La recente pubblicazione de Il nulla per tutti, una raccolta di lettere di Emil Cioran – curata da Vincenzo Fiore per le edizioni Mimesis –, offre uno sguardo intimo sul filosofo rumeno-francese. Cioran interagisce con le figure più importanti del XX secolo, spaziando da consigli di vita pratici a profonde riflessioni sulla condizione umana, la vecchiaia e la morte.
Mimesis Edizioni ha pubblicato in italiano, a cura di Vincenzo Fiore, gli estratti più significativi dell’epistolario di Emil Cioran, filosofo rumeno naturalizzato francese che, al netto del pessimismo cosmico che permeava i suoi scritti, grazie al rapporto con l’editore francese Gallimard e l’editore italiano Adelphi seppe inserirsi in una rete di contatti high culture impressionanti, in parte già raccontati nel suo Esercizi di ammirazione.
Pubblicate sotto il titolo de Il nulla per tutti, le lettere di Cioran lo vedono destreggiarsi con interlocutori, del calibro di Samuel Beckett, Yves Bonnefoy, Paul Celan, Henry Corbin, Ernst Jünger, Gabriel Marcel, Carl Schmitt, Susan Sontag, Marìa Zambrano e Marguerite Yourcenar, solo per citare i nomi più celebri. Il Cioran delle lettere non è molto diverso dal Cioran degli scritti pessimisti più noti, come Il funesto demiurgo o Squartamento. Al giornalista venezuelano Ben Ami Fihman Cioran dà dei veri e propri consigli di vita:
« Fa molto bene a tenere un diario, che sarà necessariamente un modo per vincere le sue sofferenze. A che cosa serve l’espressione? A dimostrare che lei non si lascia abbattere e che è al di sopra delle sue miserie. Inoltre, lei ha in più il senso del ridicolo e questo dono renderebbe tollerabile anche l’inferno. Ho sopportato il mondo e il mio orrore per il mondo, facendomi beffe sia del mondo sia dell’orrore che non ha mai mancato di ispirarmi ».
E se l’amico pareva quasi schernirsi per la debolezza esistenziale su cui le sue lettere a Cioran facevano luce, il filosofo riesce ad essere anche di conforto umano: « niente scuse, glielo ripeto. Le sembro una persona che ha bisogno di scuse? ». Nelle lettere non è però sempre Cioran a confortare, tutt’altro. Con John David Barrett, suo frequente interlocutore, il pensatore franco-rumeno si sfoga proprio sulla caricaturalizzazione di cui, a suo dire, sarebbe vittima la sua figura letteraria:
« Non essendo più molto di moda la superstizione della sfumatura, la maggior parte dei critici mi ha rapidamente classificato tra i negatori. In realtà, se attacco certi valori (quelli della nostra civiltà ad esempio) è per la disperazione di vederli sgretolare, scomparire, per la rabbia impotente di fronte a un mondo che si sta abolendo, che odio perché non può durare e perché consente il suo annientamento. La mia posizione sarebbe piuttosto vicina a quella di un umanista inconsolabile, furioso, devastato dalle contraddizioni e che, per gusto della maschera, traveste i suoi lamenti in sorrisi sprezzanti ».
Non può tuttavia negare il “rinnovamento della fiducia” dovutogli dall’essersi trovato come editore Gallimard, che lo « libera dal terrore di andare a mendicare manoscritti da leggere da questo o da quell’altro editore, un lavoro degradante se mai ce ne sia stato uno, che fanno la maggior parte degli scrittori squattrinati ».
Ed è proprio con Claude Gallimard, il suo editore, che Cioran lascia trasparire le sue pulsioni più pratiche, di natura economica:
« il Sommario di decomposizione essendo, ne sono certo, praticamente esaurito, sarebbe utile, credo, che venisse ripubblicato e questo tanto più che un’università americana afferma che prossimamente ne ordinerà una cinquantina di esemplari. Non sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire una così bella occasione per pervertire la gioventù yankee? ».
L’intuizione di Cioran era vera: con una fama che cresceva di anno in anno, ancor di più dopo la sua collocazione nella biblioteca tascabile dell’Adelphi, i saggi cioraniani più pessimistici sono diventati un vero passe-partout in cui lettori di ogni età si sono identificati in maniera catartica, per superare il negativo del vivere.
Nel suo perenne negarsi alla mondanità del ruolo di scrittore, Cioran era nondimeno diventato un riferimento per alcuni dei più importanti pensatori a lui contemporanei. Suggestiva è una lettera di Cioran a Paul Celan, il poeta ucraino-tedesco che sarebbe morto suicida nel 1970, in cui lo ringrazia per avergli inviato una copia della sua traduzione delle poesie di Mandelstam.
A Henry Corbin, forse il massimo studioso della cultura islamica del Novecento, Cioran scrive:
« Parigi ha risvegliato l’Orientale che è in me, vivo in uno stato che potrebbe benissimo essere la traduzione balcanica della Langeweile heideggeriana. È così che, non potendo più stare con me stesso, devo quasi sempre viaggiare ».
Anche negli scambi epistolari con Corbin Cioran si sente in diritto di dare consigli pratici per affrontare il tedium vitae:
« Quando è terribilmente annoiato, sfogli il dizionario di una lingua che conosce appena. La distrarrà dalle sue ossessioni, naturalmente in modo momentaneo. È un metodo che ho utilizzato con un certo successo nel corso degli anni ».
Nelle lettere del filosofo non mancano neanche quelle massime impressionanti che costellavano i suoi saggi più noti, come « bisogna vivere per potersi esercitare nell’inaudito ».
Nella pluralità dei suoi interlocutori, Cioran dimostra l’ampiezza dei suoi interessi. Con Maria Liliana Herrera, filosofa e poetessa colombiana che tradusse diversi dei suoi scritti in spagnolo, si parla anche di musica e ballo: « a mio avviso, vi è solo un sentimento al di sopra di tutti gli altri: la malinconia. E non esiste tango senza malinconia. E noi anche, noi esistiamo solo grazie a essa ».
Al giovane poeta Jean Paul Jacobs dà veri e propri consigli di scrittura e di stile:
« Se davvero vuole fare il poeta, la smetta di pensare sulla poesia. Questa continua riflessione sul meccanismo della creazione poetica non può essere più nefasta: è da quasi un secolo che paralizza i poeti occidentali. Non ha notato che spesso la poesia è diventata la materia stessa della composizione poetica? ».
Negli scambi con Jean Paulhan, direttore della Nouvelle Revue Française e figura chiave nella redazione della casa editrice Gallimard, sorprendiamo Cioran che accetta di essere soggetto a una sorta di un editing concettuale.
« Accetto le sue ragioni e rinuncio volentieri al passaggio sul cattolicesimo. ‘Religione per istrioni’… In quanto ortodosso, non ero davvero nella posizione per fare un’affermazione così inelegante ».
Con il giovane italiano Roberto Pignatiello emerge in piena forza il suo disprezzo per la politica attiva:
« Non è importante sapere se qualcuno sia di destra o di sinistra, ma è fondamentale conoscere la sua visione globale del divenire storico. La storia ha un senso, sì o no? Questa è la domanda che mi perseguita da sempre e alla quale non ho trovato risposta, benché io sia incline a credere all’insensatezza universale ».
Via via che ci avviciniamo agli ultimi anni della vita di Emil Cioran, che sarebbe morto nel 1995 accudito dalla compagna Simone Bouè e con la mente franata da una forma di Alzheimer, emerge con viva forza il suo odio per la vecchiaia. Nel 1989 Cioran scrive a Vincent La Soudière:
« Bisogna guardare le cose in faccia: sono vecchio, e questa è un’umiliazione costante. Niente più progetti, niente più voglia di viaggiare, più niente. È ovviamente saggezza, ma la saggezza è una riduzione e praticamente una sconfitta ».
Ancora più esplicito è due anni dopo in una lettera a Colette Rousselot:
« Come comprendo i tormenti della sua solitudine! Contemplando l’immenso silenzio di questo volto, di questo ultimo addio, penso all’abisso di solitudine in cui è sprofondata. Un’unica consolazione: il nulla per tutti, la vacuità degli istanti, il fallimento di tutto ciò che respira, l’eternità sicura di ciò che non è più ».
Se Mimesis ha già pubblicato alcuni anni fa l’ultima filmata intervista concessa dal filosofo sotto il titolo de L’Apocalisse secondo Cioran, la lettura dell’ultima parte del suo epistolario fa drammaticamente luce sull’interiorità e sulla sensibilità del pensatore, ormai prossimo a quella morte su cui tanto aveva indagato da giovane.
Quasi in contemporanea con l’uscita Il nulla per tutti, Adelphi ha dato alle stampe Il crepuscolo dei pensieri, l’ultimo saggio di Cioran scritto in rumeno nel 1940 prima del passaggio al francese con il Sommario di decomposizione del 1949. Tra le pagine di questa opera giovanile e le lettere si trova una particolare consonanza per quanto riguarda l’idea della vita come uno sforzo eroico contro il dolore e le debolezze dell’animo e del corpo:
« Poter soffrire con follia, coraggio, sorriso e disperazione. L’eroismo non è che la resistenza alla santità. Il rischio nella sofferenza è di essere educati, di sopportare con indulgenza. Così, dall’uomo che si era, fatto di carne infinitamente mortale, ci si ritrova a scivolare in un’icona. Non divenire per nessuno esempio di perfezione; distruggi in te tutto ciò che è figura e modello da seguire. Che gli uomini imparino da te a temere le vie dell’uomo. Questo è lo scopo della tua sofferenza ». (E. Cioran, Il crepuscolo dei pensieri)
Ne Il crepuscolo dei pensieri, scritto da Cioran sulla soglia dei quarant’anni, la riflessione sulla morte assumeva imprevisti caratteri metafisici:
« Se, per concessione celeste, mi fosse permesso d’intrattenermi con un mortale di un’altra epoca, sceglierei Lazzaro il resuscitato. Mi aiuterebbe sicuramente a comprendere la paura retrospettiva, la sensazione di essere stato morto, di essere nato dalla morte e di andare verso qualcos’altro… di essere esposto a una vaghezza assoluta, giacché la nascita deriva dalla puntualità della morte. Lazzaro potrebbe dirmi come si può morire quando non si va più verso la morte, come si può sfuggire a questa Resurrezione continua…». (Ivi)
Ne Il Nulla per tutti vediamo Cioran passare gradualmente dalla teoria alla pratica, componendo un’ars moriendi che non nega a nessuno dei suoi interlocutori il terrore per il tempo che passa, l’orrore di un corpo che va in sfacelo, lo smarrimento di una mente eccelsa che a poco a poco non riconosce nemmeno sé stessa.
La grandezza di Emil Cioran è stata quella di proporre sin da subito il grande esercizio della negazione contro un secolo breve che si affrettava a trovare e proporre nuovi valori, ideali, battaglie. Se per tutta la vita gli fu rinfacciata l’adesione giovanile al movimento fascista rumeno, anche quest’episodio biografico si colloca in una approfondita e sincera comprensione delle diverse nazioni che compongono l’Europa, ciascuna con la sua cultura e temperamento.
Cioran non fu un europeista, ma un attento indagatore dello spirito occidentale in tutte le sue forme, innamorato della Spagna non meno che di certe regioni d’Italia. La raccolta delle sue lettere proposta da Vincenzo Fiore per Mimesis, solo una piccola parte in rapporto al corpus globale dell’epistolario cioraniano, consente di inserire nel suo tempo un pensatore privato e un filosofo che fu da sempre contro il Tempo. È in questo paradosso che Cioran ha voluto consumare la sua vita e la sua scrittura, nell’eterno e martellante ripetersi di un immutato horror mortis da cui tanto in tanto traspare, in controluce, uno sconfinato amore per la vita e per una cultura che si faccia critica di sé stessa e da qui gnosis, sapere, conoscenza pura.
26 marzo 2025
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