Scienza e filosofia nel pensiero di Hegel - parte 1

 

Nel pensiero di Hegel la filosofia è concepita come Scienza autentica perché, a differenza delle scienze positive e particolari, essa vuole istituirsi come un sapere assolutamente auto-fondato in grado di giustificare e dedurre ogni presupposto. Affinché ciò possa accadere, il pensiero filosofico non può permettersi di svilupparsi linearmente, di muoversi cioè da un assioma a un teorema, ma deve svilupparsi circolarmente in un movimento dialettico che va dal presupposto al suo fondamento e da questo di nuovo al primo, che solo così risulta fondato. In questo senso, ciò che viene dopo è l’inveramento e la giustificazione di ciò che viene prima, e il presupposto viene con ciò trasfigurato in risultato e dunque aufgehoben, “tolto” o “superato” come presupposto.

 

 

Hegel comincia la sua Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio con una distinzione della filosofia dalle altre scienze:

 

« La filosofia non ha il vantaggio, del quale godono le altre scienze, di poter presupporre i suoi oggetti come immediatamente dati alla rappresentazione, e come già ammesso, nel punto di partenza e nel procedere successivo, il metodo del suo conoscere. »

 

Hegel distingue qui le scienze dalla filosofia, ma in quale senso? Non perché la filosofia stia da un’altra parte rispetto a ciò che è scientifico. Al contrario, proprio perché non presuppone oggetti e metodo, la filosofia può dirsi Scienza in senso autentico. Le altre scienze sono allora “altre” all’interno di ciò che è scientifico, e però non sono scienze nel senso rigoroso del termine, poiché partono da presupposti che vengono lasciati essere come tali, che non vengono cioè giustificati dallo svolgimento scientifico e dunque non vengono dedotti. La filosofia, per la sua pretesa di assoluta fondazione, ambisce alla scientificità più rigorosa e autentica rifiutando ogni dogmatismo o postulazione. Seppure le altre scienze sviluppino un discorso razionale e rigoroso nel suo procedimento, e in questo senso sono scienze, è tuttavia altrettanto vero che questo discorso ha un punto di partenza non dimostrato, un posto che, in quanto tale (cioè in quanto meramente posto), è pre-supposto, cioè supposto prima del discorso di tali scienze, nel senso in cui esso è la condizione di possibilità e di senso di quel discorso. Le altre scienze possono così essere dette scienze positive, poiché partono da un “positivo” – termine che deriva dal latino positivus, che deriva a sua volta dal participio passato di pònere che significa “porre” – dal quale poi si sviluppano linearmente. Come scrive Hegel in una nota della Dottrina dell’Essenza della Scienza della logica, in riferimento alle scienze fisiche: 

 

« Nell’esposizione [di queste scienze] si comincia coi fondamenti; si pongon questi per aria come principii e come concetti primi. Son determinazioni semplici, senz’alcuna necessità in sé e per sé stesse; ciò che segue dev’esser basato su di esse. Quindi chi vuol penetrare in coteste scienze, deve cominciare coll’inculcare a sé stesso questi principi; lavoro che riesce duro alla ragione, poiché deve ammettere e ritener come base quello che è senza fondamento. Va innanzi meglio di tutti chi, senza pensarci troppo, accetta i principi come dati, e li adopera d’allora in poi come regole fondamentali del proprio intelletto. »

 

Il procedimento di tali scienze, per come è inteso da Hegel, può essere formalizzato mediante il giudizio ipotetico se x allora y”, dove x corrisponde ai postulati o agli assiomi (si pensi agli assiomi di Peano per la matematica o ai postulati di Euclide per la geometria) e y ai teoremi che si sviluppano a partire da quegli assiomi (ecco perché linearmente; il procedimento dimostrativo va da un “prima” a un “dopo”, da x a y, e non viceversa). Il “se x” rivela il carattere ipotetico; la x è un presupposto indimostrato, cioè non giustificato o dedotto (seppur, chiaramente, non scelto “a caso”), e in questo senso è un postulato. Data la x, segue la y, e però la x non è necessaria, ma ipotetica.

 

Per quanto poi lo sviluppo possa essere rigoroso, questo punto di partenza ipotetico finisce inesorabilmente per riflettersi sull’intero discorso rendendolo ipotetico nella sua interezza. Stando a questa formalizzazione, allora, la filosofia dev’essere per Hegel non-ipotetica, perché rifiuta il “se” (particella ipotetica) non assumendo alcun posto, e così si muove nella totale necessità. Se per scienza si intende un sapere certo e inconfutabile, ossia necessario, il che corrisponde allo “spirito” del termine greco epistème (letteralmente “che si tiene su da sé”), ecco che per Hegel solo la filosofia, rifiutando il carattere ipotetico delle altre scienze, è propriamente scienza in senso autentico. Qui il pensiero hegeliano si richiama evidentemente alla concezione platonica esposta nel libro VI della Repubblica con la celebre teoria della conoscenza che viene espressa mediante la linea divisa in doxa ed epistème. La filosofia è qui presentata da Platone come conoscenza noetica e an-ipotetica contrapposta alla conoscenza dianoetica delle scienze in genere, le quali sviluppano il loro discorso mediante un andamento ipotetico, assumendo cioè degli assiomi indimostrati e procedendo a partire da questi. Al contrario, la filosofia è la conoscenza che mira alla comprensione di quei principi primi e assolutamente indubitabili che soli permettono la giustificazione delle ipotesi che le scienze assumono senza dimostrare: in questo senso il movimento della filosofia in Platone è dialettico e circolare: si “sale” verso i principi an-ipotetici e si “ridiscende” verso i principi ipotetici giustificandoli mediante quei principi primi: è questo l’atto fondativo e di fondazione delle scienze particolari da parte della filosofia. 

 

 

La differenza tra le scienze particolari e la filosofia in Hegel riguarda poi anche l’oggetto della loro indagine: l’oggetto della filosofia è l’Assoluto, la Totalità, mentre quello delle scienze positive è una porzione particolare di questa Totalità. Ne consegue che anche la trattazione dell’oggetto è radicalmente differente: nella filosofia si ha una trattazione immanente, mentre nelle scienze particolari una estrinseca. Se la filosofia ha ad oggetto la Totalità, è evidente che questa non può essere propriamente “oggetto” (nel senso tedesco di Gegen-stand, per cui l’oggetto è ciò che sta di contro a un soggetto), poiché il soggetto è parte di questa totalità (che altrimenti non sarebbe Totalità ma parte), e con ciò l’immanentismo radicale che segna tutta la filosofia hegeliana diventa necessario a un corretto studio dell’Assoluto, che dunque si auto-presenta a sé stesso come autocoscienza effettuale mediante il pensiero filosofico: «La filosofia è l’Idea che pensa sé stessa» (Hegel, Enciclopedia). Questo corrisponde all’immanenza del negativo e del finito nell’Assoluto hegeliano il quale, essendo Soggetto e non solo Sostanza, come scrive Hegel nella prefazione della Fenomenologia dello Spirito, è essenzialmente movimento di auto-posizionamento ed auto-determinazione e riflessione di sé nell’altro che ha posto.

 

Le scienze positive, al contrario, avendo ad oggetto una particolare porzione del reale, riescono a porla propriamente ad oggetto di studio, poiché il soggetto non è implicato (o almeno mai del tutto) nel suo oggetto. Questa distinzione fa sì che, però, l’approccio delle scienze particolari sia necessariamente estrinseco, in piena contrapposizione con l’immanentismo della filosofia: «In ogni altra scienza l’oggetto, ch’essa tratta, e il metodo scientifico sono distinti l’uno dall’altro» (Hegel, Scienza della logica). Le scienze particolari, dice Hegel nel saggio sulla Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling del 1801, sono conoscenze che «riguardano oggetti estranei» mentre la filosofia segue il ritmo immanente della Cosa stessa, costituendosi come la Sua autocoscienza: «E’ chiaro che nessuna esposizione può valere come scientifica, la quale non segua l’andamento di questo metodo [la dialettica] e non si uniformi al suo semplice ritmo, poiché è l’andamento della cosa stessa» (Ivi). La differenza per cui alla filosofia compete la Totalità mentre alle scienze particolari una sua porzione non può che richiamare a sua volta in maniera esplicita quel fondamentale e celebre passaggio di Metafisica Gamma I di Aristotele:

 

« C’è una scienza che considera l’essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in quanto tale. Essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze considera l’essere in quanto essere in universale, ma, dopo aver delimitato una parte di esso, ciascuna studia le caratteristiche di questa parte. »

 

Questa «scienza dell’essere in quanto essere» è la filosofia prima la quale, studiando l’essere in quanto tale, studia ciò che accomuna tutto quanto esiste, il katholu, l’universale. Le scienze particolari invece isolano una porzione dell’essere e ne studiano le sue specifiche caratteristiche. Da ciò deriva quella che per Aristotele è la superiorità teoretica della filosofia prima sulle altre scienze, idea che, come si può notare, è stata anch’essa ripresa da Hegel.

 

Detto ciò, se la filosofia è scienza autentica perché rifiuta i presupposti, è però lecito chiedersi se sia realmente possibile non presupporre né oggetti né metodo, e poter comunque sviluppare un discorso razionale, un logos, senza invece cadere nel mutismo o nel totale irrazionalismo. A questo proposito, poco dopo la citazione riportata all’inizio di questo articolo, Hegel scrive che «la filosofia può ben presupporre, anzi deve, una certa conoscenza dei suoi oggetti», poiché:

 

« la coscienza, nell’ordine del tempo, se ne forma prima rappresentazioni che concetti; e lo spirito pensante, solo attraverso le rappresentazioni e lavorando sopra queste, progredisce alla conoscenza pensante e al concetto » (Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio).

 

Non cade qui Hegel in contraddizione con l’affermazione precedente? La filosofia non ha il vantaggio di poter presupporre oggetto e metodo, e però deve presupporre una certa conoscenza dei suoi oggetti. La questione viene chiarita immediatamente dopo mediante una precisazione fondamentale: la filosofia è costretta a presupporre degli oggetti: «ma, nella considerazione pensante, si fa subito manifesta l’esigenza di mostrare la necessità del suo contenuto, e provare l’essere e i caratteri dei suoi oggetti» (Ivi). Infatti, è «inammissibile il fare o il lasciar correre presupposti ed asserzioni» (Ivi).

 

Ecco la soluzione che permette alla filosofia di presupporre oggetti ma essere, nonostante ciò, scienza che non ha il vantaggio di poter accogliere presupposti. La scientificità autentica della filosofia non consiste nella capacità di non partire da alcun presupposto, il che sarebbe a conti fatti impossibile. Piuttosto, tale scientificità sta nel fatto che, assunti (inevitabilmente) determinati presupposti, la filosofia non li lascia essere come tali, ma mostra “la necessità” di essi, ovvero li deduce, li interroga per poi giustificarli. Tali presupposti non sono lasciati essere ma vengono attraversati dalla razionalità filosofica, vengono mediati dal sapere, ossia vengono saputi nel senso di giustificati mediante lo svolgimento scientifico:

 

« altra cosa è il processo di originazione e i lavori preparatori di una scienza, altra cosa la scienza stessa: nella scienza, quelli non possono apparire più come fondamento; il fondamento deve essere qui la necessità del concetto » (Ivi).

 

Non immediata assenza di presupposti, dunque, ma mediata giustificazione dei presupposti assunti; in ciò la filosofia si distingue dalle altre scienze positive. 

 

21 aprile 2025

 







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