Il pensiero di Spinoza è un’eudemonia in senso forte. Fin dal Trattato sull’emendazione dell'intelletto, il filosofo olandese si chiede come raggiungere la felicità. La risposta, per quanto complessa, la troviamo nell’Etica. Vedremo come la felicità nasca dall’essere attivi e dalla consapevolezza del nostro posto nella Natura. Esploreremo come liberarci dalle passioni tristi e come costruire una gioia profonda e duratura.
La filosofia di Spinoza è un’eudemonia in senso forte. Fin dal Trattato sull’emendazione dell’intelletto il filosofo olandese mette al centro della riflessione la questione della felicità. Come raggiungere la beatitudine, uno stato di gioia durevole e profondo? Unendo tradizione antica e pensiero moderno, Spinoza offre una risposta originale a uno dei grandi quesiti che da sempre si pone l’uomo. Nel Trattato il filosofo affronta il problema, ripercorrendo alcuni tipici ragionamenti più volte ripresi e ampliati nei periodi classico ed ellenistico. In genere, l’uomo comune ricerca la felicità nei piaceri materiali, nel denaro o nella gloria. Nessuno di questi può dare la felicità. Il piacere è qualcosa di effimero, che ottunde la mente e la facoltà razionale. Una volta consumato l’oggetto del piacere si prova inoltre un senso di vuoto, di immensa tristezza.
Non migliore – anzi secondo il filosofo più insidiosa – è la situazione per chi desidera la ricchezza e la gloria. Infatti, mentre i piaceri materiali sono condannati dalla società, la ricerca della ricchezza e della gloria è incentivata. Tuttavia, si tratta di beni ambiti da molti. Si entra quindi inevitabilmente in competizione, provando invidia per coloro che ne posseggono in misura maggiore. Con un argomento già presente negli epicurei, Spinoza fa intendere (cfr. Trattato sull’emendazione dell’intelletto) che i desideri di ricchezza e di gloria sono inappagabili, per loro stessa natura infiniti (non finiti).
Va detto che Spinoza non è un “moralista”; non condanna in sé il piacere, la ricchezza o la gloria, ma critica l’uomo che diventa schiavo delle passioni suscitate da questi beni. È evidente che in vista di una felicità durevole non è ad essi che bisogna aspirare. Nel Trattato Spinoza pone l’esigenza di individuare un oggetto che possa dare una gioia profonda e costante, un’autentica felicità. Questo deve essere un qualcosa di necessariamente infinito, che non può mutare e che nulla e nessuno può sottrarci. È noto che per Spinoza è Dio, un Dio molto diverso da quello delle religioni rivelate.
In questo breve articolo, non voglio però soffermarmi subito sul Dio di Spinoza e sull’ontologia. Nella scia dell’importante filone storiografico inaugurato da Gilles Deleuze – penso ad esempio ai celebri corsi di Vincennes o a Spinoza e il problema dell’espressione –, e ripreso in seguito da moltissimi studiosi in chiavi anche divulgative, preferisco ripercorre alcuni significativi punti dell’antropologia di Spinoza, in particolare della geometria delle passioni. Il testo di riferimento è ovviamente l’Etica, soprattutto le ultime tre parti (la terza, la quarta e la quinta).
L'uomo è desiderio
Per Spinoza l’essenza dell’uomo è desiderio. Non sono la ragione o il linguaggio a definirci, ma le tendenze e gli incontri che plasmano il nostro essere, costituendo la nostra natura come insieme di equilibri precari. Ogni essere umano aspira a dispiegare la propria potenza di esistere e a perseverare nel proprio essere. Quando si passa da un grado di perfezione minore a un grado di perfezione maggiore, si prova gioia; viceversa, quando si passa da un grado di perfezione maggiore a un grado di perfezione minore, si prova tristezza.
È chiaro allora che il bene e il male sono relativi. È bene tutto ciò che aumenta la potenza di esistere; è male tutto ciò che diminuisce la potenza di esistere. Sembrerebbe allora che per essere felici basti perseguire i beni ed evitare i mali. Ma non è affatto semplice individuare ciò che è bene e ciò che male. La conoscenza che l’uomo ha di sé e delle cose è molto limitata. L’uomo conosce la propria natura e quella delle cose a partire dagli effetti che queste hanno su di lui. Ad esempio, un bambino può giudicare uno sciroppo per la tosse un male, in virtù della sensazione sgradevole che produce al momento dell’assunzione.
La comprensione di noi stessi e della realtà si basa spesso su quella che Spinoza chiama conoscenza del primo genere, o anche opinione o immaginazione. Essa deriva principalmente da ciò che vediamo, sentiamo e percepiamo in modo casuale. È anche influenzata dall’immaginazione e dai ricordi delle nostre passate esperienze. Si tratta chiaramente di una conoscenza incompleta e confusa. Si vedono le cose in modo isolato, senza capire le loro vere cause e il legame che le unisce. È come guardare i pezzi di un puzzle senza avere l’immagine completa.
Finché si resta all’opinione, la conoscenza sarà vaga, un’incertezza tra l’altro aggravata dal linguaggio. La conoscenza del primo genere è infatti nella maggioranza dei casi veicolata attraverso segni, che per Spinoza possono essere ambigui e portare a errori. Le parole che usiamo per descrivere le cose non sempre corrispondono alla loro vera natura e possono generare fraintendimenti.
Abbiamo così due elementi che messi insieme costituiscono una miscela esplosiva. Da una parte il desiderio che definisce la nostra essenza; dall’altra una conoscenza parziale e sovente erronea della realtà e di noi stessi che induce una molteplicità di falsi giudizi su ciò che è bene e ciò che male. Dalla loro dannosa interazione nascono le passioni, tutti quegli affetti rispetto ai quali si è passivi e che sono per lo più fonte di dolore e di infelicità. Per essere felici, il primo passo è allora comprendere i meccanismi delle passioni per disinnescarli.
La geometria delle passioni
Per Spinoza, le passioni (come la gioia, la tristezza, l’amore, l'odio) non nascono dal nulla, ma sono legate a come la nostra mente immagina e connette le cose. L’immaginazione gioca un ruolo fondamentale nel modo in cui proviamo le passioni. Spinoza individua diversi meccanismi attraverso cui queste associazioni influenzano i nostri affetti. Ne riporto i principali.
Contiguità
Si basa sull’associazione di idee o di affetti che sono percepiti vicini nel tempo o nello spazio. Se due cose o eventi vengono di frequente sperimentati insieme, la mente tenderà ad associarli, e l’affetto provato per uno potrà trasferirsi all’altro.
Imitazione
Questo meccanismo ci porta a provare affetti simili a quelli che osserviamo negli altri. Vedere qualcuno gioire per qualcosa può indurci a provare una forma di gioia simile, e allo stesso modo vedere qualcuno soffrire può suscitare in noi tristezza o compassione. Spinoza sottolinea che attraverso l’identificazione affettiva, amiamo ciò che amano gli altri e odiamo ciò che odiano gli altri.
Somiglianza
Si verifica quando proviamo affetti simili verso cose o persone che percepiamo come somiglianti tra loro. Se una persona ci ha fatto provare gioia, potremmo essere più inclini a provare gioia anche verso un’altra persona, che ci ricorda la prima per qualche aspetto (fisionomia, portamento, modo di parlare, interessi comuni).
Reciprocità
Riguarda lo scambio degli affetti tra le persone. Se qualcuno ci dimostra amore o ci fa del bene, tenderemo a provare amore o gratitudine verso di lui. Viceversa, se qualcuno ci fa del male o ci mostra odio, potremmo rispondere con odio o risentimento. Spinoza parla anche di “reversibilità” degli affetti e della potenza, suggerendo che le dinamiche affettive possono influenzare la nostra capacità di agire e viceversa.
Contrarietà
Questo meccanismo può manifestarsi in diversi modi: ad esempio quando si provano affetti opposti verso la stessa cosa in momenti diversi o sotto aspetti diversi, oppure, quando qualcosa di contrario alla nostra natura o ai nostri desideri genera un affetto negativo.
Un amore estivo
Ecco una storiella per comprendere meglio il modo di ragionare di Spinoza. Immaginiamo due giovani, Alice e Luca, che in estate si incontrano casualmente in spiaggia al mare. Entrambi stanno vivendo un momento di spensieratezza e di rilassamento dopo un faticoso anno di studi all’università.
Trascorrono dei momenti piacevoli insieme. Alice inizia inconsapevolmente ad attribuire per contiguità il suo buon umore a Luca; lo stesso fa il giovane nei confronti di Alice. Parlando, scoprono di avere diversi interessi in comune (somiglianza), la medesima passione per il surf e per la musica pop. Inoltre, durante i loro primi giorni di frequentazione notano di condividere alcuni amici (somiglianza) e questi nutrono sia nei confronti di Alice che di Luca una grande considerazione. La buona reputazione consolida (imitazione) il loro legame. Luca e Alice ricambiano il loro interesse e questa reciprocità radica in entrambi l’idea che il loro affetto sia un amore sincero.
Così decidono di stare insieme. Ma la storia è destinata a durare poco. Verso la fine dell’estate Luca e Alice provano una certa ansia, perché si avvicina la sessione autunnale degli esami. Senza rendersene conto cominciano ad attribuire il loro disagio a una fragilità nel loro rapporto (contiguità). Nella seconda metà di agosto sopraggiunge, non lontano dal loro lido, la ex fidanzata di Luca, Giovanna. Il ragazzo sembra avere per lei ancora dei sentimenti. Alice sente una certa gelosia (odio verso la potenziale rivale misto ad amore verso Luca), ma anche una “fluttuazione” emotiva (contrarietà), degli affetti contrastanti nei confronti di un partner che le sta causando – o almeno è quello che pensa Alice – delle sofferenze.
Dal suo canto, vedendo Alice sempre più nervosa, Luca reagisce provando risentimento e astio (reciprocità). Inoltre, la preoccupazione dovuta all’imminente sessione di esami è per contiguità attribuita ad Alice e alla sua ex. Inizia a pensare che ha fatto il “passo più lungo della gamba”, che forse era prematuro stringere questa nuova relazione, tanto più che ha la sensazione di provare ancora qualcosa per Giovanna. Insomma, discussione dopo discussione, Alice e Luca raggiungono il punto di saturazione e rompono il loro rapporto. Entrambi penseranno a posteriori male l’uno dell’altro, di essersi innamorati della persona sbagliata.
In realtà, né Alice ha compreso chi fosse veramente Luca, né Luca chi fosse Alice. Si sono illusi di aver “scelto” e di aver rotto per loro volontà il rapporto, ma sono stati in balia delle loro passioni dall’inizio alla fine della storia. Hanno scambiato continuamente gli effetti per le cause, hanno giudicato in base alla loro vaga conoscenza di sé e dell’altro. Gli errori commessi hanno rafforzato i loro pregiudizi invece di smascherarli.
L’esperienza non è stata per loro maestra di vita, perché guidata da una cattiva comprensione della relazione tra le cose e tra le idee. Sebbene banale, questa storia manifesta come l’essere umano ragioni in genere sulla realtà e perché si lascia facilmente sopraffare dalle passioni tristi. Come uscire da queste impasse?
Il secondo genere di conoscenza: la ragione
Non bisogna certo azzerare i desideri o condannare gli affetti. Non è questa la strada da intraprendere, anche perché l’essenza dell’uomo è desiderio e gli affetti ci costituiscono. Occorre piuttosto lavorare sulla trasformazione delle passioni in affetti attivi, in cui si dispiega in modo pieno la nostra potenza di esistere. Ma per farlo è necessario pervenire a un nuovo livello di conoscenza: la ragione. Questo secondo genere di conoscenza si basa sulle nozioni comuni e sulle idee adeguate delle proprietà delle cose.
Le nozioni comuni sono idee chiare e distinte presenti in tutte le cose. La mente forma queste nozioni percependo ciò che è comune a diverse cose. Un esempio potrebbe essere la nozione che tutti i corpi sono estesi e capaci di movimento. La ragione ci permette inoltre di comprendere le proprietà delle cose in modo chiaro e distinto (idee adeguate delle proprietà delle cose), vedendo come queste proprietà derivano dalle nozioni comuni. Questa conoscenza è necessariamente vera e ci insegna a distinguere il vero dal falso.
Attraverso la ragione, formiamo degli universali basati su ciò che è comune tra le cose. Il fine ultimo del secondo genere di conoscenza è concepire adeguatamente se stessi e tutti gli oggetti che possono rientrare nella propria intelligenza. Vivere secondo la guida della ragione significa essere attivi, liberi e determinati da idee adeguate. In sintesi, la ragione è un modo di conoscere che va oltre la semplice esperienza vaga e si basa sulla comprensione delle proprietà comuni e necessarie delle cose. Ci fornisce una conoscenza vera e affidabile del mondo e di noi stessi.
Non si deve però pensare che si tratti di una conoscenza astratta. Per Spinoza la vera conoscenza è “incarnata”, produce azioni. Anche qui è meglio chiarire il pensiero del filosofo con un esempio. Immagina di trovarti di fronte a una parete rocciosa in montagna. Se non sei esperto nell’arrampicata, una caduta, forse fatale, sembrerebbe inevitabile. In questa situazione, il tuo corpo è passivo, in balia delle forze della montagna, e ne viene sopraffatto. Ma se imparassi a conoscere il tuo corpo, la sua meccanica, la sua flessibilità, i punti di forza e di equilibrio, e se apprendessi a conoscere anche la roccia, le sue fessure, le prese, la consistenza e la solidità, allora la situazione cambierebbe radicalmente.
Invece di cadere, scaleresti la montagna, dominandola piuttosto che esserne dominato. Il tuo corpo diventerebbe uno strumento potente e versatile, capace di adattarsi a molti ambienti e di piegarli alle tue necessità, un corpo che agisce, non che subisce. Questa conoscenza è duplice: è conoscenza di sé e degli ostacoli che si possono incontrare.
La vera conoscenza genera quindi azione, gioia, felicità. È interessante il modo originale in cui il filosofo reinterpreta lo stretto legame tra sapienza e felicità argomentato dai filosofi antichi. In Spinoza questa relazione è associata al concetto di potenza, assume una dimensione affettiva, incarnata appunto, che sembra inedita. Per Spinoza l’autentica conoscenza non si ferma però alla ragione. Può raggiungere una forma ancora più elevata.
Il terzo genere di conoscenza: la scienza intuitiva o intelletto
Prima di analizzare il terzo tipo di conoscenza è opportuno soffermarsi brevemente sul concetto di Dio in Spinoza. La riflessione elaborata da Spinoza rappresenta una significativa deviazione dal pensiero religioso tradizionale, in particolare dalle dottrine giudaico-cristiano-islamiche. Anziché postulare un creatore personale e trascendente, Spinoza identifica Dio con la Natura stessa, come espresso nella formula “Deus sive Natura”. I principi fondamentali della concezione spinoziana sono i seguenti.
Rifiuto dell’antropomorfismo
Spinoza rigetta l’attribuzione a Dio di caratteristiche umane, quali corpo, mente, emozioni e desideri. Egli considera tale antropomorfismo una forma di superstizione che oscura la vera natura divina.
Dio come Sostanza
Nella filosofia di Spinoza, Dio è l’unica Sostanza infinita, la cui esistenza ed essenza sono autonome e si spiegano attraverso se stessa (“causa sui”).
Molteplicità degli Attributi
Questa Sostanza possiede un’infinità di Attributi, sebbene l’intelletto umano ne possa comprendere solamente due: il Pensiero e l’Estensione.
Immanenza divina
A differenza delle concezioni trascendenti, Spinoza colloca Dio all’interno del mondo stesso. Per il filosofo tutto ciò che esiste è in Dio. Le entità finite sono semplici manifestazioni o “modi” della Sostanza divina.
Dio come Causa universale
Ogni evento e fenomeno è determinato dalla natura necessaria di Dio, non da un atto di volontà arbitrario.
Esclusione della teleologia
Spinoza esclude l’esistenza di fini o scopi divini predeterminati, così come l’idea di un Dio che ricompensa o punisce.
Rapporto con la religione
Spinoza critica le interpretazioni tradizionali della religione, che definisce “superstizione” a causa della loro tendenza ad antropomorfizzare Dio. Pur riconoscendo ad esempio in Gesù un saggio, Spinoza nega la sua divinità nel senso dogmatico.
Abbiamo adesso tutti gli elementi per comprendere il terzo genere di conoscenza. La scienza intuitiva procede dall’idea adeguata dell’essenza formale di certi attributi di Dio (Pensiero ed Estensione, gli unici accessibili all’uomo) alla conoscenza dell’essenza delle cose singole. Invece di passare attraverso una catena di ragionamenti come il secondo genere, il terzo genere coglie l’essenza delle cose direttamente, “con un solo colpo d’occhio”. Spinoza illustra questa conoscenza con l’esempio della quarta proporzionale (12/4 = 6/x), dove si può cogliere intuitivamente che x = 2. (Cfr. B. Spinoza, Trattato sull’emendazione dell’intelletto)
Il terzo genere ci permette di conoscere le cose singolari in quanto singolari, comprendendo la loro essenza attraverso la conoscenza degli attributi di Dio a cui ineriscono. In altre parole, comprendiamo come le cose singole siano modi immanenti e necessari dell’essenza divina. Tuttavia non dimentichiamo che questa conoscenza della singolarità è comunque possibile solo grazie a una preliminare comprensione di secondo genere, basata sulle nozioni comuni. Quest’ultima funge da fondamento per l’intuizione dell’essenza delle cose singole nel terzo genere.
Conclusione
In Spinoza, la vera e piena felicità è essenzialmente beatitudine, che si manifesta come gioia e soddisfazione di sé. Non si tratta di un’emozione passeggera o superficiale, piuttosto di uno stato attivo e stabile dell’anima, che ha origine da una specifica forma di conoscenza. In particolare, Spinoza ci dice che questa beatitudine nasce dalla conoscenza di Dio, o della Natura, e dalla comprensione dei legami che ci uniscono ad essa. È la conoscenza intuitiva, quel tipo di comprensione profonda che Spinoza chiama “del terzo genere”, a condurci a questa gioia perfetta.
La beatitudine è anche definita come “riposo in se stessi”, una sorta di appagamento interiore e di accordo con la propria essenza. Il saggio, alla fine del suo percorso di ricerca, raggiunge una consapevolezza chiara di sé, di Dio e della realtà, che scaturisce da una necessità eterna. Ed è in questa consapevolezza che risiede la vera soddisfazione dell’anima, che è poi lo scopo ultimo dell’esistenza e il senso stesso dell’etica riflessiva in Spinoza.
Questa beatitudine è la gioia estrema che deriva dalla comprensione profonda dei legami che ci uniscono alla Natura. Spinoza usa il termine “salvezza” per descrivere questa condizione, intendendola non come una redenzione religiosa, ma come una gioia suprema e una libertà interiore che sono il risultato della conoscenza intuitiva. In altre parole, la “salvezza” in Spinoza è gioia e libertà, ottenute attraverso un percorso che passa prima per la conoscenza razionale e poi si eleva alla conoscenza intuitiva.
La vera felicità, per Spinoza, è strettamente legata all’attività e all’aumento della propria potenza di essere. La beatitudine non è un’esperienza puramente spirituale, in quanto coinvolge l’essere umano nella sua interezza, unificando corpo e spirito. La felicità è dunque un’esperienza concreta, che si radica sia nella dimensione fisica che in quella spirituale dell’esistenza umana, e che si estende attraverso il tempo e l’eternità.
24 marzo 2025