Il teatro spettacolare ovalizzato

 

Nell’attuale società, lo spettacolare informa di sé ogni vicenda. Ne è la prova l’ultimo confronto Trump-Zelensky. Una società che offre l’appagamento di ogni desiderio alla portata di tutti che cosa nasconde? Luci e ombre dello spettacolo globale.

 

di Massimo Pamio

 

 

Nel 1967, Guy Debord aveva esplicitato la visione di una trasformazione in atto: quella del mondo economico capitalistico in mondo spettacolare. «Lo spettacolo – egli nota – non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini, (…) il modello della vita socialmente dominante. È l'affermazione onnipresente della scelta già fatta nella produzione, e il suo consumo ne è corollario» (G. Debord, La società dello spettacolo). L’essere degradato in avere si è tramutato in apparire. Egli aveva intuito che l’economia aveva predato l’estetica, provvedendo a imprimerne il segno, quello della “bellezza”, sui mezzi della produzione e della comunicazione. L’oggetto-merce, che vale per la sua riproduzione in immagine desiderante, desidera essere posseduto dall’uomo, e non viceversa. Di qui la nascita del marchio come valore: l’oggetto non è più prezioso in sé, bensì lo rende tale la sua appartenenza a un brand, a un marchio capace di produrre merci desideranti, cioè creature che si fanno belle per sedurre. Un mondo al rovescio, in cui l’uomo diviene oggetto e non più soggetto del mercato, consumatore di un sistema che provvede a generare un nuovo tipo di umanità, quella oggetto di attenzione da parte dei marchi, dei brand. L’umanità viene divisa o raggruppata, secondo il target di appartenenza, in gruppi di consumatori aventi caratteristiche simili, appetibili. L’universo del capitale desidera la felicità globale, assume il piacere come fine e non come mezzo della produzione delle merci, propaggini e simulacri di bellezza che continuamente si rinnovano e splendono attraverso un corpo con un unico organo: i Brand, ma che proiettano anche, contemporaneamente, sugli idoli, eidola, in simulacri umani, la felicità realizzata, sul corpo raggiante delle leggende del cinema, dell’industria, della politica. Ogni individuo appartiene allo spettacolare, è predatore e preda del sistema della felicità edonistica. Che cos’è un mondo siffatto se non il mondo dei balocchi, il mondo dei sogni realizzato in terra? C’è un solo ostacolo all’instaurazione della religione dell’edonismo spettacolare, manca ancora un tassello affinché il mosaico di questa fede possa essere privo del sospetto del peccato originale: bisogna distruggere la Moneta. Il possesso della Moneta, in quanto fondamento della società, potrebbe far cadere tutto l’impianto della Finzione Capitalspettacolare, ed ecco allora l’invenzione della moneta virtuale, l’avvento delle carte di credito, della criptovaluta e i conseguenti scambi, che avvengono in luoghi immaginari, al tempo in cui le banche, inutili, chiudono gli sportelli.

D’altronde, la società capitalspettacolare aveva già attraversato una primaria fase di virtualizzazione. Borse con speculatori di contrattazioni fondate su false basi, società ramificate in una sequenza infinita di scatole cinesi delocalizzate in paradisi fiscali, generatrici di esportazioni finte garantite dal “giro della piazza” e di fatture per operazioni inesistenti, proprietari fantasmi rimpiazzati da anonimi prestanome… Un mondo con un’identità fittizia, in cui la verità è definita come il risultato di una produzione di illusori giochi di scambi, acquisti, vendite. Un percorso che viene da lontano, dai primi ominini fino alla vittoria finale dell’homo faber, il quale ha spodestato ogni altra figura, e soprattutto si è fatto agente e simbolo dell’ordine morale.

Esiste un’alternativa all’homo faber? L’uomo è quel che fa e solo secondariamente quello che pensa, immagina, ama?

 

La riduzione dell’uomo a essere di penuria, privo di difese, bisognoso di ricorrere all’uso dell’ingegno per garantirsi la sopravvivenza, concezione darwinista e materialista, tende a privare di fondamenti morali il lungo cammino che l’umanità ha compiuto per liberarsi dalla schiavitù della sopravvivenza. Se l’attività fabrile viene concepita come realizzazione e concretizzazione (o sostituzione) di ciò che è impeto morale e filosofico, si è di fronte a una resa dell’umanesimo morale di fronte alla necessità primaria, all’animalità. L’invasione del pianeta da parte di otto miliardi di creature, troppe per un minuscolo satellite del sole, comporterebbe la distruzione di ogni progetto qualitativo e di ogni idealità, di ogni principio morale a favore di un funzionalismo tecnologico e virtuale. La cancellazione di ogni principio teleologico e redentivo porta fatalmente verso l’estinzione, pronta a scaturire da qualsiasi avvenimento, guerra atomica, epidemia morbilica, catastrofe ecologica. 

Osserva a tal proposito Debord: «Nello spettacolo, immagine dell'economia dominante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non vuole realizzarsi che solo in se stesso. Lo spettacolo sottomette gli uomini viventi nella misura in cui l'economia li ha totalmente sottomessi. Esso non è altro che l'economia sviluppantesi per se stessa. È il riflesso fedele della produzione delle cose e l'oggettivazione infedele dei produttori» (Ivi).

 

G. Debord (1931-1994)
G. Debord (1931-1994)

A che cosa stiamo assistendo negli ultimi tempi se non a un’accelerazione del turbocapitalismo spettacolare? La sparizione della Realtà provoca, come un domino, la caduta di tutti i tabù. Sparisce l’identità, diviene liquida, transgender, aperta, virtuale. L’A.I. compie l’ultimo passo: la sparizione di ogni morale e di ogni rapporto tra causa ed effetto. Quel che è è quel che viene manipolato. La rivisitazione del vero diventa il modo di intervenire sul reale per modificarlo a proprio modo, non importa se in modo plausibile, perché è comunque un pezzo dello spettacolo che interviene con la stessa forza del reale. La storia implode, diviene una forma dello spettacolo creato dall’I.A.: Trump Gaza, lo scontro tra Trump e Zelensky, che potrebbe benissimo essere stato inventato: beato chi ci crede! In una condizione di assenza o di azzeramento dello storico, la politica è sostituita dall’opinionismo, la rivolta popolare dal complottismo, forme in cui si manifesta lo spettacolo, il potere è un mezzo usato per generare mode effimere. E il soggetto? L’individuo? È ridotto a un’ombra, ovvero al narciso che si specchia nelle dinamiche della società dello spettacolo, il portato dei vari ambiti del marketing, risucchiato dalla “fantasmagoria delle merci” di benjaminiana memoria. Un Io indebolito, dai risvolti aggressivi, in cui prevale «la visione rispetto all’azione e alla riflessione. Il suo mondo è quello in cui la restrizione dell’autonomia soggettiva si accompagna alla progressiva perdita del principio di realtà» (P. Stanziale, Dell’immaginario col simbolico e il reale).

 

Nella società attuale, la figura del padrone, il capitalista, scompare, la sua azione non è più individuabile, la causa di crisi o dei licenziamenti è dovuta a motivi esterni e non alla sua volontà. In virtù di tale meccanismo, egli non è più responsabile, e, se sostiene qualche verità, l’unica è quella del soggetto che detiene il potere. L’ideale della società, infatti, coincide con il suo, configurato come un “servizio ideale” in favore della massa, per la quale si adopera al fine del godimento collettivo (consumo dei beni). L’apparato “culturale” e massmediale e informativo è velocissimo e giocato sulla soddisfazione del desiderio, le masse si rivolgono al sapere scientifico e tecnologico per la produzione di sempre nuovi oggetti del consumo. Lacan suppone che tale velocità include il consumarsi della macchina capitalistica stessa e il suo consumarsi annovera la sintomatologia contemporanea delle tossicodipendenze, di anoressie e bulimie, dello shopping compulsivo, ecc.. Insomma, in una società del genere il Capitalista (il Padrone) immette (non tanto materialmente quanto ideologicamente) beni di consumo che non vanno a soddisfare la domanda, bensì tendono ad alimentarla compulsivamente. L’individuo infatti pensa che non esista per lui nessun padrone, nessuna radice, ma solo la libertà assoluta di godere. In verità, all’interno di questa pseudolibertà di azione in un mondo senza confini, il soggetto è schiavo dell'oggetto, e più che consumare diventa ciò che lo consuma, oggetto passivo della volontà di godimento dell'Altro del discorso del capitalista (Cfr. M. Magatti La libertà immaginaria)

 

L’incontro tra Trump e Zelensky è uno spettacolo spaesante. Per quale motivo? Perché, dopo un po’, consumato l’evento, torna ad essere irreale: una volta consumato non lascia più nessun segno sulla realtà, essendo spettacolo, e dunque pronto per essere usato e gettato, e dimenticato: c’è bisogno di un altro spettacolo. Ogni personaggio assume su di sé l’immaginario proiettato dai mass media, non a caso l’incontro è circondato da televisioni e giornalisti: gli spettatori. Non c’è niente di reale, è un gioco spettacolare a cui si assiste, e in cui ciascuno – il consumatore – può vederci quel che vuole, e cioè il proprio desiderio di consumo delle narrazioni in atto: una delle interpretazioni più diffuse dai mass media, è quella del buon padre che riprende il figlio scapestrato, che evidenzia una latente ideologia patriarcale insita nel consumismo (generatrice di una violenza diffusa esercitata sul più povero, ovvero su quello escluso dal consumo o dal consenso organizzato fondato sulla soddisfazione del desiderio). Tu che cosa vuoi? Io ti do la pace ma in cambio, per compiere il mio desiderio, dovrai offrire le “terre rare”. Sembra di assistere a un episodio biblico, in realtà siamo nella Casa Bianca e si sta giocando in televisione la vita di tanti, ma ciò che conta non sono i contenuti, bensì lo spettacolo.

 

28 marzo 2025

 




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