Nel pensiero di Hegel la filosofia è concepita come Scienza autentica perché, a differenza delle scienze positive e particolari, essa vuole istituirsi come un sapere assolutamente auto-fondato in grado di giustificare e dedurre ogni presupposto. Affinché ciò possa accadere, il pensiero filosofico non può permettersi di svilupparsi linearmente, di muoversi cioè da un assioma a un teorema, ma deve svilupparsi circolarmente in un movimento dialettico che va dal presupposto al suo fondamento e da questo di nuovo al primo, che solo così risulta fondato. In questo senso, ciò che viene dopo è l’inveramento e la giustificazione di ciò che viene prima, e il presupposto viene con ciò trasfigurato in risultato e dunque aufgehoben, “tolto” o “superato” come presupposto.
Questo procedimento sembra invece impossibile alle scienze particolari in quanto queste sono vincolate al loro posto di partenza: se una scienza positiva si interrogasse sui propri postulati, infatti, starebbe facendo filosofia poiché, essendo le scienze positive lineari in quanto hanno come condizione del proprio discorso i propri postulati, esse non possono strutturalmente “girarsi” e interrogare la propria condizione, poiché la starebbero assumendo, e con ciò commetterebbero una petizione di principio: il postulato gli sta necessariamente “alle spalle”. Inoltre, e scienze positive non possono dimostrare il proprio principio perché esso è ipotetico e parziale, nel senso che non vincola ogni logos, ma solo il logos specifico del quale è principio. In questo senso, i postulati della matematica sono sempre implicati dal discorso matematico, ma non da ogni discorso. Per chiarire la questione è utile pensare ad Aristotele che, nel dimostrare per via di confutazione (l’Elenchos o dimostrazione elenctica) il principio di non contraddizione in Gamma 4 della Metafisica, mostra invece che esso è vincolante per ogni logos e non per uno in particolare. L’universalità della filosofia prima sta per Aristotele proprio in questo: nello studiare l’essere in quanto essere e non sue specifiche porzioni, essa studia allo stesso modo i principi primi di ogni dimostrazione, ossia quei principi che sono implicati in qualsiasi dimostrazione e non in una in particolare.
Ad ogni modo, il motivo per cui anche la filosofia è costretta ad ammettere presupposti sta nel fatto che le rappresentazioni (Vorstellungen) vengono cronologicamente sempre prima dei concetti. Ma cosa sono le rappresentazioni? Scrive Hegel che «sentimenti, intuizioni, appetizioni, volizioni ecc., in quanto se ne ha coscienza, vengono denominati, in genere, rappresentazioni» (Ivi), le quali hanno dunque per tratto fondamentale l’interiorizzazione. Ciò va completato con il fatto che:
« il contenuto, del quale è riempita la nostra coscienza, di qualunque sorta esso sia, dà il carattere determinato ai sentimenti, intuizioni, immagini, rappresentazioni, ai fini, doveri, e via dicendo, e ai pensieri e ai concetti » (Ivi).
Il contenuto, che riempie la coscienza e che è fornito dall’esperienza, è sempre lo stesso, ciò che cambia è la forma in cui esso si presenta: «sentimento, intuizione, immagine ecc. sono, dunque, le forme di quel contenuto, il quale resta uno e medesimo» (Ivi). Senza addentrarci a fondo sulla teoria della conoscenza in Hegel, il che ci porterebbe lontani, ci basta qui capire che, essendo sempre in gioco lo stesso contenuto, e mutando solo la sua forma a seconda della “facoltà” presa in esame, la rappresentazione, rispetto al concetto, ha una forma differente, ma non un contenuto differente. Ecco perché la filosofia non può che partire dal contenuto della rappresentazione, e tuttavia non si ferma a questo livello. Se «le rappresentazioni in genere possono essere considerate come metafore dei pensieri e concetti» (Ivi), il compito della filosofia è, allora, partendo dalle rappresentazioni, progredire ai concetti, che altro non sono se non quella “particella noetica”, di puro pensiero, contenuta in una data rappresentazione con la forma rappresentativa, cioè metaforica. La filosofia, dunque, si innalza dal pensiero mescolato ad elementi sensibili nella rappresentazione – «tutto ciò che è umano è per questo, e solo per questo, umano, che è effettuato per opera del pensiero» (Ivi), e dunque il pensiero pervade integralmente l’identità umana, ed è così presente anche nelle rappresentazioni, anche se non nella sua pura forma di pensiero – al pensiero puro, “purificato” dagli elementi sensibili. Questi “residui” puri sono i concetti. Nella necessità di partire dalle rappresentazioni, dunque, il pensiero filosofico non vi rimane, impegnandosi invece in una elevazione da e mediante le rappresentazioni verso il concetto. Il sapere filosofico con ciò parte:
« dalla coscienza naturale, sensibile e raziocinante [e da essa] si solleva nel puro elemento di sé stesso, e così si pone dapprima in una relazione negativa verso quel punto di partenza da cui s’è allontanato » (Ivi).
In questo movimento negativo nei confronti delle rappresentazioni, il pensiero filosofico “estrae” le categorie pure o i puri pensieri dalla loro mescolanza col sensibile: «La filosofia può essere definita dapprima, in generale, la considerazione pensante degli oggetti» (Ivi).
Le rappresentazioni, seppure non siano completamente immediate (il linguaggio è già mediazione, poiché trasforma contenuti particolari in universali, e con questo le rappresentazioni non sono totalmente immediate, perché stanno a metà tra la particolarità del sensibile e l’universalità del pensiero), sono immediate in confronto all’assoluta mediazione del Concetto (Begriff), e in questo senso sono il luogo proprio del pensare ordinario, dove per ordinario si intende non-filosofico e non-speculativo, così che anche le scienze positive si collocano in quello. Tale pensare ha le rappresentazioni come presupposti “spacciati” per noti, cioè non adeguatamente giustificate e “attraversate” dal sapere. La filosofia, a differenza delle altre scienze, non lascia essere le rappresentazioni, ma le pone in questione, le agisce, le media. In questo modo la rappresentazione assunta come dato noto viene portata a giustificazione, e il presupposto viene così rivelato come tale e dunque “tolto”.
L’atteggiamento propriamente scientifico della filosofia sta dunque nel condursi dalla rappresentazione al concetto, dal presupposto alla sua rivelazione come presupposto, dall’immediato al mediato, dal fondato al fondamento, dall’astratto al concreto. Questo movimento non è però lineare come quello delle altre scienze, poiché ciò che viene conosciuto dopo si rivela condizione di ciò che si è conosciuto per primo. (anche in ciò è forte l’eco aristotelico per cui conosciamo prima ciò che viene ontologicamente dopo e viceversa). L’andamento della filosofia si costituisce così come circolare, infatti, «in filosofia l’andare innanzi è piuttosto un andare indietro e fondare» (Hegel, Scienza della logica) e dunque:
« l’andare innanzi è un tornare addietro al fondamento, all’originario ed al vero, dal quale quello, con cui si era incominciato, dipende, ed è, infatti, prodotto » (Ivi).
La scienza filosofica è dunque «una circolazione, in cui il Primo diventa anche l’Ultimo, e l’Ultimo anche il Primo» (Ivi).
È importante comprendere il carattere di giustificazione che questo movimento costituisce. Il passaggio dall’immediato al mediato, dalla rappresentazione al concetto, non è meramente lineare poiché ciò che sul piano espositivo viene dopo, il mediato, il concetto, in realtà è la condizione, il fondamento, di ciò che è esposto prima. In altre parole, l’immediato è l’astratto, poiché è astrazione del concreto che in realtà è il vero Primo, il vero fondamento. Il presupposto, ossia il dato assunto come immediato, in questo senso, si rivela presupporre la sua condizione, e quando questa è saputa, il presupposto è tolto come tale, ossia è giustificato. Il presupposto viene dunque in un certo senso preso “alle spalle”, poiché è ricondotto alla sua condizione o fondamento, e viene così fondato. Con ciò la filosofia si configura come scienza rigorosa, nel suo costante giustificare, mediante tale andamento circolare, i presupposti. Questi, inevitabilmente assunti, vengono dedotti nel momento in cui se ne ricava la loro condizione genetica, mostrando che essi sono in realtà risultati, e non meri dati. Il principio diventa risultato, e in questo modo il presupposto è attraversato dalla necessità del concetto.
Ancora una volta, vien ribadito che:
« All’entrar nella scienza, son da abbandonare tutti gli altri presupposti o preconcetti, vengano essi dalla rappresentazione o dal pensiero: essendo la scienza ciò appunto in cui tutte codeste determinazioni debbono essere investigate » (Enciclopedia).
Nel suo essere un movimento di assoluta deduzione, la filosofia assume la figura del sistema, dove ogni parte trova la sua verità nella connessione al Tutto, ed è invece falsa nel suo isolamento, e dove l’inizio e la fine arrivano a coincidere esaurendo così l’intera deduzione: solo quando la fine giunge a coincidere con l’inizio il cerchio deduttivo è adeguatamente chiuso. La parte è così concepita come momento del Tutto, e in ciascun momento è udibile il “battito” dell’intero. L’immagine del “battito” è adoperata da Hegel nella Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto dove, in corrispondenza del celebre detto e chiasmo «Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale (Was vernünftig ist, das ist Wirklich; und was wirklich ist, das ist vernünftig)», Hegel sostiene che il filosofo deve cercare il “polso” dentro ciò che esiste, ossia sondare tutto ciò che è reale, nel senso di meramente esistente (dunque Realität) alla ricerca del “battito” del razionale (cioè di quella porzione del reale che è propriamente la Wirklichkeit o “Realtà effettuale/razionale”). La filosofia è così lo “scandaglio” del razionale, la ricerca della necessità (realtà effettuale, Wirklichkeit) all’interno della contingenza o del possibile (realtà bruta, Realität).
Nella Prefazione della Fenomenologia dello spirito, testo che può a tutti gli effetti dirsi il “Manifesto della filosofia hegeliana”, Hegel scrive che «In generale, infatti, ciò che è noto, appunto in quanto noto, non è conosciuto (Das Bekannte überhaupt ist darum, weil es bekannt ist, nicht erkannt)». Questa affermazione verrà poi ribadita anche nella Prefazione alla seconda edizione della Scienza della logica:
«Ma mentre così gli oggetti logici, come le loro espressioni, sono un che di universalmente noto, nella cultura, quello che è noto, come dissi altrove, non è già perciò conosciuto».
Il noto è la rappresentazione assunta come data, non giustificata e non dedotta e dunque non “trasformata” in risultato. Il noto non attraversato dal domandare e giustificare filosofico è un presupposto lasciato come tale e, in quanto non interrogato, è propriamente sconosciuto, giacché è conosciuto in senso autentico solo ciò che è mediato dal sapere.
La filosofia è allora il costante interrogare il noto rivelandolo come sconosciuto, e in questo senso è in generale il porre in questione l’opinione, il pensare ordinario, scuotendolo fino a distruggerne ogni certezza. Se il sapere che assume presupposti è un sapere finito, allora la filosofia è sapere assoluto nel senso etimologico del termine: ab-solutus, “sciolto-da” ogni presupposto. Affinché ciò accada, nel suo primo momento questo sapere è distruzione dell’intero ambito del sapere finito. Nel domandare il noto dissolvendolo, la filosofia è così inizialmente scetticismo; essa è infatti anzitutto un domandare radicale, un porre in questione tutto ciò che è dato per scontato, e in questo senso è per prima cosa un’attività negativa, poiché nega l’immediata identificazione del saputo con la verità, dell’opinione con la scienza (doxa con epistème, Meinung con Wissenschaft): «lo scetticismo stesso è, nel suo senso più profondo, una cosa sola con ogni vera filosofia» (Hegel, Rapporto dello scetticismo con la filosofia). L’atto primario e più radicale della filosofia è quell’atto che non è concesso alle scienze positive, ossia il “girarsi” all’origine, il voltarsi al fondamento, il vedere cosa sta dietro a ciò che è si spaccia per evidente e che dunque non desta alcun sospetto. Nello stesso istante di questo volgersi, il presupposto è già saputo come tale, perché è de-assolutizzato, ossia è relativizzato. Lo scoprirne l’origine, poi, è il compimento del movimento filosofico. Il domandare ciò che è dato per scontato è un atto di scetticismo quanto lo è, per un uomo che abbia visto solo ombre, girarsi verso gli oggetti che le proiettano. In questo movimento, l’ombra saputa come ombra viene “epistemologicamente” ricostituita, passando dall’essere ingiustamente intesa come verità ad essere correttamente intesa come ombra. Finché non si avrà questo voltarsi, l’ombra sarà saputa come verità, lo sconosciuto come noto, l’opinione come scienza. L’atto di giustificazione filosofica ristabilisce l’ordine violato, ridando il giusto statuto a ciò che prima, con un atto di hybris, si spacciava per ciò che non era; l’andare avanti è, come si è visto, un tornare indietro, e questo movimento è l’inveramento.
La domanda scettica, che è la domanda filosofica, nonché la domanda della coscienza nella Fenomenologia dello spirito (si pensi ad esempio alla prima figura della Fenomenologia, la certezza sensibile, dove l’interrogare il noto è esplicito nel domandare “Che cos’è il questo?”, poiché il questo è l’immediata verità della figura), è la seguente: «è questo che do per scontato, questo che sono certo di sapere, qualcosa che davvero so?» La filosofia si configura così in un movimento che dal sapere immediato, mediante la sua posta in questione passa al saperlo come presupposto, cioè come non saputo, e giunge infine a saperlo giustificandolo mediante il ritrovamento della sua condizione genetica. In questo senso, con la filosofia si passa dal non sapere di non sapere (il presupposto è spacciato per verità), al sapere di non sapere (il presupposto è saputo come tale), e infine al sapere autentico (il presupposto è ricondotto alla sua condizione genetica, e in questo senso è dedotto). Il momento cruciale che avvia il movimento è proprio l’interrogare, il domandare ciò che si sa, con la conseguenza di scoprire che non lo si sapeva veramente, che esso era in realtà un falso noto, giacché era, in realtà, sconosciuto.
23 aprile 2025
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