebbe ora di darcela, no?

Ma continuiamo con le sue citazioni.

 

« Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente.  »

 

« Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni […] [l]a metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria. »

 

Sorrisetti di Meloni e bagarre in aula.

«E il Manifesto conclude che», prosegue: 

 

« Esso [il partito rivoluzionario] attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle informi masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia. »

 

«Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia».

Chiude così il suo intervento.

Il giorno dopo avrebbe spiegato:

 

« volevo raccogliere e capire qual è il messaggio che si vuole dare quando si distribuisce quel testo […]. Perché? Perché io ritengo che l'essenza di alcuni passaggi che ho letto di quel Manifesto – e cioè che il popolo fondamentalmente non è in grado di autodeterminarsi e che quindi va educato e non ascoltato – sia purtroppo abbastanza strutturata nella sinistra, anche di oggi. »

 

Secondo Meloni, dunque, il testo sarebbe uno spauracchio socialista (o comunista, visto il modo in cui nel dibattito pubblico sono usati come sinonimi: ricordiamo come si sia perfino asserito, da Musk e Weidel a Vannacci, che Hitler fosse comunista perché il suo partito si chiamava Partito Nazionalsocialista), che invita all’intervento regolatore sulla proprietà privata, che denuncia come la prassi (o metodologia) democratica nei momenti rivoluzionari non funzioni (ovvero che in questi momenti serva una dittatura). Queste tesi per Meloni significano: il popolo non sa autodeterminarsi, quindi va educato e non ascoltato.

Vediamo dunque che dice questo Manifesto.

Ecco l’incipit.

 

« La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero. »

 

Quindi, innanzitutto il principio della libertà, che è principio di autodeterminazione, secondo Spinelli.

Che ha letto Meloni? Forse che Spinelli sia contro questo principio e che nelle parti successive del testo lo neghi? Vediamo.

Secondo Spinelli, questo principio di libertà-autodeterminazione si svolge in tre momenti essenziali della vita sociale e politica dell’uomo.

 

« 1) Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato dalle sue caratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale creato per proprio conto, secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo. »

 

« 2) Si è affermato l’eguale diritto di tutti i cittadini alla formazione della volontà dello stato. Questa doveva così risultare la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse. »

 

« 3) Contro il dogmatismo autoritario, si è affermato il valore permanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva asserito, doveva dare ragione di sé o scomparire. Alla metodicità di questo spregiudicato atteggiamento, sono dovute le maggiori conquiste della nostra società in ogni campo. »

 

Splendido, no?

Sì, anche per Spinelli.

Tuttavia Spinelli ha visto come la concezione patriottica della nazione sia diventato nazionalismo, e il nazionalismo sia stato colonialismo e imperialismo, quindi dittatura.

Tuttavia Spinelli ha visto come quella libertà formale, di diritto, non fosse libertà concreta, di fatto; e che, quando la libertà formale consentì si sviluppasse la consapevolezza dell’esigenza di una libertà concreta estesa alla popolazione, ci si opponesse a quell’esigenza con la dittatura.

Tuttavia Spinelli ha visto come lo spirito critico si tramutasse nel suo opposto, nel totalitarismo, ultimo stadio della dittatura.

Il mondo, che riteneva di muoversi verso la libertà, ha visto morire la libertà nelle oligarchie capitaliste, nazionaliste, militariste. La libertà è stata decantata fino a quanto ha consentito di monopolizzarla; poi vi è stato l’illiberalismo e la guerra.

Leggiamo nelle parole di allora lo specchio della società di oggi.

 

« Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle grandi masse, escluse da ogni possibilità di godere i frutti della moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le riserve materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle possibilità proletarie resta così ridotto, che per vivere i lavoratori sono spesso costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilità di impiego. »

 

Dunque, si chiede Spinelli, che cosa faranno le forze reazionarie dei privilegiati? Ascoltiamolo.

 

« Nel breve intenso periodo di crisi generale (in cui gli stati giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose le parole nuove e saranno materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capaci di accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti), i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali, cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l’ondata dei sentimenti e delle passioni internazionaliste, e si daranno ostentatamente a ricostituire i vecchi organismi statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari d’accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica dell’equilibrio dei poteri, nell’apparente immediato interesse dei loro imperi.

Le forze conservatrici, cioè: i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali; i quadri superiori delle forze armate, culminanti, là dove ora esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto l’innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che anche sono solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie già fin da oggi sentono che l’edificio scricchiola, e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto finora, e le esporrebbe all’assalto delle forze progressiste. »

 

Si palesa ciò che Spinelli intende con i passi citati da Meloni: quando le forze reazionarie useranno qualsiasi mezzo, anche violento, per restaurare il loro potere, dovremo impedire che ciò accada. E questo potrà essere impedito solo fuori dalla normale prassi, dall’abituale metodologia democratica: poiché nelle modalità democratiche dei tempi non violenti la democrazia troverebbe la sua negazione.

Insomma, qui Spinelli ricorda un principio arcinoto della storia: nei comenti critici è necessario uno stato di eccezione, che non è la negazione dello stato normale, ma sua condizione. Questo vuole dire: la prassi democratica dei tempi ordinari deve essere sospesa.

Solo in questo Spinelli, in questo specifico passaggio, si sbaglia: dalle sue parole sembra emergere che, così, sia la democrazia tout court ad essere sospesa, quando in realtà non è sospesa, ma è affermata nel suo modo specifico di possibilità nel contesto rivoluzionario, quando è minacciata dalle forze reazionarie che non la vogliono veder nascere o la vogliono veder nascere nelle forme fasulle che hanno condotto all’autodistruzione europea culminata nella Seconda guerra mondiale.

Se disarmi con la violenza chi ti assale con maggior violenza, non neghi il dialogo democratico, ma lo rendi possibile; non accresci la violenza, la diminuisci. Lo rendi possibile innanzitutto rimanendo in vita e, poi, rendendoti disponibile fin da subito in tutti i modi democratici consentiti dal contesto: non accanendoti sull’avversario, non minacciandolo, non vendicandoti; successivamente cercando di comprendere la sua condizione, le sue istanze, le sue argomentazioni, ecc. Implementando la democraticità della relazione.

Questo significa, assieme, educare e ascoltare. E aspettarsi, in questa reciprocità, di essere educati, di imparare.

Cosa ha capito Meloni? Riascoltiamola:

 

« l'essenza di alcuni passaggi che ho letto di quel Manifesto [è] che il popolo fondamentalmente non è in grado di autodeterminarsi e che quindi va educato e non ascoltato. »

 

Peraltro, se ci fossero ancora dubbi, Spinelli sottolinea come il movimento rivoluzionario non sia un gruppo elitario, ma un insieme composito di tutte quelle forze che si sono opposte ai poteri reazionari che hanno condotto l’Europa alla catastrofe.

Quindi sa di dover ascoltare tutte le istanze, e invita a farlo. Proprio per potersi autodeterminare e ripristinare la libertà, rendendola concreta.

 

« Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che han saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà saper collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, e in genere con quanti cooperino alla disgregazione del totalitarismo; ma senza lasciarsi irretire dalla prassi politica di nessuna di esse.

Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. »

 

Quella piazza con in mano il Manifesto di Ventotene (ecco qui la copia) ha nell’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi uno dei suoi riferimenti politici.

Come ha risposto all’attacco delirante di Giorgia Meloni? Con un farfugliare altrettanto delirante, quando una giornalista gli ha chiesto un commento al passo citato da Meloni sulla regolamentazione della proprietà privata.

 

« Ma che cavolo mi chiedi? Io ho mai detto una roba del genere in vita mia? »

 

La giornalista allora spiega che «è un passaggio del Manifesto di Ventotene».

E Prodi, tirandole i capelli:

 

« lo so benissimo signora, non sono neanche un bambino, sa; ma era nel 1941, gente messa in prigione dai fascisti. Che cosa pensavano secondo lei? Al trattato di… dell'articolo secondo della Costituzione? Ma il senso della storia ce l'ha lei o no? »

 

Qui accenna alla difesa ricorrente di questi giorni: il Manifesto va edulcorato, il linguaggio e le formulazioni devono essere contestualizzate. Come a dire: nel Manifesto ci sono cose assurde, ma perché scritte nel 1941. Ad essere assurdo non è però il Manifesto, ma questa difesa, non meno delle accuse di Meloni.

Infine, la giornalista cerca di far presente che comunque la risposta non deve essere rivolta a lei, ma a ha chi ha citato quel passo.

 

« Eh sì, ma volevo sapere, visto che era stato citato... »

 

E Prodi:

 

« va beh, io le cito un verso di Maometto e lei mi dice: «cosa lei pensa di Maometto?» Ma dai, su. Questo è far politica in un modo volgare, scusi, eh. »

 

Sì, una politica volgare, quella che da Meloni va a Prodi. Quella che dal sogno europeo ha modellato pian piano un incubo.

 

23 marzo 2025

 








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